il blog di chiarafarigu

lunedì 3 maggio 2021

Massimo Ranieri, i 70 anni dello ‘scugnizzo' della musica italiana

 Era solo un ragazzino quando si sentì intimare dal padre ‘smettila di cantare che ci servi a casa’. E lui, Gianni Calone, in arte Massimo Ranieri, quinto di otto figli, iniziò fin da allora a guadagnarsi la pagnotta. Lavoretti umili, strillone di giornali, garzone di una panetteria, fattorino, commesso, barista, per portare in famiglia qualcosa, ma quel consiglio paterno, come si suol dire quando c’è la passione, da un orecchio gli entrò e dall’altro gli uscì.

Nato a Napoli nel rione Pallonetto a Santa Lucia, Massimo compie oggi 70 anni. Il suo debutto avvenne che era ancora uno  ‘scugnizzo’, 13 anni appena. Cantava in un bar quando viene notato da un discografico che gli propone di partire per un tour americano al fianco di Sergio Bruni.

E’ l’ inizio di una carriera sfolgorante che non ha conosciuto scossoni o momenti bui. Perché Massimo non è solo un cantante ma un artista a tutto tondo: cantante, attore, conduttore televisivo, regista teatrale, showman, doppiatore e ballerino. Con oltre quattordici milioni di dischi al suo attivo, è tra gli artisti italiani che hanno venduto il maggior numero di dischi nel mondo.

A 17 anni debutta a Sanremo in coppia con i Giganti col brano Da bambino. Ci torna nel 1969 con Quando l’amore diventa poesia, insieme a Orietta Berti, e nello stesso anno partecipa al Cantagiro con una delle sue canzoni più famose: Rose rosse.

Numerosi i suoi successi canori che hanno fatto da colonna sonora a intere generazioni di giovani: Vent’anni, Erba di casa mia, Se bruciasse la città, Perdere l’amore, brano col quale si aggiudicò la vittoria di Sanremo nel 1988, sono solo alcuni tra i più celebri e ‘sempreverdi’. Così come numerosi, ma perché alimentati dalla stampa e dalle case discografiche di riferimento che li volevano rivali, i ‘duelli’ con Gianni Morandi, altro astro nascente dell’epoca o con Al Bano.

Il teatro, un’altra grande passione, così come il cinema. Indimenticabile protagonista di ‘Barnum’, musical di grande successo dove oltre a recitare, cantare e ballare, Massimo  imparò a camminare sul filo, istruito dagli acrobati del circo di Liana Orfei, o in ‘Metello’ diretto dal grande regista Mauro Bolognini.

A chi gli domanda se preferisca fare l’attore o il cantante, l’artista partenopeo risponde : ”Io cerco di fare l’uomo di spettacolo”. E lui Massimo, nomen omen, anche se d’arte, mai pseudonimo fu così azzeccato, lo ha fatto e continua a farlo alla grande. Emozionandoci sempre, da qualunque palco schermo o studio televisivo.

Auguri Massimo!

Chiara Farigu 

*Immagine web

Dal baule dei ricordi. Storie di vita e di morte

 Avevo partorito da qualche ora il mio secondogenito. Uno scricciolo di bimbo venuto al mondo con 3 giri di cordone ombelicale attorno al collo. Sembrava un piccolo marziano, ricoperto com’era di una melma verdastra e con un orecchio piegato. Ci volle un bel po’ per sentirlo piangere e più di qualche “sculacciata” terapeutica sul suo sederino rugoso. Era evidente che non aveva vissuto il periodo pre-natale in un habitat adeguatamente confortevole.

Non poteva essere altrimenti.

Veniva alla luce dopo una gravidanza a rischio ed un lento ma inarrestabile cambiamento del mio fisico minuto: aumento ponderale smisurato, valori pressori sballati, proteinuria e albuminuria fuori controllo con conseguenti edemi in diverse parti del corpo. I sintomi premonitori della pre-eclampsia c’erano tutti. Ma la giovane età, appena 24 anni, ebbe la meglio su quei segnali che i medici sottovalutarono ma che esplosero violenti  dopo qualche ora dal parto catapultandomi in uno stato comatoso per 48 interminabili ore.

Le mie condizioni erano davvero preoccupanti tanto che in paese si sparse la voce della mia prematura dipartita. Ma i medici dell’Ospedale Civile di Cagliari seppero riscattarsi alla grande e, dopo gli errori precedenti, far fronte alle conseguenti complicanze.

