Lo abbiamo detto e ribadito appena due giorni fa, in occasione dell’otto marzo, che essere donne non è facile e che c’era ben poco da festeggiare.
A conferma di quanto la strada per conseguire la parità dei diritti sia ancora lunga e impervia, la vicenda di Laura Lugli, pallavolista del Volley Pordenone che denuncia: ‘Io, incinta, citata per danni dal mio club e criminalizzata come se mi fossi dopata’.
E’ la stessa giocatrice, in raccontare la sua storia nel suo profilo Facebook. I fatti risalgono al campionato 2018/2019.
A marzo 2019 comunica al suo club l’impossibilità di proseguire la stagione perché incinta. E la società, come da prassi per queste situazioni, rescinde il contratto. Quando, dopo l’aborto spontaneo, chiede il pagamento dell’ultimo stipendio pendente, si vede recapitare una citazione per danni. Le accuse sono alquanto pesanti: aver mentito sulla sua intenzione di avere figli e di aver perso, a causa della sua assenza, posizioni in classifica e di conseguenza sponsor per l’anno successivo.
‘E’ incredibile che nel 2021 essere incinta debba essere considerata come una mancanza di professionalità, criminalizzata come l’assunzione di cocaina e la conseguente positività a un controllo antidoping. È incredibile che una donna venga umiliata in questo modo e anche i suoi dolori e dettagli molto privati della sua vicenda personale vengano usati. Il tutto per 2500 euro’.
E’ incredibile sì, ma soprattutto è inaccettabile che al giorno d’oggi una donna debba essere ancora messa nella condizione di dover scegliere se essere madre o lavoratrice. Alla faccia delle cosiddette pari opportunità con le quali ci si continua a riempire la bocca ma mai però a mettere veramente in pratica.
Il club sportivo non ci sta ‘verità ribaltata’, replica dopo il clamore suscitato. ‘Di fronte alla maternità ci siamo limitati a interrompere consensualmente il rapporto mantenendoci in costante contatto con la giocatrice anche nel doloroso momento che ha affrontato poche settimane dopo. Solo quando ci è arrivata l’ingiunzione di pagamento ci siamo opposti e abbiamo attivato le clausole del contratto’.
Qualunque sia la verità, la parola passa ora ai giudici.
Intanto l’Associazione Nazionale Atlete chiama in causa il premier Draghi e il presidente del Coni, Malagò per chiedere ‘cosa intendano fare “per mettere fine alla vergognosa situazione per la quale le donne italiane, non avendo di fatto accesso alla legge 91 del 1981 sul professionismo sportivo, vengono esposte a casi clamorosi come quello dell’atleta Lara Lugli’.
No, non è facile essere donne. Se poi si è costrette, previo licenziamento, ancora oggi, nel 2021, a dover scegliere tra essere madri o lavoratrici è maledettamente sbagliato. Ma forse non ci indigniamo ancora abbastanza.
Chiara Farigu
*Immagine web
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