il blog di chiarafarigu

venerdì 31 luglio 2020

RICORDANDO RAFFAELE PISU. UN ANNO FA LA SUA SCOMPARSA

Se ne andava, il 31 luglio scorso, all'età di 94 anni Raffaele Pisu, attore di teatro, rivista, televisione e cinema. Era malato da tempo.

Bolognese di nascita, era orgogliosamente fiero delle sue origini sarde. Il padre, un carabiniere di Guspini, cittadina del cagliaritano, dopo aver girato a lungo per servizio, decise di fissare la sua dimora a Bologna dove poi mise famiglia. ‘E’ grazie a lui che io mi ritengo sardo’, amava ripetere nelle sue interviste. Un amore per la Sardegna che ha poi trasmesso anche a sua figlia Barbara che fa la capo infermiere in un ospedale di Cagliari.

Una carriera lunga più di settant'anni, la sua. Intervallata da alti e bassi, come spesso succede agli artisti di razza. Quando si raccontava amava parlare delle sue ‘tre vite’. Caduto nel dimenticatoio per ben due volte, è poi riuscito a risalire la china, più forte di prima. La terza fu quando, dopo una diagnosi medica, gli dissero che stava per morire. Abbandonò tutto e si trasferì nei Caraibi per vivere, pensava, l’ultimo scampolo di vita. Poi la diagnosi infausta si rivelò sbagliata e, ancora una volta, tornò sul set cinematografico di ‘Addio Ceausescu’, diretto da suo figlio Antonio.

La sua vita artistica nasce dapprima in radio. La televisione è arrivata dopo, durante il boom economico, negli anni sessanta. Nel 1961 il primo grande successo con ‘L’amico del giaguaro’ con Gino Bramieri e Marisa Del Frate. Nino Manfredi, Paolo Ferrari, Walter Chiari, Fernandel e Antonella Steni, altri compagni di viaggio della sua lunghissima carriera d’attore; De Sica, Fellini, Monicelli sono alcuni nomi di registi che lo hanno diretto nel cinema.

Uno dei film ai quali era più legato era ‘Italiani brava gente’ di Giuseppe De Santis, girato in gran parte in Russia nel 1962 che a quei tempi però non ebbe il successo che avrebbe meritato.

La comicità, un’altra grande passione. ‘La trottola’ con Corrado e la Mondaini, ‘Vengo anch'io’ con il pupazzo Provolino e ‘Senza rete’ di Enzo Trapani, furono alcuni tra i molti programmi televisivi che gli regalarono grande popolarità.

Poi negli anni ’70 iniziò un periodo buio dal punto di vista artistico. Il telefono non squillava più e gli amici, un tempo tanti, si assottigliavano giorno dopo giorno. Decise di inventarsi una nuova vita. Si trasferì in Sardegna e si ‘scoprì’ gelataio.

A riportarlo in tv Antonio Ricci, nel 1989, quando lo volle in coppia con Ezio Greggio sul banco di ‘Striscia la notizia’. Un successo e la rinascita.


Poi quella diagnosi e la fuga nei Caraibi. Nel 2004 è Paolo Sorrentino che bussa alla sua porta. C’è una parte adatta a lui in ‘Le conseguenze dell’amore’.

Seguiranno altre partecipazioni nei film di Vincenzo Salemme, Ricky Tognazzi e poi di suo figlio Antonio.

Una vita ricca intensa con molti colpi di scena, la sua. ‘Vorrei costruire una barca a remi e arrivare in Sardegna’, ha raccontato in una delle ultime interviste. ‘Vorrei che le mie ceneri venissero disperse nel mare del Poetto’, per un ritorno naturale alle origini.

Ricordarlo oggi, a un anno dalla sua scomparsa, è un modo per farlo rivivere nei nostri cuori. Anche se solo per un giorno


Chiara Farigu 



 

mercoledì 29 luglio 2020

4 ANNI SENZA ANNA MARCHESINI

Son trascorsi già quattro anni  dalla morte di Anna Marchesini, l’anima del Trio con Lopez e Solenghi, suoi compagni d’arte per diversi anni. Anna era la comicità fatta a persona, i suoi personaggi, un mix di  travestimenti, vocine e mossettine esilaranti, sono ancora oggi un cult della risata italiana.

La ricordo sul palco del teatro Parioli durante una puntata del Maurizio Costanzo Show. Con le amiche andai ad assistere alla registrazione di una puntata della trasmissione. Rimasi sorprendentemente stupita dalla sua bellezza. Lei, che per calarsi nei suoi personaggi, indimenticabile la 'signorina Carlo', ricorreva a imbarazzanti parrucche e trucchi inverosimili.

Indossava una gonna aderente abbastanza corta che lasciava intravedere una stacco di coscia da far invidia alla più seducente delle modelle. I suoi capelli nero corvino svolazzavano a destra e a manca assecondando l’onda dei suoi movimenti mentre dava vita ai suoi innumerevoli personaggi.

Ma era durante la pausa per la pubblicità che dava il meglio di sé. Regalando al pubblico brevi chicche ricche di humor per poi tornare, come se nulla fosse, tutta compita al suo posto al suono di ‘in onda’.



La notizia della sua scomparsa mi colpì molto. Ma prima ancora mi colpì la malattia con la quale combatteva da anni che era riuscita a devastare il suo fisico ma non il suo carattere battagliero e fiero.