L’eclampsia, conseguenza di una gestosi gravidica portata all’estremo, generalmente culmina con la morte della gestante e/o anche del nascituro, ma è ancora più insidiosa se si manifesta dopo il parto e su donne non primipare. Ed io c’ero dentro con tutte le scarpe. Allo scadere delle 48 ore, con grande sollievo dei medici e ancor di più di mio marito che non si era allontanato un solo istante dal mio capezzale, cominciò il mio ritorno alla vita. Lento, sofferente ma determinato.

Un risveglio, il mio, concomitante col grande boato  che fece tremare le terre del Friuli che causò la morte di oltre 1000 persone e tanta distruzione. Quel sisma fu avvertito in quasi tutta l’Italia centro-settentrionale, fino oltre Roma. Un evento che suscitò un forte impatto sull’opinione pubblica; peraltro fu anche il primo terremoto in cui ‘la diretta’ televisiva portò le immagini del dolore e della distruzione in tutte le case italiane.  Furono 137 i Comuni colpiti dalla scossa. Tremila i feriti. Circa 80mila gli sfollati. Scattò subito la solidarietà. Ai   friulani si aggiunsero tanti giovani arrivati da ogni parte d’Italia per portare sostegno e salvare vite umane.

In ospedale le notizie giungevano filtrate dai parenti in visita.  A quei tempi i telefonini e i dispositivi digitali odierni, le tv commerciali e le pay-tv, non erano neanche contemplati, per il resoconto della tragedia bisognava aspettare i tg della Rai.

Quant’era stridente e doloroso il contrasto tra la sofferenza e la morte,  che arrivava da fuori, con l’atmosfera che si respirava in quel reparto ostetrico dove tutto inneggiava al miracolo della vita.

Le due facce del nostro destino si palesavano in contemporanea con immagini uniche, irripetibili e  reali, seppur drammatiche.

Immagini e sensazioni ancora saldamente impressi nella mente, pronti però a far capolino dinanzi ad un ricordo o ad un evento speciale, come può essere la ricorrenza odierna  data da questo compleanno.

Sembra ieri, ma succedeva esattamente 45 anni fa. Una vita fa

Chiara Farigu 

*Immagine pixabay

mercoledì 28 aprile 2021

28 aprile: ‘Sa die de sa Sardigna’, la giornata del popolo Sardo

 Oggi, 28 aprile, in Sardegna è festa “nazionale”. Festa che, per il secondo anno consecutivo, a causa della pandemia ancora in corso, si festeggia nel chiuso delle proprie case, esponendo, chi vuole e chi può, fuori dai balconi la bandiera dei 4 mori.

E’ una ricorrenza della quale si parla poco e soprattutto si studia poco.

Sui libri di scuola non ve n’è traccia e se in qualche modo riesce a ritagliarsi uno spazio è grazie all’iniziativa personale di qualche insegnante che ne vuol tenere viva la memoria.

Perché conoscerne i fatti avvenuti in quella circostanza significa conoscere la storia delle proprie radici. E se è vero che la felicità di un popolo passa dalla conoscenza e dalla consapevolezza di ciò che ha subito e di quel che si è conquistato, col sangue dei propri avi, ricordare diventa un dovere. Da trasmettere alle nuove generazioni, anno dopo anno, giorno dopo giorno. Perché la ‘tirannia’ i soprusi le ingiustizie sono sempre dietro l’angolo. E non si è mai adeguatamente attrezzati per non farsi sopraffare.

La festività fu istituita il 14 settembre 1993, su iniziativa del cantautore Piero Marras (allora consigliere regionale eletto nelle file del Partito sardo d’Azione), e dal Consiglio Regionale che approvò la legge n° 44,  nominandola “Sa die de sa Sardigna” (il giorno della Sardegna), ovvero  la Festa del Popolo Sardo da celebrarsi il 28 aprile di ogni anno.

La data è stata scelta per ricordare “i vespri sardi” del 28 aprile 1974 che culminarono con la cacciata del viceré piemontese, Vincenzo Balbiano, accusato di rappresentare la tirannia del re sabaudo. Erano anni tormentati quelli, in Francia e in diverse città d’Europa e del mondo. E la Sardegna non era da meno. Anzi.

