l momento sono solo una bozza ma tutto lascia presupporre che le cosiddette ‘linee-guida’ per il rientro a scuola a settembre siano decisioni già prese dalle quali non si torna indietro. Se non per piccoli aggiustamenti dopo l’ok di regioni ed enti locali che dovranno renderle operative.
Al loro interno una serie di indicazioni piuttosto generiche e, diciamolo pure, alquanto confuse che vanno dall'organizzazione didattica alla formazione del personale, il tutto condizionato all'andamento epidemiologico.
Due le ipotesi: se i contagi rimangono sotto controllo si procede con la didattica in presenza, se, al contrario, i numeri dovessero impennarsi si torna alla Dad, com’è stato in fase emergenziale. Didattica a distanza che dovrebbe comunque restare per gli istituti di scuola media secondaria di secondo grado.
Il Miur, di concerto con il CtS, suggerisce invita propone. Di fatto passa la patata bollente agli istituti scolastici che in virtù dell’autonomia di cui godono possono e devono stabilire come meglio organizzarsi utilizzando spazi e risorse a loro disposizione.
Possono, suggeriscono le Linee-guida, riconfigurare le classi in più gruppi di apprendimento, accorpando o dividendole in gruppi anche eterogenei per classi ed età e ambienti diversi. Che vanno dall’aula alla palestra o al giardino. Ma anche in spazi esterni alla scuola messi a disposizione dalle amministrazioni comunali, come cinema palestre e teatri.
Flessibilità massima negli orari. Per consentire la formazione di turni, anch’essi differenziati per fasce d’età e bisogni educativi. Orario che può essere spalmato in sei giorni, sabato compreso onde evitare assembramenti.
Per i dispositivi di sicurezza da utilizzare (mascherine/distanziamento di sicurezza) fanno fede al momento le linee emanate in precedenza dal CtS, che sono però in fase di aggiornamento. Niente mascherine per i bambini della scuola d’infanzia, visiere trasparenti per i docenti per agevolare un contatto ravvicinato.
Torna l’educazione civica come disciplina obbligatoria per tutti i gradi d’istruzione, a partire dall’infanzia con almeno 33 ore all’anno. Questa, al momento, l’unica certezza. Per tutto il resto si vedrà si deciderà si stabilirà.
Virus e risorse permettendo.
I capi d’istituto ai quali è stata demandata ogni responsabilità organizzativa sono già sul piede di guerra.
Dividere per gruppi accorpare smistare senza avere un solo insegnante in più e, per giunta a caccia di nuovi spazi educativi sul territorio, li mette alla stregua di novelli maghi con la bacchetta spuntata.
Il numero di alunni per classe è rimasto quello di sempre compreso gli spazi con cui fare i conti.
In quanto ai precari storici, idem come sopra.
La pandemia poteva e doveva trasformarsi in una grande opportunità per la scuola in questa fase. A partire dall’edilizia scolastica che, superfluo persino rimarcarlo, è troppo spesso fatiscente e al limite di ogni norma di sicurezza. L’abbandono scolastico, la povertà educativa, l’analfabetismo di ritorno, valori all’ordine del giorno solo in campagna elettorale di ogni schieramento politico, si possono combattere solo assicurando percorsi didattici personalizzati e in piccoli gruppi.
L’eliminazione delle cosiddette ‘classi pollaio’ ancora una volta vengono rimandate sine die. Per farlo occorrono coraggio e risorse. Attualmente mancano l’uno e le altre. Ma soprattutto a mancare è la visione di scuola come agenzia di formazione delle generazioni future. L’ennesima opportunità mancata
Chiara Farigu