Una patologia, l’artrite reumatoide, della quale la stragrande maggioranza di noi ne ignorava persino l’esistenza.

Lei ne era divenuta la testimonial, prestando la sua faccia, le sue mani e il suo corpo senza remore e vergogne alcune per farne conoscere gli aspetti più devastanti che l’hanno poi portata alla morte prematuramente.

Invitava a non sottovalutare i sintomi di cambiamento, anche i più piccoli, e a non disdegnare controlli e terapie. Perché è una malattia che non perdona, ripeteva. Anche se non necessariamente sempre letale, rimane uno di quei mali più invalidanti e dolorosi per quanti ne sono affetti.

O meglio per quante ne sono affette. Perché l’artrite reumatoide (malattia infiammatoria autoimmune) pare prediligere proprio il gentil sesso con un rapporto di 4 a 1, attaccando le articolazioni del corpo, mani e piedi per poi attaccare in modo “democratico”, per così dire, tutte le aree articolari, ma in modo “migrante”, così che mentre si attenua l’infiammazione di una parte, ecco che si “accende” quella opposta.

I suoi sintomi provocano dolori fortissimi a causa della rigidità delle parti colpite al punto che anche il più banale dei movimenti risulta compromesso. Le complicanze anchilosanti e degenerative portano ad una invalidità quasi totale.

Anna, in una delle ultime apparizioni televisive era completamente devastata nel corpo. A brillare come sempre la sua anima. E il suo amore per la vita. Che ha difeso con i denti e con le unghie finché ha potuto. Ben sapendo quanto quella lotta fosse impari.

Ci manca la sua comicità surreale e  graffiante allo stesso tempo. Ci manca la sua mimica. Il suo stile. Ci manca lei, Anna

Chiara Farigu 
 



(foto tratta dal sito Annamarchesini.it)

domenica 26 luglio 2020

UN ANNO FA IL DELITTO CERCIELLO. ‘ESSERE MOGLIE DI UN CARABINIERE’: LA STRAZIANTE LETTERA DELLA VEDOVA

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n anno fa l’Italia fu scossa dall'omicidio di Mario Cerciello RegaEra in servizio il vicebrigadiere di Somma Vesuviana  con il collega Andrea Varriale nel quartiere Prati a Roma quando venne accoltellato. 

 Fermati e accusati del suo omicidio due giovani studenti americani, Finnegan Lee Elder e Gabriel Natale Hjorth che alloggiavano presso l’hotel Meridien di Roma, a pochi passi da via Pietro Cossa, dove fu rinvenuto il cadavere.

Elder, durante l’interrogatorio, confesserà di aver accoltellato Cerciello, facendo cadere così tutte le fantasiose ricostruzioni circolate subite dopo il ritrovamento del corpo che indicavano come  responsabili del delitto due nordafricani. 

Un interrogatorio che fece molto discutere e che avvenne senza la presenza dell’avvocato. Le immagini del diciottenne americano,  bendato e ammanettato, fecero il giro del mondo.

E’ in corso il processo per stabilire modalità e dinamiche dell’omicidio. Molte le ombre su cui far luce. Dall'acquisto di droga con un pusher italiano ai diversi errori che vengono imputati ai due carabinieri da parte della difesa dei due americani. Che quella notte erano in borghese e per giunta disarmati.

Ai funerali del carabiniere la giovane vedova legge fino all'ultimo rigo una lettera struggente.  Poi si lascia andare sopraffatta dal dolore. A stringersi a Rosa Maria una chiesa gremita all'inverosimile. C’è tutta Somma Vesuviana a tributare l’ultimo saluto al vicebrigadiere Cerciello mentre quelle parole arrivano dritte  nei cuori di chi le ascolta.

E’ la stessa lettera che il 13 giugno, solo 43 giorni prima,  le avevano dedicato nel giorno del suo matrimonio. Allora erano parole di auspicio alla vita di coppia che s’apprestava a cominciare con Mario, il ‘suo’ Carabiniere. Mai avrebbe immaginato Rosa Maria, neanche nei peggiori degli incubi, che dopo appena 43 giorni avrebbe dovuto mettere in pratica quelle parole, rilette tutto d’un fiato con la morte del cuore. Dinanzi al suo Mario, per l’ultimo saluto.
Parole struggenti, scaturite da un dialogo immaginario tra un angelo e Dio che stava creando un modello di donna da destinare a moglie di un carabiniere.
Una donna completamente diversa da tutte le altre.
Diversa come, chiede l’angelo?
“Deve essere indipendente, deve possedere le qualità di un padre e di una madre allo stesso tempo. Le daremo un cuore particolarmente forte, capace di sopportare il dolore delle separazioni, di dare amore senza riserve, di offrire energie al marito nei momenti più difficili e di continuare a lottare anche quando è carico di lavoro, è stanco. Una donna dall'aspetto dolce ma che ha la forza di un leone perché deve saper far fronte a tutte le necessità: essere capace di svolgere allegramente le sue mansioni anche se stanca o ammalata, ed essere capace di cambiare casa, abitudini e amicizie spesso e all'improvviso. A lei faremo dono di una lacrima per la gioia, il dolore, la solitudine e la fierezza che solo la moglie di un carabiniere prova ed è dedicata a tutti i quei valori cui suo marito è legato e che lei farà suoi’’.
Parole da brivido. Che rilette a distanza di poco più di un mese dall'altra cerimonia pesano come  macigni. Parole alle quali Rosa Maria, fiera moglie di un carabiniere, anche se per troppo poco tempo, ha fatto già sue. E che continueranno ad accompagnarla nel suo cammino senza più  Mario al suo fianco.
                         Immagine tratta da Adnkronos





venerdì 24 luglio 2020

DIARIO ESTIVO. QUEL PICCOLO PARADISO TERRESTRE CHIAMATO ‘TORRE ASTURA’