L’isola dal 1720, dopo un lungo periodo storico che la vide parte del Regno di Spagna, fu ceduta ai Savoia (duchi di Piemonte), che divennero Re di Sardegna. I Savoia però trattarono l’isola come una “colonia”, incuranti della povertà delle sue genti e dei diritti autonomistici del Regno.

Così i Sardi, stanchi di sopraffazioni e tirannie, chiesero a Torino che venissero lasciati loro gli incarichi più importanti e strategici dell’isola, poiché  i piemontesi  non erano in grado di comprendere e  quindi di  risolvere i problemi economici e  sociali che li riguardavano direttamente.

Più che una richiesta era necessità, di più,  un diritto.

Infatti, dopo aver respinto la flotta francese nel 1793 a Cagliari, i Sardi ritenevano di aver diritto alle cariche politiche e militari più importanti nella loro stessa terra. Ma il Re disse di no. Cominciò allora un malcontento generale che sfociò in un motto rivoluzionario quando Efiso Pintor e Vincenzo Cabras, i maggiori rappresentati del partito dei patrioti furono arrestati. Quegli arresti furono percepite come l’ennesimo affronto al quale si doveva reagire una volta per tutte.

Il 28 aprile del 1974 i viceré e tutti i piemontesi furono cacciati da Casteddu  ‘e susu (Cagliari), i quartieri nobili nei quali risiedevano, portati al porto e imbarcati sulla nave verso il “continente”.  C’è da sottolineare, e non è cosa da poco, che alla rivolta, quel giorno, parteciparono tutti, dai nobili ai contadini, senza distinzione di classe sociale e di ceto.

In  “limba” la festività  è nota anche come Sa di’ de s’aciapa = Il giorno dell’acchiappo,  poiché   la caccia ai  piemontesi, camuffati con gli isolani, fu messa in atto utilizzando qualsiasi stratagemma per poterli stanare e rispedire al mittente, ‘nara cixiri’ (pronuncia ‘ceci’), uno di questi.

La rivolta da Cagliari si diffuse in tutta la Sardegna, diventando una vera e propria rivoluzione.

Un canto,  Procurade ‘e moderare, barones sa tirannia! di Francesco Ignazio Mannu, divenne ed è tuttora considerato l’inno della Sardegna.

La prima strofa, un avvertimento che è già tutto un programma: una denuncia alla tirannia dei baroni:

Procurade ‘e moderare,

barones, sa tirannìa,

Chi si no, pro vida mia,

Torrades a pe’ in terra!

Declarada est ja sa gherra

Contra de sa prepotentzia,

E incomintzat sa passentzia

ln su populu a mancare.

 

Barones, sa tirannìa

procurade ‘e moderare,

procurade ‘e moderare

CERCATE DI MODERARE, BARONI, LA TIRANNIA.

Il canto termina con un incitamento alla rivolta Cando si tenet su bentu est preziosu bentulare (“quando si leva il vento, bisogna trebbiare”). E il 28 aprile trebbiarono alla grande.

Una giornata per riflettere su ciò che siamo oggi con uno sguardo rivolto al passato. Per ritrovare l’orgoglio, l’energia e la determinazione per combattere le sopraffazioni presenti oggi come ieri.

Chiara Farigu 


sabato 24 aprile 2021

Milva, addio alla ‘pantera di Goro’

 Ci lascia oggi, all’età di 81 anni,  un’altra delle interpreti più intense della canzone italiana: Milva, al secolo Ilvia Maria Biolcati.

‘La sua voce ha suscitato profonde emozioni in intere generazioni. Una grande italiana, un’artista che, partita dalla sua amata terra, ha calcato i palcoscenici internazionali, rendendo globale il suo successo e portando alto il nome del suo Paese. Addio alla pantera di Goro’, ha twittato il ministro della Cultura, Dario Franceschini.

Una carriera intensa e di grande successo, la sua.  Una voce graffiante, calda, originalissima.  Al suo attivo ben 173 album, tre dei quali realizzati con un altro grande della musica italiana: Franco Battiato.  E’ stata anche una veterana del  festival di Sanremo, arrivando terza nel ’61 e seconda l’anno successivo senza mai vincere alcuno. Nel 2018 le fu assegnato il ‘Premio alla Carriera’, che fu ritirato dalla figlia Martina Corgnati. 

