Siamo arrivati ad un nuovo e, al momento, ultimo atto nella vicenda Formigoni: la Commissione Contenziosa del Senato ha annullato la delibera, istituita nel 2015 dall’allora presidente Pietro Grasso, che prevedeva la sospensione del vitalizio in base alle sue condanne accogliendo il ricorso dell’ex governatore. E com’era prevedibile, sui social, e non solo, infuria la polemica poiché al danno si aggiunge la beffa.
“Mi hanno condannato al rogo e alla damnatio memoriae”, commentò il Celeste quando la Cassazione confermò la condanna d’Appello e gli aprì le porte del carcere.
Per lui, Roberto Formigoni, l’ex numero uno del Pirellone, che si era sempre professato innocente nel processo Maugeri, fu un duro colpo. Roba da “fantascienza”. Per i giudici, tutti, dal primo grado e poi in Appello nessuna incertezza: ‘Corrotto e spregiudicato’, scrissero nella motivazione di condanna, “con capacità a delinquere altissima”. In sintesi, Formigoni, secondo i togati aveva favorito sistematicamente le due aziende leader della sanità privata, causando un “danno enorme” alla sanità pubblica, prosciugando risorse regionali per oltre 70 milioni di euro e depredando le stesse aziende private.
Ricevendone in cambio vantaggi e benefit di ogni genere.
Accuse di corruzione confermate poi in Cassazione anche se con una riduzione di pena (poiché alcune erano cadute in prescrizione) rispetto all’Appello: 5 anni e 10 mesi di carcere. Oltre alla confisca dei beni per un valore di sei milioni e mezzo e il blocco della pensione da parte della Corte dei Conti. Nessun vitalizio, per l’ex senatore, pena questa già comminata in Appello.
Quel giorno, il 21 febbraio del 2019, cala il sipario su una vicenda intricata durata parecchi anni. Il giorno dopo di primo mattino si costituisce spontaneamente. L’immagine del Celeste che varca i cancelli del carcere di Bollate in pochi minuti diventa virale. Lui, noto alle cronache per il look stravagante e per lo stile di vita da nababbo, costretto ad inventarsi una nuova quotidianità. Fatta di rinunce e consumata in spazi delimitati. Alla bella età di 71 anni per 5 anni e 10 mesi. Un’eternità per l’ex pluri-governatore lombardo, ex senatore ed ex di tante presidenze ed incarichi rivestiti nella sua lunga carriera politica iniziata che era poco più che ventenne.
Il 22 luglio del 2019 un nuovo atto: il Tribunale di sorveglianza accoglie la richiesta inoltrata dai legali di scontare la pena ai domiciliari: ‘Ha compreso gli sbagli’, motivano i giudici.
Così Formigoni, dopo appena cinque mesi, varca nuovamente le porte del carcere ma in senso opposto: verso casa. Verso la libertà. A rendere possibile tutto ciò il fatto che per la prima volta, dopo ben sette anni, avesse ammesso le proprie responsabilità: ‘comprendo il disvalore dei miei comportamenti’.
Un ‘mea culpa’ che seppur tardivo lo riportò fuori dal carcere. Dove continua a scontare la sua pena mitigata da mura e compagnie amiche.
Oggi un nuovo atto: il ripristino di un ‘diritto’, perché nessuno può essere condannato a morire di stenti, replica il Celeste a chi giudica una ‘vergogna inaudita’ l’accoglimento del suo ricorso.
Un precedente pericoloso. Uno schiaffo in pieno volto a quanti, in quest’anno di pandemia hanno perso il lavoro o tenuto chiuse le loro attività e aspettano i cosiddetti ristori che tardano ad arrivare. Briciole, rispetto alle perdite subite. Per tanti la quasi certezza di non poter più rialzare la loro saracinesca. Mentre, udite udite, all’ex governatore, per far fronte alla sua ‘indigenza’ verranno corrisposti 7000 euro mensili oltre a tutti gli arretrati. La beffa oltre il danno, appunto.
‘Chiedere al potere di riformare il potere, che ingenuità’, scriveva il filosofo Giordano Bruno nel secolo del Rinascimento. Quant’è dannatamente attuale il suo pensiero!
Davvero non si poteva fare diversamente?
Chiara Farigu
*Immagine Commons Wikimedia
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