C
i sono tornata oggi a Torre Astura, impossibile resistere a quell'invito inaspettato ‘mamma, fatti trovare pronta,  ti passo a prendere alle 8’. E’ li, in quella oasi naturale, meravigliosa, a pochi chilometri da Nettuno, sulla via Acciarella che tre anni fa ho fatto pace col mare. Dopo un periodo nero, contrassegnato dalle ingiustizie ‘forneriane’ che lentamente mi stava inghiottendo in una spirale piuttosto buia.

                                       Torre Astura- scatto di Chiara Farigu


Un posto davvero delizioso e ricco di storia. Testimonianze di un passato glorioso oltre che luogo ameno.
Meta turistica giornaliera per chi ama la vacanza a contatto con la natura. Una lunga spiaggia libera, acqua trasparente, una pineta stupenda per il ristoro, i profumi della macchia mediterranea. E il frinire delle cicale, che musica!

Spiaggia raggiungibile via fiume con una barchetta a motore o a piedi, costeggiando il fiume via pineta.

Sconsigliatissima per chi non può fare a meno del bar, del ristorantino e di tutti gli ammennicoli della modernità.

                                    Torre Astura- scatto di Chiara Farigu

Solo pace, sole e mare. E profumi d’altri tempi.

E mentre nuoti o fai la passeggiata ti scopri a scrutare le finestre della torre e a immaginarti affacciato Corradino di Svevia che si ritirò in quella fortezza, dopo la sconfitta di Tagliacozzo, prima che i “signori” del posto lo consegnassero a Carlo D’Angiò, re di Napoli che ne ordinò la decapitazione.

O quando fiancheggi la pineta, descritta persino da Gabriele D'Annunzio come “sovrammirabile opera d'incanto-aracnea”, ti trovi a scrutare le orme lasciate dai turisti poco prima e immagini quelle impresse da Cicerone che proprio lì possedeva una villa dove amava trascorrere parte del suo tempo. “Astura locus quidam amoenus, in mari ipso, qui ab Antio et circejs aspici possit“, scriveva lo scrittore.

Ed è ancora così, come allora. Lo sguardo abbraccia, in quel luogo ameno, i contorni del Circeo e la città di Anzio. In un battito di ciglia.

Chiara Farigu

                                       Torre Astura- scatto di Chiara Farigu




sabato 18 luglio 2020

UN ANNO SENZA LUCIANO DE CRESCENZO


E’

 passato un anno dalla scomparsa di  Luciano De Crescenzoscrittore, attore, regista, autore televisivo e molto altro ancora. Avrebbe compiuto 91 anni di lì a poco, il 28 agosto. Soffriva da tempo di una patologia neurologica, il quadro clinico, già abbastanza compromesso peggiorò in seguito ad una polmonite.
Ha lasciato un grande vuoto nella sua Napoli e nell'Italia tutta che da sempre lo seguiva con grande affetto. Sin da quando, lui, ingegnere dell’Ibm ma con una grande passione per la filosofia che sapeva divulgare con una semplicità pregna di ironia, ospite in una puntata del Maurizio Costanzo Show, buttò con nonchalance la domanda: ‘È meglio che faccia lo scrittore o che torni a fare l’ingegnere’? In mano aveva il suo primo libro ‘Così parlò Bellavista’. La risposta non si fece attendere. 
Da quel momento in poi i suoi libri andarono a ruba, oltre 20 milioni le copie vendute nel mondo. ‘Sembra ieri’, ‘Il pressappoco’, ‘Il caffè sospeso’, ‘Tutti santi me compreso’, ‘Gesù era nato a Napoli’, ‘Socrate e compagnia bella’, ‘Storia della filosofia greca’, ‘Garibaldi era comunista’, sono solo alcuni titoli delle oltre cinquanta opere scritte e tradotte in 25 lingue.
L’ironia, la sua arma più seducente. Con la quale sapeva catturare i telespettatori e i cuori delle donne, affascinate oltre che dalla sua grande cultura, dai suoi bellissimi occhi azzurri. Grande affabulatorenessuno come lui era capace di raccontare vizi e virtù della sua amatissima Napoli. Dal sodalizio con Renzo Arbore, col quale esordì come attore nel film ‘Il Pap’occhio’, nacque ‘Così parlò Bellavista’, ancora oggi un cult gettonatissimo nelle tv private.
‘Era maledettamente ancorato al presente’, ricorda sua figlia Paola. E’ stato un uomo che ha osservato il mondo con curiosità̀, ma soprattutto ha provato a spiegarlo ai suoi lettori, invitandoli a ragionare su ciò̀ che sarebbe accaduto nel prossimo futuro. Rileggendo gli articoli che ha scritto tra la fine degli anni Settanta e i primi anni del Duemila, mi sono accorta che alcuni temi da lui approfonditi, come per esempio l’omosessualità̀, il nucleare, l’inquinamento, la corruzione, o ancora l’influenza della tecnologia nei rapporti sociali, il problema delle carceri e la cosiddetta “questione meridionale”, sono ancora al centro di accesi dibattiti’.
Scritti quasi profetici. Come l’ultimo ‘Accadde domani’, edito in questi giorni da Mondadori, a conferma, qualora ce fosse bisogno, che la sua voce e i suoi scritti continuano a vivere
Chiara Farigu 
Luciano De Crescenzio. Immagine 'commons wikimedia'


