il blog di chiarafarigu

mercoledì 22 dicembre 2021

Piero Angela, 93 anni e non sentirli

 ‘Se sei curioso, creativo e ti interessi di diversi argomenti, allora stai bene. Funziono meglio adesso, rispetto a trenta anni fa’, risponde Piero Angela a chi gli domanda come ci si sente dinanzi a un compleanno così importante come quello che festeggia oggi: 93 anni.

Curiosità, creatività, conoscenza e interesse che mette sempre a disposizione dei giovani come nel suo ultimo programma ‘Prepararsi al futuro’  che andrà in onda su Rai 3 a partire dal 25 febbraio.

Come nella precedente serie, anche questa è una sorta di dialogo intergenerazionale tra giovani meno giovani  e grandi personaggi di ogni campo: scienziati, economisti, storici, demografi, tecnologi, filosofi coi quali affrontare temi del mondo moderno pensando al futuro.

Le nuove tecnologie sono il filo rosso di questa seconda imperdibile parte, con uno sguardo particolarmente attento all’alfabetizzazione digitale per tutti quei settori della popolazione che ne sono esclusi per motivi economici, territoriali, anagrafici. Una versione digital di quel “Non è mai troppo tardi” con cui Manzi, negli anni ’60, insegnò l’italiano agli italiani attraverso la televisione, precisano i vertici Rai.

Responsabilità preparazione e conoscenza sono stati sempre i pilastri del suo lavoro, ieri e ancor più oggi. Non si può essere approssimativi o superficiali quando si quando si parla di scienza, sottolinea Angela, invitando i giovani alla lettura e allo studio coi quali abbattere ignoranza e pregiudizi.

Su quale sia il segreto della sua longevità fisica e mentale non ha dubbi: buoni geni e tanti interessi. Il cervello è un serbatoio che più lo riempi, più il suo spazio aumenta, è fondamentale mantenerlo costantemente  attivo, così come avere degli hobby e non stancarsi di essere curiosi.

E lui che della curiosità ne ha fatto la ragione stessa della sua vita e della sua lunga e invidiabile carriera,  gli anni non li conta più. Li vive con la leggerezza di sempre, sebbene non manchi qualche acciacco. ‘Penso a me stesso come a un giovanotto, almeno interiormente’, sostiene.

Qualcuno forse osa dubitarne?

Auguri, Maestro!

Chiara Farigu

*Immagine ANSA

sabato 18 dicembre 2021

Graziano Mesina: torna in carcere l’ex primula rossa del banditismo sardo

 La latitanza per Graziano Mesina finisce qui, a Desulo, poco lontano dalla sua Orgosolo a casa di una coppia di amici, ora indagati per favoreggiamento.

Lo avevano cercato per terra per mare e per cielo. E’ stato trovato ieri notte dai  militari del Ros in collaborazione con quelli del Gis e portato a Nuoro in attesa che venga trasferito nel carcere di Badu ‘e Carros dove dovrà scontare 30 anni di reclusione.

Si era reso irreperibile nel luglio del 2020 con un ennesimo colpo di scena, uno dei  tanti che hanno caratterizzato la sua vita da ‘balente’, ma criminale incallito sarebbe il termine più adatto per descrivere i reati commessi  per i quali la Criminalpol lo aveva inserito nell’elenco dei sei latitanti di massima pericolosità.

Eppure nel giugno del 2019 aveva riassaporato la libertà, dopo sei anni di reclusione nel penitenziario di massima sicurezza di Bad’ e Carros. A far scattare l’arresto un’accusa pesante: essere a capo di un’organizzazione di traffico internazionale di droga.

Un colpo di scena, la sua scarcerazione: i giudici della Corte di Appello di Cagliari non avevano mai depositato le motivazioni della sentenza.

Tornava a casa, a Orgoloso. In libertà vigilata con l’obbligo di firma presso la caserma dei CC. e di dimora dalle 22 alle 6 del mattino.