Un’artista a tutto tondo. Negli anni ’70, sotto la direzione di Giorgio Strehler, divenne una delle attrici italiane più importanti per quanto riguarda le opere di Bertold Brecht, autore al quale dedicò anche due dischi ‘Milva canta Brecht’  e ‘ Milva Brecht’.

Amava diversificare il suo impegno. Passava con grande naturalezza dalla canzone popolare come ‘La filanda’ a quelle più impegnate come ‘Canti per la libertà’ e ‘Milord’, che fu un grande successo di Edith Piaf.

Perfezionista fino all’inverosimile, nel 2010, dopo aver pubblicato il suo ultimo album, decise di ritirarsi a vita privata.

Nel salutare il suo pubblico, mise a nudo le sue fragilità dovute a sopraggiunti problemi di salute  e alla conseguente difficoltà di mantenere immutata quella combinazione di versatilità passione e grande professionalità che da sempre la caratterizzava: ‘Voglio essere ricordata per quello che ho fatto e dato alla musica e al teatro.  Ho qualche sbalzo di pressione, una sciatalgia a volte assai dolorosa, qualche affanno metabolico; e, soprattutto, dati gli inevitabili veli che l’età dispiega sia sulle corde vocali sia sulla prontezza di riflessi, l’energia e la capacità di resistenza e di fatica, ho deciso di abbandonare definitivamente le scene e fare un passo indietro in direzione della sala d’incisione, da dove posso continuare ad offrire ancora un contributo pregevole e sofisticato’.

Un abbandono doloroso. Oggi l’ addio definitivo, dopo una lunga malattia, per  Milva ‘la rossa’.

‘Era grandissima sia come cantante che come attrice. Come teneva il palco lei non lo faceva nessuna. Sono profondamente addolorata perché va via una persona che ho ritenuto amica, una delle poche nell’ambiente musicale. Era una delle poche vere artiste internazionali che l’Italia abbia partorito’, così la ricorda Iva Zanicchi. ‘Io l’Aquila, lei la Pantera, due soprannomi che abbiamo faticato ad accettare. Ci dipingevano come rivali, eravamo amiche’.

Non c’è nessuno come lei. Mi dispiace per le altre cantanti italiane che hanno voci bellissime, ma lei era la più completa. Quando entrava lei sul palco non ce n’era per nessuno’, dice Cristiano Malgioglio, grazie al quale le fu tributato il Premio alla Carriera.

Chiara Farigu 

giovedì 22 aprile 2021

Nasceva oggi Rita Levi Montalcini, premio Nobel per la medicina

 Il 22 aprile del 1909 nasceva a Torino, insieme alla sorella gemella Paola,  Rita Levi-Montalcini, unica donna italiana premio Nobel per la medicina.

Dopo la laurea in medicina, ma fin dai primi anni di università si dedica allo studio del sistema nervoso. Studi che non interrompe neanche dopo la proclamazione delle leggi razziali (la sua famiglia era di origine ebrea) e che continuerà privatamente.

Nel 1947 si trasferisce negli Stati Uniti per continuare le sue ricerche e insegnare neurobiologia.

Nel 1952 si trasferisce in Brasile per continuare gli esperimenti di culture in vitro che porteranno all’identificazione  del fattore di crescita delle cellule nervose, conosciuto con l’acronimo NGF.

Sarà grazie a questa scoperta che nel 1986 riceverà il Premio Nobel.

Nel 1969 rientra in Italia per dirigere l’Istituto di Biologia Cellulare del CNR a Roma; nel 2001 viene nominata senatrice a vita ‘per aver illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo scientifico e sociale’

La professoressa Montalcini ha continuato a studiare e a lavorare ininterrottamente sino alla sua morte avvenuta il 30 dicembre del 2012, alla veneranda età di 103 anni. ‘Il cervello, se lo coltivi funziona, era solita ripetere. Se lo lasci andare e lo metti in pensione si indebolisce. La sua plasticità è formidabile. Per questo bisogna continuare a pensare’.

Coraggiosa, determinata, credeva fortemente nella forza delle donne: ‘Le donne hanno sempre dovuto lottare doppiamente. Hanno sempre dovuto portare due pesi, quello privato e quello sociale. Le donne sono la colonna vertebrale delle società’, questa una delle sue celebri frasi.