venerdì 17 luglio 2020

LARISSA, SECONDA SOLO A MAMMA FIONA. PER ORA



È
di certo il personaggio del momento Larissa Iapichino. Un nome che ai più dirà poco o niente ma se lo si accosta a quello dei suoi genitori il gioco è fatto. Due grandi dello sport italiano, Fiona May, due volte campionessa mondiale di salto in lungo, e Gianni Iapichino campione di salto con l'asta e successivamente allenatore di Fiona.

Una figlia d'arte, Larissa. Anche se orgogliosamente preferisce essere citata non come ‘la figlia di’ ma per quello che è riuscita a dimostrare sul campo. La sua specialità, il salto in lungo, la stessa della celebre mamma alla quale somiglia come una goccia d’acqua.

Ieri, nel meeting di Savona 2020 ha fatto registrare le seconda prestazione italiana di sempre nel salto in lungo con ben 6,80 metri e +0.7 di vento a favore. E’ seconda nella classifica di tutti i tempi, dietro alla madre Fiona, ma la questa prestazione è anche il record italiano under 20. Record che per Larissa è il più dolce e meritato regalo di compleanno, domani 18 luglio la giovane saltatrice entra ufficialmente nella maggiore età.
E ora la primogenita di casa Iapichino sogna le olimpiadi. E perché no, centimetro dopo centimetro di arrivare anche ai 7,12 metri per strappare quel primato conquistato nel ’98 a Budapest da mamma Fiona. Le premesse ci sono tutte: di fatto Larissa salta ben 64 cm in più della madre alla sua stessa età.

E pensare che di questa specialità l’atleta fiorentina (è nata a Borgo San Lorenzo) non ne voleva sapere. Per ben otto anni si è dedicata alla ginnastica artistica. L’atletica è arrivata dopo, quasi per caso, nel 2015 quando la mamma l’ha portata a vedere un meeting a Montecarlo. E’ stato subito amore dopo averlo a lungo contrastato. Larissa è specializzata in ostacoli e salti in lungo dove ha raggiunto il record di 6,64 agli ultimi campionati allievi italiani di Agropoli.
Ieri il nuovo record italiano al meeting di Savona. A livello mondiale, in un solo anno è salita di ben 96 posizioni collocandosi al numero 30.

Campionessa sul campo e campionessa sui libri. Frequenta con profitto il liceo scientifico e proseguirà la formazione universitaria. ‘Sono una ragazza normalissima, racconta nelle interviste. Amo fare shopping, uscire con gli amici e andare a ballare’.
Sarà pure normalissima, per carità, ma certamente è solo  da campioni saltare con la determinazione e la precisione della diciottenne fiorentina. Che al pari della celebre mamma sta già regalando emozioni e medaglie ai tifosi e all'Italia. E tante altre, se queste sono le premesse, ne regalerà
Chiara Farigu
Larissa Iachipino- Foto profilo Instagram




mercoledì 15 luglio 2020

AUTOSTRADE, PASSO INDIETRO DEI BENETTON. PASSA LA LINEA DEL GOVERNO CONTE



 

D

etrattori opinionisti e perditempo che rimbalzano da un talk all'altro in tv scommettevano che anche l’ultimo CdM (chissà perché questo governo predilige l’orario notturno si domandava ieri un esterrefatto Paolo Mieli a #Cartabianca), avrebbe optato per l’ennesimo rinvio riguardo  alla spinosa questione Autostrade. Un po’ per vedere l’effetto che fa e molto per continuare a tirare a campare.

Gli stessi, che oggi, ad accordo raggiunto tacciono o continuano a sbraitare, in primis la Meloni dalla pagine di Libero. ‘Niente revoca col favore delle tenebre. Con il PD i Benetton dormono tranquilli’, tuona la leader di FdI. Aggiungendo che con Autostrade è finita a tarallucci e vino visto che da qui a un anno è facile che il governo non sia più lo stesso.

Come sarà tra un anno, e molto probabilmente anche prima, solo gli eventi e gli scossoni politici potranno dirlo.

Oggi invece sappiamo quanto è stato deciso stanotte in CdM. Dopo un negoziato snervante durato oltre sei ore, Aspi diventerà di fatto pubblica con l’ingresso di Cassa Depositi e Prestiti, socia al 51% e la progressiva fuoriuscita di Atlantia.

Accolta praticamente la linea del governo Conte che ha tenuto duro sulla trattativa e anche sui mal di pancia all’interno della stessa maggioranza. 
La famiglia Benetton fa un passo indietro e rinuncia a qualunque possibilità di eventuali ricorsi ai danni dello Stato, compresa una revisione complessiva della concessione e anche alla possibilità di potersi pagare dei dividenti.  Sì invece ai risarcimenti da 3,4 miliardi di euro come penale per il crollo del ponte Morandi e sì anche al calo dei pedaggi in linea con le indicazioni dell’Autorità dei Trasporti.