Nel luglio del 2020 un nuovo colpo di scena. La Corte di Cassazione respinge il ricorso presentato dai suoi legali contro la condanna in appello a 30 anni di carcere per associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti.

La condanna pertanto diviene definitiva, Grazianeddu deve tornare in carcere. Un duro colpo per l’ex bandito che il carcere lo conosce fin troppo bene. Decide così di darsi alla latitanza.

Dei suoi 78 anni ne ha trascorso ben 40 dietro le sbarre. Uno dei pochi, forse l’unico, ad essere stato in carcere per 4 lunghi decenni. Nel 2004, l’allora Presidente della Repubblica Ciampi gli concesse la grazia. Anche allora fece ritorno nella sua Orgoloso.  Deciso a intraprendere una vita di riscatto umano e sociale dopo aver pagato il conto con la ‘giustizia’.

Passano pochi anni e tutto precipita di nuovo. Su  l’ex ‘primula rossa’ pendono accuse ben più terribili e infamanti di quelle che avevano fatto di lui il bandito sardo (e non solo) più famoso.  Macchiandosi di reati riconducibili a vendette/regolamenti di conti per torti subiti, o ritenute tali, tipiche del codice barbaricino di cui era stato figlio e testimone. Stavolta l’accusa era di essere invischiato in un traffico di droga internazionale ed essere addirittura il capo dell’organizzazione.

Una macchia indelebile. Inaccettabile anche per quanti, nonostante tutto, avevano guardato con una certa indulgenza alla sua travagliata esistenza.

Di Mesina più nessuna traccia da quel 20 luglio del 2020.  C’era chi azzardava che avesse addirittura lasciato l’isola. Nascondersi nel Supramonte, come ai tempi d’oro quando era il latitante più ricercato d’Italia, sostenevano, non è compatibile con i suoi quasi 80 anni. E con il fisico non più agile come un tempo.

Una latitanza misteriosa. Un triste epilogo di una vita che non ha saputo e forse voluto riscattare. Per vivere serenamente almeno l’ultimo scorcio nella sua Orgoloso che lo ha sempre accolto come un figlio da proteggere. Anche da se stesso.

Oggi l’arresto. E un nuovo conto da pagare. L’ultimo di una vita travagliata. Troppo anche per lui che si è sempre trincerato dietro la maschera da ‘balente’.

Chiara Farigu

venerdì 17 dicembre 2021

Buon compleanno Papa Francesco

 Compie oggi 85 anni Jorge Mario Bergoglio, il papa argentino con sangue piemontese nelle vene, che conquistò tutti , fin dal primo momento, con quel “buonasera quando, appena eletto, si affacciò per la prima volta dalla Loggia delle benedizioni per salutare la folla che aspettava di conoscere il nuovo Pontefice, dopo l’inusuale abdicazione di Ratzinger.

 il Pontefice che ama stare tra la gente come un “sacerdote” per sentirsi più in sintonia coi loro bisogni e le loro sofferenze.

Francesco non ama i momenti celebrativi, men che mai quelli che riguardano la sua persona. Ci ha abituati da fin da subito alla semplicità dei gesti e delle parole. Per lui parlano le opere volte al cambiamento “rivoluzionario” di una Chiesa arroccata in regole stantie che fatica ad adeguarsi ai cambiamenti di usi e costumi di una società in costante evoluzione e inevitabilmente anche delle istituzioni che la compongono.

Ha spalancato porte e finestre per far circolare aria fresca, anche se dopo otto anni, di polvere sotto i tappeti ne rimane un bel po’. Le rivoluzioni, quelle durature, d’altronde richiedono tempo, impegno e volontà e quella coltre polverosa è dura da sradicare. Ma Bergoglio non demorde, tira dritto. Conosce la strada. Sa come arrivare ai cuori della gente. Sempre dalla parte di chi soffre, degli invisibili, degli “scartati”La sua prima uscita da papa fu a Lampedusa per accogliere con un abbraccio quanti scappano da miserie e povertà in cerca di nuove opportunità. E di speranza in un futuro migliore.