Donna, scienziata e maestra di vita: ‘Il male assoluto del nostro tempo è di non credere nei valori. Non ha importanza che siano religiosi oppure laici. I giovani devono credere in qualcosa di positivo e la vita merita di essere vissuta solo se crediamo nei valori, perché questi rimangono anche dopo la nostra morte’. Come i suoi che resteranno nella storia.

Lo scorso novembre la Rai ha reso omaggio alla sua straordinaria vita di donna e di scienziata con una fiction liberamente ispirata ad uno spaccato di vita della studiosa e ricercatrice. A vestire i panni della neurobiologa torinese la bravissima Elena Sofia Ricci che ebbe il privilegio di girare alcune scene nella casa della Montalcini: ‘Sono rimasta molto colpita dalla sua semplicità. Una camera che definirei austera: letto singolo, scrivania, armadio. Microscopio, libri  (compreso il Nuovo dizionario dal piemontese all’italiano)  e  dischi di musica classica’.

Da sei anni, nel giorno della sua nascita,  si celebra  ‘la Giornata Nazionale della Salute della Donna’, il tema di questa  edizione è dedicato alla prevenzione.

Prevenzione come ‘atto d’amore’

Chiara Farigu

*Immagine ansa

mercoledì 21 aprile 2021

Morte di George Floyd, l’ex agente Chauvin è stato condannato per omicidio. Biden: ‘Ora c’è un po’ di giustizia’

 

“Colpevole” “Colpevole” “Colpevole.”

Dieci ore e nessun tentennamento per i 12 giudici che facevano parte della giuria popolare del tribunale di Minneapolis.  Derek Chauvin, l’ex agente di polizia responsabile della morte del 46enne  George Floyd  il 25 maggio 2020, è stato condannato tre volte, per altrettanti capi di accusa: omicidio colposo, omicidio di secondo grado preterintenzionale e omicidio di terzo grado.

Fondamentale per i giudici è stato quel video che fece il giro del mondo che mostrava Chauvin che teneva premuto il suo ginocchio sul collo dello sventurato afroamericano fino ad ammazzarlo. Non solo incurante delle sua urla ma alquanto soddisfatto del ruolo e della supremazia che in quel momento esercitava sulla vittima.

Durante il processo, i legali della difesa dell’agente di polizia hanno tentato di dimostrare che l’infarto sopraggiunto fosse conseguenza  di un  cuore ingrossato dall’uso di metanfetamine.

Tesi abilmente smontata dall’accusa  che ha saputo dimostrare che il decesso sia avvenuto  per soffocamento in quei drammatici  nove minuti di pressione esercitata sul collo da quel ginocchio che non ha mollato la presa neanche dinanzi alle suppliche disperate: ‘La verità è che George Floyd è morto perché il cuore di Derek Chauvin è troppo piccolo’.

Alla lettura del verdetto la folla presente ha lanciato un urlo di gioia: giustizia è stata fatta! La sentenza infatti rappresenta una svolta storica nella lotta contro il razzismo e le discriminazioni negli Stati Uniti. Anche se il cammino verso l’uguaglianza è ancora lungo e accidentato.

Il presiedente Biden, appresa la notizia, ha telefonato ai familiari di Floyd: ‘Niente migliorerà le cose, ma almeno ora c’è un po’ di giustizia’

L’ex poliziotto  rischia ora fino a 40 anni di carcere. La pena sarà stabilita dal giudice entro sei/otto settimane.

Chiara Farigu

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domenica 18 aprile 2021

Dal 26 aprile si riapre con ‘rischio ragionato’. E che Dio ce la mandi buona!

 La parolina magica ‘RIAPERTURA’, da tempo sperata poi invocata e ultimamente sempre più urlata nelle piazze di tutte Italia,  sta per diventare realtà.

Un rischio ragionato’, lo ha definito il Presidente del Consiglio Draghi, che contribuirà a far ripartire l’economia ormai al collasso dopo più un anno di pandemia.

Il lavoro, ebbe già a dire, è il miglior ‘ristoro’ per ogni cittadino. Riaprire dunque, anche se  non ancora in completa sicurezza, val dunque la pena del rischio. I dati sono in via di miglioramento e tutto lascia sperare che lo saranno sempre più. Ci si affida alla campagna vaccinale che, dopo vari intoppi dovuti in parte alla logistica da mettere ancora a punto e agli stop di alcuni vaccini per validarne certi  effetti collaterali indesiderati, dovrebbe entrare nel pieno della somministrazione. Sempre che gli approvvigionamenti non incontrino altri ritardi.