Cdp ha ricevuto mandato per avviare entro il 27 luglio il percorso che porterà all'uscita progressiva dei Benetton da Autostrade.

Si conclude così, o meglio si avvia a conclusione quel lungo e tormentato tira e molla iniziato con Autostrade all'indomani del crollo Morandi dove persero la vita 43 persone. Per la famiglia Benetton che fa non uno ma diversi passi indietro un’unica certezza: se non rispetterà l’accordo sarà revoca immediata. Con tutto quel ne segue.

‘Senza il M5S al governo tutto questo non sarebbe mai avvenuto’, esulta l’ex ministro dei Trasporti Toninelli. ‘Torna agli italiani ciò che era sempre stato loro’, commenta Patuanelli, in buona compagnia con Franceschini che riconosce alla fermezza di Conte il raggiungimento dell’insperato accordo

Chiara Farigu
Presidente Conte. Immagine commons.wikimedia.org


lunedì 13 luglio 2020

ISTAT: CULLE SEMPRE PIÙ VUOTE. MINIMO STORICO NASCITE DALL'UNITA’




S
olo 10 anni fa per ogni 100 residenti morti i neonati erano 96. Oggi se ne contano a malapena 67.

Si tratta ‘del più basso livello di ricambio naturale mai espresso dal Paese dal 1918’, recita l’ultimo report dell’Istat  sugli indicatori demografici.

Calano le nascite e di conseguenza calano i residenti, al primo gennaio del 2020 si contano 60 milioni 317mila italiani: oltre 180mila in meno su base annua. Non solo.

Stiamo diventando un Paese di vecchi e per vecchi.

Le cause? Più o meno le stesse che ci portiamo appresso da oltre un decennio: una crisi dura a morire e politiche insufficienti a favore dei giovani i quali, sempre più spesso,  mettono in valigia sogni e aspettative e oltrepassano i confini in cerca di nuove e più redditizie opportunità lavorative.
Difficile metter su famiglia in assenza di lavoro o con lavori precari e per di più sottopagati.  Ancora più difficile poi per le donne riuscire a conciliare lavoro e famiglia. Pochi e insufficienti gli investimenti sulle famiglie, quasi inesistente la flessibilità sul lavoro.
 E questo per molte di loro comporta  dover scegliere tra un figlio o il lavoro. Una scelta sofferta. Che porta a rimandare il desiderio di maternità, è di 32,1 anni l’età media della prima gravidanza, e a contenere il numero dei figli, sempre più spesso unico.
Le conseguenze, come evidenzia l’odierno ‘Bilancio demografico nazionale 2019’ dell’Istat è l’inevitabile fenomeno delle ‘culle vuote’. Vuote di speranze, vuote di  ricambio generazionale, vuote di linfa vitale, ‘un problema per l’esistenza stessa del Paese’ come ebbe a dire tempo addietro anche il Capo dello Stato.
La diminuzione delle nascite è di -4,5%, ovvero di oltre 19mila unità in meno rispetto al 2018. 
Calo che si registra ovunque nella penisola con una percentuale  più elevata al centro. 
Aumentano anche i cittadini che scelgono di stabilirsi all'estero: nel 2019 le cancellazioni dall'anagrafe hanno avuto un picco di un +16,1, pari a oltre 180mila unità. 
In cinque anni, sottolinea il report dell’Istat, si è perso l’equivalente di una città come Genova o Venezia. Il Molise risulta essere la regione a maggior rischio spopolamento, seguito da Calabria e Basilicata.
Chiara Farigu
Immagine Pexel




domenica 12 luglio 2020

MIA MADRE E QUEL MALE INVISIBILE CHIAMATO 'CEFALEA CRONICA'

M

e la ricordo mia madre in balia delle sue cefalee. Gli attacchi erano improvvisi. Dolorosissimi. A volte incolpava il vento che spirava forte, altre il caldo eccessivo, altre ancora la stanchezza, il termine stress a quei tempi non si usava, ma il più delle volte il fattore scatenante era un mistero.

Quando il dardo arrivava la vedevi correre in bagno dove rimetteva anche l'anima benché non avesse neppure mangiato per poi fasciarsi la testa con un foulard che stringeva forte sulle tempie prima di sdraiarsi al buio. In quei momenti non c'era per nessuno. Neanche per se stessa.

Immancabile nelle tasche dei suoi vestiti una confezione di Aspro, l'analgesico che a quei tempi era il farmaco buono per tutti mali o ritenuto tale. Ne ingurgitava di continuo, una due tre pillole, a seconda dell'intensità della crisi. Riusciva a mandarle giù anche senza acqua convinta che prese a secco facessero più effetto.

Quando durante la pubertà ho conosciuto i miei primi mal di testa ho temuto di aver avuto in dote una dolorosa eredità. Che poi si è rivelata di tutt'altra natura e altra intensità. Per fortuna.

Intorno ai 50 anni per mamma si rese necessario un ricovero in ospedale. Durante gli accertamenti di protocollo le venne diagnosticato un solo rene per giunta a forma di ferro di cavallo. Il cui funzionamento non andava oltre il 20-25% (con gli anni si sarebbe ridotto ancora e poi ancora). Quelle terribili emicranie è quasi certo che fossero causate da quell'insufficienza renale mai curata, in quanto sconosciuta, per ben cinque decenni.