Lui, convinto assertore e praticante della misericordia è sulla misericordia che ha improntato un anno di Giubileo volto a “riscoprire il volto giovane e bello della Chiesa, che risplende quando è accogliente, libera, fedele, povera nei mezzi e ricca nell’amore, missionaria”Misericordia e pace, questi i cardini su cui tracciare la via da percorrere. Con grinta, determinazione e molte volte in solitudine.

“Rivoluzionario” perché sincero, coraggioso. Le sue parole, spesso, colpiscono come una clava. Con la quale abbattere tabù e definire certi fenomeni per quello che sono. Storico quel suo scandire in sillabe la parola GE-NO-CI-DIO ricordando lo sterminio degli armeni che fece tanto infuriare Erdogan. E storici rimangono i tanti momenti in cui ha chiesto perdono per gli errori commessi dalla Chiesa e dagli uomini. Fece il giro del mondo l’immagine che lo immortalava mentre faceva il suo ingresso ad Auschwitz, altro luogo di sterminio, in perfetta solitudine. A ricordarci che il perdono non richiede clamore, ma silenzio. Silenzio per riflettere e interrogarsi dov’era finito Dio nei cuori di quegli uomini artefici di tanto orrore.

E senza fanfare si recò nelle zone terremotate quando il silenzio, dopo il clamore iniziale e le passerelle dei politici, cominciava a farla da padrone su quei borghi che gridavano e gridano ancora oggi interventi urgenti atti a riportare la vita di quelle popolazioni giunte ormai allo sfinimento. E ancora in silenzio ama recarsi nelle periferie a portare conforto e beni di prima necessità per i tanti indigenti che vivono ai margini. Porte aperte in molti luoghi del Vaticano adibite a dormitori per i senzatetto e pasti caldi per chi non può permettersi neanche di come sopravvivere.

Dopo Giovanni XXIII, spetta di diritto a Francesco la definizione di “Papa buono”, “Papa della gente”. Talmente popolare da essere amato trasversalmente, anche da chi non è avvezzo a seguire i dettami della Chiesa. Perché in un mondo in cui si parla a vanvera “il Papa dice cose di buon senso, talmente di buon senso che la sua solitudine comincia a essere palpabile”, hanno scritto gli editori di “Rolling Stones” nel dedicargli una copertina della loro rivista.

Forse l’ultimo rimasto a farlo.

Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme’ ha detto di recente riferendosi alla pandemia sanitaria che ha messo in ginocchio il mondo intero. ‘Nella tempesta nessuno si salva da solo’, ha ammonito il Papa puntando il dito contro chi sottovaluta, o peggio si ostina a negare, la tragedia che stiamo vivendo.

Auguri Francesco. Grazie per tutti gli insegnamenti

Chiara Farigu

venerdì 10 dicembre 2021

10 dicembre: giornata universale dei diritti umani. Quanti bla bla bla, ancora

Oggi è una di quelle giornate in cui sembriamo essere tutti più buoni, più altruisti, più solidali.

Una delle innumerevoli giornate dedicate a qualcosa o qualcuno, questa del 10 dicembre che ha per tema ‘i diritti umani’. 

Quelli inalienabili, come la libertà, il diritto alla vita, all’istruzione, all’uguaglianza davanti alla legge, alla libertà di movimento e di pensiero, di religione, sicurezza, lavoro.

Diritti che devono essere riconosciuti ad ogni persona per il solo fatto di appartenere al genere umano, indipendentemente dalle origini, appartenenze o luoghi ove la persona stessa si trova. Cosi recita la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 atta a rimuovere appunto qualunque tipo di discriminazione in nome dell’uguaglianza e della fratellanza fra i popoli.