Ci si affida pure al buonsenso degli italiani che, si spera, abbiano imparato la lezione. Perché a tornare indietro è davvero un attimo, Sardegna docet.

Che sia ‘rischio ragionato’, o ‘rischio calcolato’, come è stato erroneamente ribattezzato dai social, poco importa: lunedi 26 aprile l’Italia, ad eccezione di alcune regioni, si colora nuovamente di giallo e col giallo si riaprono le saracinesche delle attività commerciali.

Non tutte insieme ma scaglionate in varie date. Vediamo come:

 DAL 26 APRILE 2021

  • Scuole: in zona gialla ed arancione lezioni in presenza al 100% fino alla quinta superiore; in zona rossa lezioni in presenza al 100% fino alla terza media e al 50% dalla prima alla quinta superiore.
  • Ristoranti e pizzerie potranno riaprire sia a pranzo che a cena esclusivamente con tavoli all’aperto;
  • Teatri e cinema: saranno consentiti gli eventi all’aperto; per quelli al chiuso con i limiti di capienza fissati per le sale dai protocolli anti-contagio;
  • Spostamenti fra regioni: se gialle liberamente consentiti; sedi colori diversi  consentiti se in possesso di un pass che attesti una delle seguenti condizioni: avvenuta vaccinazione; esecuzione di un test Covid negativo in un arco temporale da definire; avvenuta guarigione dal Covid;

DAL 15 MAGGIO 2021

  • Stabilimenti balneari e piscine all’aperto:  potranno riaprire con una serie di nuove linee guida.

 DAL 1° GIUGNO 2021

  • Palestre: previste nuove linee guida per la loro riapertura
  • Ristoranti e pizzerie:  via libera ai ristoranti con tavoli al chiuso solo a pranzo;

RIAPERTURE DAL 1° LUGLIO 2021

  • Fiere e congressi, stabilimenti termali e parchi tematici:  previste nuove linee guida per la loro riapertura

COPRIFUOCO:  

confermato l’orario dalle 22 alle 5 del mattino in tutta Italia. Così come non vanno abbandonate le tre misure di prevenzione date dal lavaggio delle mani, dall’uso della mascherina e dal distanziamento tra persone di almeno un metro.

 

Con i dati attuali, questo è quanto è stato stabilito da un Consiglio dei Ministri piuttosto concitato per via delle diverse anime che lo compongono. Da una parte il pressing degli aperturisti del tutto e subito, dall’altra i rigoristi dell’apertura solo se fatta in sicurezza e dopo un’avanzata campagna vaccinale.

Molte le criticità rimaste tali. Una per tutta, la scuola. Per la quale poco o niente è stato fatto per contenere i rischi del prima e dopo l’ingresso scolastico. Così come resta invariato il numero elevato di alunni/studenti per classe nonostante sia unanimemente riconosciuto come un obbrobrio da risolvere. E ancora una volta nulla è stato fatto  per mettere in sicurezza i tanti, troppi edifici scolastici, molti dei quali fatiscenti e senza neppure il certificato di abitabilità.  E questo benché la scuola sia considerata l’architrave della società, come ha ricordato il ministro Speranza durante la conferenza stampa.

Decisamente contro le riaperture dal 26 in poi Massimo Galli, l’infettivologo che bolla come ‘calcolato male’ il rischio che si è assunto il governo: ‘Ripartenza precoce, senza i vaccini i contagi risaliranno’, ammonisce durante le interviste, augurandosi certo di avere torto per il bene di tutti.

Il 26 aprile si avvicina a grandi passi. Le saracinesche delle attività commerciali aspettano solo di essere  tirate su e noi finalmente di ricominciare, poco alla volta, a riappropriarci delle nostre vite.

In attesa che i dati di monitoraggio siano a nostro favore, non ci resta che affidarci alla sorte augurandoci  ‘che Dio ce la mandi buona’!

Chiara Farigu 

venerdì 16 aprile 2021

Ma quanto dobbiamo al gatto Zorba, noi maestre?

 

Ricordando Luis Sepulveda, morto il 16 aprile di un anno fa…

Avevamo un progetto ambizioso quell’anno a scuola. L’amicizia, l’integrazione la condivisione. Coi bambini non basta parlare. Con loro occorre fare. Sperimentare. Occorre osare.