Come fosse riuscita a mettere al mondo cinque figli con quella ‘anomalia’ era un mistero per i medici che l’ebbero in cura. Il suo divenne ‘un caso’. Da studiare e analizzare per gli stessi medici e ancor più per i tirocinanti che la mattina erano al seguito del primario durante le visite.

Anni dopo, nei primi anni di insegnamento, conobbi una collega in preda a terribili emicranie. Anche lei vittima della stessa patologia ritenuta invisibile fino a ieri. Come loro, circa otto milioni in Italia. La gran parte, donne.

Con la legge approvata ieri che riconosce la cefalea cronica come malattia sociale in quanto invalidante, un doveroso, anche se tardivo, riconoscimento.

Chiara Farigu

Cefalea-Immagine Freepik



sabato 11 luglio 2020

CEFALEA: E’ MALATTIA SOCIALE. SENATO APPROVA DDL

I

n Italia sono circa 7/8 milioni di persone, pari al 12% della popolazione a soffrire di cefalea cronica.

 C'è voluta una legge per definire, una volta per tutte, che la cefalea cronica è una malattia sociale, invalidante. 

 

Con la normativa, approvata definitivamente l'otto luglio scorso a Palazzo Madama con 235 voti favorevoli, 2 contrari e nessuna astensione, la malattia che colpisce in particolare il sesso femminile, e fino a ieri invisibile, 'esce da quel cono d’ombra in cui è sempre stata'.  Come sostengono Arianna Lazzarini (Lega) e Giuditta Pini (PD), le due firmatarie del ddl fresco di approvazione.

Per assurgere a patologia da contrastare e curare con metodi innovativi dopo certificata diagnosi. Rilasciata al paziente che ne soffre da almeno un anno da un centro diagnostico accreditato nel settore.

 

L’Italia fa da apripista essendo  il primo Paese dell’Unione Europea ad adottare il provvedimento che permetterà di individuare metodi innovativi per contrastare la malattia. Che, come ricordano gli specialisti, non fa morire ma di sicuro fa vivere molto male, con dieci e anche venti crisi al mese in chi ne va soggetto.

 

Sono molti e diversificati i fattori scatenanti il mal di testa che possono essere riconducibili dal comune stress emozionale/fisico allo scarso riposo dell’organismo a causa di sonno insufficiente o disturbato che alterano il normale ritmo sonno/sveglia. Ma anche le fluttuazioni dei livelli ormonali nella donna legati al ciclo mestruale, la mal nutrizione, la disidratazione e il consumo di alimenti specifici. Così come la carenza di vitamine e sali minerali. A volte i fattori scatenanti sono riconducibili ad altre patologie conclamate e disturbi infiammatori.

 

Da qui la difficoltà e le lungaggini per diagnosticare la malattia. Della quale se ne conoscono di diversi tipi, almeno sei:  1) l’emicrania cronica e ad alta frequenza; 2) la cefalea cronica quotidiana con o senza uso eccessivo di farmaci analgesici; 3) la cefalea a grappolo cronica; 4) l’emicrania parossistica cronica; 5) la cefalea nevralgiforme unilaterale di breve durata con arrossamento oculare e lacrimazione; 6) l’emicrania continua. Tutte comprese nel disegno di legge appena varato al Senato.

 

Un riconoscimento doveroso. Che consentirà ai pazienti che ne soffrono, previa diagnosi certificata, di accedere alle cure necessarie, e senza il pagamento di alcun ticket, di intraprendere una vita sociale soddisfacente. ‘Ci sentiamo più compresi, non più persone sbagliate che non riescono a gestire la loro vita. Con l’approvazione della normativa, noi esistiamo. E’ come rinascere, avere un certificato che dica che adesso esistiamo, questo il commento dell’associazione pazienti Al.Ce (Alleanza cefalalgici) dopo il sì del Senato che riconosce la cefalea come malattia sociale, vale a dire invalidante.


Chiara Farigu

CEFALEA-IMMAGINE PIXABAY

 

 

 

 

 

 


venerdì 10 luglio 2020

DIARIO ESTIVO. LA CELLULITE E' FEMMINA

I


n spiaggia, poco distanti da me, due ragazze. Avranno sì e no 17/18 anni, un fisichetto niente male ma sono terrorizzate da eventuali cuscinetti di cellulite. Il mio occhio scrutatore, sebbene a debita distante, non ne intravede neanche l'ombra. Ma loro, sì. L'una guarda l'altra e l'altra fa un' attenta radiografia all'una: lo vedi, questo è un cuscinetto, e pure questo. E giù a strizzarsi le cosce in cerca dell'odiato buchino.

Sorrido e torno indietro nel tempo. A qualche decennio fa.

Ero in campeggio a Costa Rey, una delle spiagge più belle della mia isola. Dopo un'abbuffata di mare e sole decidiamo per un'abbuffata vera: antipasti vari, pizza, birra fresca e una coppa di gelato per chiudere in bellezza.

'Con questa pizzata, cellulite assicurata', profetizza Patrizia.

Ci rabbuiamo ma giusto per un attimo. 'Io è che faccio troppa vita sedentaria' azzarda Pinella. 'A me hanno detto che devo bere più acqua', le risponde Anna. 'È tutta colpa delle gravidanze ... da allora è iniziata la devastazione', aggiunge Graziella, che tutto sommato era la più magra del gruppo.