Nobili intenti. Nulla da eccepire. Che tali però sono rimasti nella maggior parte dei casi. Ecco perché anche questa odierna rischia di essere un’altra giornata in cui a trionfare è la retorica. Quando non è l’ipocrisia.

Basta leggere qualunque rapporto Eurostat, Ocse, Censis per comprendere quanto la strada sia lunga e accidentata nella rimozione di certe diseguaglianze dure a morire. Molte delle quali aumentate a dismisura in questi due anni di emergenza sanitaria.

La più cocente (e fallimentare) è contenuta nell’ultimo Rapporto Unicef: ‘Il Covid ha colpito i bambini in una misura senza precedenti, diventando la peggiore crisi per i più piccoli che l’Unicef abbia visto nei suoi 75 anni di storia’, recita il rapporto dell’associazione dedicato proprio ai danni provocati dalla pandemia. ‘Serviranno almeno sette-otto anni per recuperare e tornare ai livelli di povertà dei bambini pre-pandemia’, si legge ancora.

Dati agghiaccianti. Proprio perché toccano la parte più debole e fragile di quel genere umano che dovrebbe essere maggiormente salvaguardato tutelato e protetto.

Volendo restare a casa nostra, la situazione non cambia: nell’anno della pandemia i poveri sono aumentati del 44%, sono quasi due milioni quelli sostenuti dalla Caritas, di questi oltre la metà sono minori. Ancora una volta sono loro, i bambini, a pagare il prezzo più alto.

Quando a mancare è ancora uno dei diritti primari, il cibo, di cosa stiamo parlando?

Chiara Farigu

giovedì 9 dicembre 2021

Lutto nel mondo del cinema: addio a Lina Wertmüller

 Se n’è andata all’età di 93 anni Lina Wertmüller.

Regista iconica della commedia all’italiana e icona di stile. Capelli bianchi cortissimi a fare da cornice ad un viso sbarazzino, rimasto tale anche col passare degli anni, occhi curiosi che amava proteggere da sguardi indiscreti coi suoi inconfondibili occhiali dalla montatura rigorosamente bianca.

Un modo tutto suo per scrutare le mille sfaccettature di un mondo in continua evoluzione, coi pregi e i difetti dei suoi simili per farne poi dei racconti, divenuti nel tempo veri e propri cult del cinema italiano.

Un vezzo divertente quello degli occhiali.

Una montatura ed un colore che ‘fanno parte del mio armamentario – amava ripetere durante le interviste – sono solari, balneari, regalano subito un clima festa’.

Per il resto era una persona sobria, raccontano quanti hanno avuto il privilegio di lavorare con lei. Sobria nei modi, sobria nell’abbigliamento, sobria nei rapporti interpersonali.

Esattamente il contrario dei titoli dei suoi film: pomposi, smisuratamente lunghi, esagerati. Ma estremamente belli, significativi, originalissimi. Una miscellanea di grottesco e di miserie umane, di sentimenti esasperati, di valori inespressi, di ironia divertente e pungente allo stesso tempo.

Regista, scrittrice e sceneggiatrice, è stata la prima donna ad essere candidata all’ Oscar come miglior regista per il film Pasqualino Settebellezze nel 1973.

Nel 2020 le è stato assegnato l’Oscar onorario alla carriera. Tanti i premi e i riconoscimenti ricevuti, il Globo d’oro alla carriera nel 2009, il David di Donatello alla carriera nel 2010, il cavalierato di gran croce dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.

Questi alcuni titoli dei suoi film più famosi: Mimì metallurgico ferito nell’orecchio;

Film d’amore e d’anarchia-Ovvero stamattina alle 10 in via dei Fiori nella nota di tolleranza…;

Tutto a posto e niente in ordine;

Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare di agosto;

Fatto di sangue fra due uomini per causa di una vedova. Si sospettano moventi politici;

Notte d’estate con profilo greco, occhi a mandorla e odore di basilico.