La ‘Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare’ aveva gli ingredienti giusti. Quelli che lasciano il segno.

Portammo i bambini al cinema a vedere il cartone animato, tratto dall’omonimo libro di Luis Sepulveda.

Il gatto Zorba divenne subito il nostro eroe. L’amico coraggioso a cui far riferimento. L’amico prodigo di consigli e di premure. L’amico che ascolta il cuore e non vede differenze di genere di colore o di estrazione sociale né tantomeno di credo religioso.

 L’amico che insegna a osare per conquistare l’autonomia. Spiccare il volo verso la libertà.

Quanto dobbiamo a Zorba, noi maestre!

E quanto dobbiamo a Sepulveda, lo scrittore cileno, anch’egli vittima illustre del covid-19. Se n’è andato il 16 aprile di un anno fa, all’età di 71 anni, nell’ospedale di Oviedo, in Spagna, dov’era ricoverato dalla fine di febbraio.

Ci ha insegnato a osare. Col pensiero, con le parole, con le azioni. I suoi libri ‘Il vecchio che leggeva romanzi d’amore’, ‘Storie ribelli’, ‘Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza’, solo per citarne alcuni, hanno contribuito e continueranno a indicare la strada della libertà e della giustizia.

Così come a credere nei sogni perché ‘Solo sognando e restando fedeli ai sogni riusciremo a essere migliori, e se noi saremo migliori, sarà migliore il mondo’.  Frase quest’ultima che da sola racchiude il suo pensiero. Frase che amava ripetere ai giovani di tutto il mondo per invitarli a credere nelle loro idee e a combattere per realizzarle. A osare, sempre e comunque. Per essere liberi e felici.

Chiara Farigu

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giovedì 15 aprile 2021

Formigoni ultimo atto: ritorna il vitalizio. Oltre il danno la beffa

 Siamo arrivati ad un nuovo e, al momento, ultimo atto nella vicenda Formigoni: la Commissione Contenziosa del Senato ha annullato la delibera, istituita nel 2015 dall’allora presidente Pietro Grasso, che prevedeva la sospensione del vitalizio in base alle sue condanne accogliendo il ricorso dell’ex governatore. E com’era prevedibile, sui social, e non solo, infuria la polemica poiché al danno si aggiunge la beffa.

Per comprendere la più che motivata indignazione di chi sostiene che ancora una volta ‘la casta’,   riabilitando corrotti e condannati, non fa altro che proteggere se stessa, occorre fare un passo indietro e tornare al 21 febbraio del 2019. Giorno della sua condanna definitiva.

“Mi hanno condannato al rogo e alla damnatio memoriae”, commentò il Celeste quando la Cassazione confermò la condanna d’Appello e gli aprì le porte del carcere.

Per lui, Roberto Formigoni, l’ex numero uno del Pirellone, che si era sempre professato innocente nel processo Maugeri, fu un duro colpo. Roba da “fantascienza”. Per i giudici, tutti, dal primo grado e poi in Appello nessuna incertezza: ‘Corrotto e spregiudicato’, scrissero nella motivazione di condanna, “con capacità a delinquere altissima”. In sintesi, Formigoni, secondo i togati aveva favorito sistematicamente le due aziende leader della sanità privata, causando un “danno enorme” alla sanità pubblica, prosciugando risorse regionali per oltre 70 milioni di euro e depredando le stesse aziende private.

Ricevendone in cambio vantaggi e benefit di ogni genere.

Accuse di corruzione confermate poi in Cassazione anche se con una riduzione di pena (poiché alcune erano cadute in prescrizione) rispetto all’Appello: 5 anni e 10 mesi di carcere. Oltre alla confisca dei beni per un valore di sei milioni e mezzo e il blocco della pensione da parte della Corte dei Conti. Nessun vitalizio, per l’ex senatore, pena questa già comminata in Appello.

Quel giorno, il 21 febbraio del 2019,  cala il sipario su una vicenda intricata durata parecchi anni. Il giorno dopo di primo mattino si costituisce spontaneamente. L’immagine del Celeste che varca i cancelli del carcere di Bollate in pochi minuti diventa virale. Lui, noto alle cronache per il look stravagante e per lo stile di vita da nababbo, costretto ad inventarsi una nuova quotidianità. Fatta di rinunce e consumata in spazi delimitati. Alla bella età di 71 anni per 5 anni e 10 mesi. Un’eternità per l’ex pluri-governatore lombardo, ex senatore ed ex di tante presidenze ed incarichi rivestiti nella sua lunga carriera politica iniziata che era poco più che ventenne.