'Non c'è niente da fare: la cellulite è femmina. Prima o poi tutte noi dovremo scontrarci con l'odiata pelle a buccia d'arancia. Non c'è scampo', stavo concludendo, quando incrocio lo sguardo della cameriera che sembra volermi dire: si, parla parla..a me col cavolo che mi viene!

Ci guardiamo e la guardiamo: era perfetta. Sopra un gonnellino che le fasciava, beata lei, un lato B da paura, due gambe toniche e ben tornite, di cellulite, manco col binocolo. Piccoletta ma disegnata da abili mani d'artista.

E che cavolo! Giovane bella e pure senza neanche l'ombra di un buchino piccolo piccolo.

Non so perché le intravedo un sorriso beffardo.

'Tranquilla, se c'è giustizia divina, l'avrai anche tu! La cellulite è femmina, non perdona'!
E giù a ridere. Tra un boccone e l'altro e, davanti agli occhi, uno dei tramonti più belli che abbia mai visto.

'Serata con pizzata allegria assicurata': domani è un altro giorno. 
        Cellulite- Immagine Freepick

mercoledì 8 luglio 2020

RITORNO A SCUOLA? MEGLIO L'EDUCAZIONE PARENTALE. LA SCELTA SOFFERTA DI UNA MADRE



B
uongiorno maestra, come sta? Intenta com'ero a leggere la lista della spesa, non mi ero accorta della presenza della signora che mi salutava. Anni addietro è stata la mamma di un mio alunno, ora in quarta elementare.

Dopo i convenevoli di rito, accenna alle difficoltà che la famiglia sta vivendo a causa della pandemia. Il marito, gestore di una palestra, è al limite della chiusura. Le nuove regole imposte mal si adattano agli sportivi e ancor più ai luoghi in cui si praticano gli allenamenti. 

Il distanziamento, mi riferisce la donna, ha di fatto imposto che molti macchinari, come tapis roulant presse panche e quant'altro, venissero sigillati e spostati in depositi (con altri affitti da pagare) in attesa di tempi migliori. Gli stessi sportivi, dapprima numerosi, ora si contano sulla dita di una mano. Molti, durante il confinamento, si sono organizzati acquistando macchinari usati da utilizzare in casa, altri si sono dati al jogging, mentre la gran parte si è proprio ‘data’. Se ne riparlerà, dicono, quando quest’incubo finirà. Sempre ammesso che finirà.

Ascoltavo in silenzio le sue preoccupazioni. Non ho potuto fare a meno di notare le piccole rughe attorno ai lati suoi occhi, segno evidente delle tanti notti insonni di questi ultimi mesi.

A tenerli svegli, lei e suo marito, il lavoro, sempre più scarso e il futuro del loro unico figlio. ‘Sa, maestra, il ritorno a scuola, a settembre, così come lo stanno progettando, ci preoccupa molto’.

Stanno seguendo con molta trepidazione la vicenda ‘riapertura’. La confusione è tanta, sostiene, e i genitori sono disorientati da tanta superficialità al limite dell’incompetenza.

Difficile darle torto. Ogni giorno viene prospettato un nuovo scenario che si aggiunge alla lista delle già traballanti ‘linee guida’ stilate dai cosiddetti tecnici che affollano il ministero dell’istruzione.

‘Vede, mi rivela prima di accomiatarsi, stiamo pensando di non far frequentare la scuola ad Andrea quest’anno. Ci stiamo informando per la cosiddetta ‘educazione parentale’, quella per la quale sono le famiglie a decidere come educare i propri figli e non lo Stato’.

Rimango di stucco. Da maestra fin dentro il midollo, che ha sempre creduto e continua a credere, nonostante i limiti e le carenze da sempre presenti nella scuola pubblica, che questa, se non per gravissimi e comprovati motivi,  possa essere una scelta radicale e molto discutibile. Per quanto sofferta e ragionata.

‘La terrò presente perché avrò bisogno non di una ma di molte mani  se optiamo per il fai da noi’, mi dice andando via, senza darmi il tempo di replicare.

Chiara Farigu



martedì 7 luglio 2020

DIARIO ESTIVO. LA PLAYA, TRE BAMBINI TRE RICORDI

  


   

U

 

n gruppetto di bambini attira la mia attenzione. Giocano a lanciarsi 'polpette' di sabbia, poi si buttano in acqua per sciacquarsi e ricominciare daccapo. Sono belli da vedere, si divertono con poco, ridono, finalmente liberi dopo mesi di quarantena.