Il 22 luglio del 2019 un nuovo atto: il Tribunale di sorveglianza accoglie la richiesta inoltrata dai legali di scontare la pena ai domiciliari: ‘Ha compreso gli sbagli’, motivano i giudici.

Così Formigoni, dopo appena cinque mesi, varca nuovamente le porte del carcere ma in senso opposto: verso casa. Verso la libertà.  A rendere possibile tutto ciò il fatto che per la prima volta, dopo ben sette anni, avesse ammesso le proprie responsabilità: ‘comprendo il disvalore dei miei comportamenti’.

Un ‘mea culpa’ che seppur tardivo lo  riportò fuori dal carcere. Dove continua a scontare la sua pena mitigata da mura e compagnie amiche.

Oggi un nuovo atto: il ripristino di un ‘diritto’,  perché nessuno può essere condannato a morire di stenti, replica il Celeste a chi giudica una ‘vergogna inaudita’ l’accoglimento del suo ricorso.

Un precedente pericoloso. Uno schiaffo in pieno volto a quanti, in quest’anno di pandemia hanno perso il lavoro o tenuto chiuse le loro attività e aspettano i cosiddetti ristori che tardano ad arrivare. Briciole, rispetto alle perdite subite.  Per tanti la quasi certezza di non poter più rialzare la loro saracinesca.  Mentre, udite udite, all’ex governatore, per far fronte alla sua ‘indigenza’ verranno corrisposti 7000 euro mensili oltre a tutti gli arretrati. La beffa oltre il danno, appunto.

 ‘Chiedere al potere di riformare il potere, che ingenuità’, scriveva il filosofo Giordano Bruno nel secolo del Rinascimento. Quant’è dannatamente attuale il suo pensiero!

Davvero non si poteva fare diversamente?

Chiara Farigu

By Bruno Cordioli - Flickr: IMG_9741, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=21163066

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lunedì 12 aprile 2021

‘La compagnia del cigno 2’: musica, talento, amicizia, gli ingredienti del suo successo

 Oltre 4  milioni di telespettatori hanno tenuto a battesimo “La compagnia del cigno2 ”,  fiction di grande successo fin dalla prima stagione andata in onda poco più di due anni fa, con Anna Valle e Alessio Boni che sostiene di aver ammorbidito, in questa serie, certe spigolosità del carattere pur mantenendo un certo piglio.

Musica, talento e amicizia, gli ingredienti che faranno da collante alle sei puntate ideate e dirette da Ivan Cotroneo. Sullo sfondo le vicende di Matteo, Sara, Barbara, Domenico, Robbo, Sofia, Rosario, i sette ragazzi che si barcamenano con i propri  tormenti,  le proprie fragilità e la passione per la musica che continua a fare da amalgama alla loro amicizia.

Un legame fortissimo il loro, divenuto tale grazie al temutissimo Maestro Marioni, soprannominato ‘il bastardo’ per via del suo temperamento intransigente,  collerico e severo all’inverosimile, che intravedendo il loro talento, li obbliga a formare un gruppo affinché le loro voci, tutte bellissime ma individuali, possano fondersi e andare all’unisono. ‘La compagnia del cigno’, in onore di Giuseppe Verdi, che era soprannominato il Cigno di Bussetto, è il nome che decidono di dare alla loro chat utilizzata per programmare i loro incontri e le  strategie d’azione.

I giovani musicisti, alle soglie dell’ingresso nel mondo accademico del Conservatorio in questa nuova stagione dovranno fare i conti anche con la competitività che giocoforza si farà alquanto serrata.

A turbare gli equilibri preesistenti sarà l’arrivo di un nuovo Maestro, Teoman Kayà, vecchio amico di Marioni e sua moglie Irene, divenuto un direttore d’orchestra di fama internazionale, che avrà l’onore di dirigere l’orchestra messa su dal ‘bastardo’ ma anche l’ingrato compito di riaprire vecchie ferire.

Domenica prossima la seconda imperdibile puntata.

Chiara Farigu

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