Tre di loro mi riportano indietro nel tempo, nelle fattezze mi ricordano tre piccoli alunni che mi sono rimasti nel cuore. Quello più moretto ha lo stesso sorriso di Osama, un simpaticissimo bambino marocchino dallo sguardo vivo, molto intelligente. Arrivava puntualissimo la mattina accompagnato dalla mamma vestita secondo la sua tradizione. Sulla porta, immancabilmente le raccomandazioni di rito, comportati bene, ascolta la maestra, non litigare coi compagni... un botta e risposta tutto rigorosamente in arabo. Certe volte chiedevo 'che ti dice la mamma'? e lui traduceva guardando me e lei che annuiva. Era esonerato dall'insegnamento dell'educazione religiosa, ma usciva malvolentieri dalla classe per fare l'attività alternativa. Al punto che a Natale volle fare la recita insieme ai compagni, vestì i panni di un re magio e cantò tutte le canzoni senza alcun problema, suo e dei genitori che acconsentirono. Ma il primo giorno di mensa fu divertentissimo. Per lui fu chiesto un menù che escludesse gli insaccati e la carne di maiale. Qualcosa però non funzionò e quel pasto alternativo non arrivò. Lui con gli occhi lucidi guardava il piatto, quel prosciutto cotto gli era vietato. 'Mamma ha detto NO prosciutto' ripeteva mentre ne trangugiava un boccone. E pezzo dopo pezzo quel prosciutto sparì dal piatto. Fu l'unica debolezza. In seguito rifiutò sempre anche le polpette di pesce sospettando che fossero simili a quelle dei compagni, fatte, chissà, magari col macinato misto. Ah, Osama!

Quell'altro con gli occhialini alla Harry Potter sembra proprio Francesco, uno scricciolo di bambino con un vocabolario da adulto. Lui non si ammalava come gli altri. Il suo mal di pancia era dovuto ad un virus intestinale, il suo mal di gola era causato dallo streptococco. Due spanne sopra i compagni nella rielaborazione di storie e attività motoria per lui, figlio di una collaboratrice scientifica, una di quelle, per intenderci, che ti scavalcano quando, dopo ore di attesa, è arrivato il tuo turno per entrare dal medico.

Il terzo, con quel ciuffo ribelle, mi ricorda Marco. Un genietto. Non semplice da gestire, un artista in erba. Il primo o il secondo giorno di scuola disegnò un bambino completo in tutte le sue parti, con un lungo collo. “Ho fatto il collo alla Modigliani” mi disse prima che ponessi qualche domanda, lasciandomi senza parole. Ricordo il mio disappunto il primo giorno di scuola alla primaria quando le docenti dell’infanzia passano il testimone alle colleghe delle elementari. Ero lì a “raccontare” i miei piccoli alunni alle nuove maestre che nel frattempo avevano assegnato loro il primo elaborato: disegna te stesso. Mentre gli altri si limitarono a disegnare uno schema corporeo che in qualche modo li raffigurasse, lui il “se stesso” lo mise in quel nuovo insieme. I nuovi compagni, le maestre, la lavagna, gli addobbi di 'benvenuto in prima'. Una ricchezza di dettagli, meravigliosi, che però infastidì la nuova maestra che lo riprese perché non si era attenuto a quanto richiesto. Che miopia didattica: come si può imbrigliare la creatività tarpando le ali a chi ha il dono di saperla esprimere?

Basta una parola, un gesto, un sorriso e dal cassetto dei ricordi spuntano Antonio, Elettra, Alice, Francesca, Valerio … tutti unici e irripetibili, come gli anni trascorsi con loro

Chiara Farigu

Anzio, La Playa. Scatto di Chiara Farigu

lunedì 6 luglio 2020

LUGLIO-AGOSTO, COVID MIO NON TI CONOSCO




S

e non fosse per Zaia che ha ripreso a tuonare contro i trasgressori delle regole anti-contagio (visto la nuova impennata di positivi nella sua regione), o qualche bollettino medico che ancora sforna dati e previsioni, si potrebbe dire che la stragrande maggioranza degli italiani del 'bastardo' non ne voglia più sapere. Nonostante giri ancora indisturbato, come un giorno sì e l’altro pure ci ricordano gli esperti.

E se poco più di un mese fa stavamo tutti a domandarci se avremmo potuto fare o meno le vacanze, andare al mare e in che modo, oggi sembra tutto dimenticato. Almeno così sembra. In città e ancor più nei luoghi di villeggiatura.

Dov'è finita quella sfilza di regole che avremmo dovuto rispettare senza se e senza ma secondo i dettami del CtS? Il distanziamento tra un ombrellone e l’altro, tra lettini e sdraio, tra gli stessi bagnanti se non legalmente congiunti o perlomeno conviventi? L’uso di mascherine, gel disinfettanti e accorgimenti vari per scongiurare ogni possibile pericolo?

Che ne è stato degli ingressi contingentati, della sanificazione continua di lettini sedie e armamentari vari?

Dopo i primi pallidi tentativi di metterli in atto, molti di questi sono stati dimenticati. Archiviati. Gettati alle ortiche. La voglia di vivere, di riappropriarsi della proprie abitudini, della quotidianità fatta anche di piccole cose ha preso, viva iddio il sopravvento.

Il sole, l’aria aperta, il mare hanno fatto il resto.

Lasciando le tante domande senza una risposta. Che forse non c’è. O forse si se prendiamo per buona questa impressa da un bagnante  sulla sabbia che l’acqua del mare non ha ancora cancellato: ‘luglio-agosto, covid mio non ti conosco’.

Ed eccoci qui, tutti insieme appassionatamente assembrati per goderci questa meritata estate. O almeno una parte di essa.  Per il covid, o meglio ‘la covid’, per dirla con l’Accademia della Crusca, se ne riparlerà da settembre in poi, ma anche no, Dio permettendo. O chi per lui

Anzio- Scatto di Chiara Farigu 


La nonna paterna? Una nonna a metà (con poche eccezioni)

  Essere nonne è un dono meraviglioso che la vita riserva a chi ha avuto la gioia di essere prima mamma. E’ come diventare madri una seconda...