Una vita ricca di incontri e di amicizie la sua. Come quella con Fellini ai suoi esordi e poi con Giancarlo Giannini e Mariangela Melato coi quali ha instaurato un sodalizio artistico perfetto.

La radio e la televisione, due altre grandi passioni. Indimenticabile la regia a Il giornalino di Gian Burrasca con Rita Pavone nei panni del protagonista maschile.

‘Lavoro e scrivo sempre, ogni giorno, perché la chiave di tutto è sempre lì, nelle storie’, aveva raccontato in una delle sue interviste. E le sue, bellissime, ci faranno compagnia ancora a lungo.

Chiara Farigu 

*Immagine web

mercoledì 8 dicembre 2021

Un anno fa il V-Day: somministrato il primo vaccino anti-covid nel Regno Unito

 E’ passato un anno da quell’evento immortalato in una foto che nel suo piccolo ha fatto la storia in quello che venne ribattezzato ‘il V-Day’.

La foto, la più cliccata e condivisa del 2020, ritrae  Margaret Keenan, la novantenne inglese, prima cittadina al mondo a ricevere il vaccino contro il coronarivus.

L’arzilla signora, con maglietta natalizia e mascherina d’ordinanza, dopo la somministrata della prima dose Pfizer, si disse emozionata e privilegiata per aver fatto da apripista in quella che si preannunciava come la più importante e massiccia campagna vaccinale di tutti i tempi.

Il miglior regalo di compleanno, lo definì Margaret che dopo qualche giorno si apprestava a compiere 91 anni, ‘potrò finalmente trascorrere del tempo con familiari ed amici nel prossimo anno dopo aver passato gran parte del  2020 in solitudine’, raccontò raggiante dopo la prima puntura. ‘E se posso vaccinarmi io a 90 anni, potete farlo anche voi’ aggiunse la Keenan, invitando gli inglesi a seguire il suo esempio per sconfiggere  definitivamente il virus e tornare alla vita il prima possibile.

 

Tutto il mondo quel giorno guardò con trepidazione e forse con una punta di invidia il  Regno Unito che riusciva ad aggiudicarsi il primato mondiale per la somministrazione del vaccino, al quale si affidavano speranze e aspettative per il ritorno alla normalità.

Quello stesso giorno in Italia si contavano 14.842 nuovi casi e ben 634 decessi.

Nel resto d’ Europa la situazione non era molto diversa, tra numero di morti, ospedali al collasso e lockdown più o meno estesi a quasi tutti gli stati membri.

Sembra un secolo fa.

Tanta acqua è passata sotto i ponti da allora. Tante le aspettative riposte,  molte le contraddizioni degli stessi studiosi, innumerevoli  gli  errori commessi. Di comunicazioni ma anche dei provvedimenti presi.

Molte le novità e i cambiamenti. Un nuovo governo, un nuovo commissario straordinario per l’emergenza sanitaria in divisa, milioni di vaccini somministrati in una prima seconda e terza dose. Con un occhio sempre attento alla curva dei contagi.

Ma il virus è ancora qua. Pare non abbia intenzione di lasciarci tanto presto. Così sostengono gli studi dei virologi più accreditati. Intanto cresce il malcontento, basta restrizioni, urlano nelle piazze ‘vogliamo la nostra libertà’.

Stando all’ultimo report del Censis, oltre tre milioni di italiani non crede all’esistenza del virus. Uno zoccolo duro che difficilmente si farà vaccinare. Una spina nel fianco per il governo che ha introdotto nel certificato verde ulteriori limitazioni alla vita sociale sperando in un loro ravvedimento. Un modo ‘surrettizio’ per obbligare i recalcitranti a vaccinarsi, visto che introdurre l’obbligo non fa parte dell’agenda politica, sia nazionale che europea, almeno per il momento.

Un anno di cambiamenti. Di  ritorno quasi alla normalità. Mentre in pentola bolle molto altro ancora.

Chiara Farigu 

 

Scarcerato Patrick Zaki. L’abbraccio con la madre e la sorella. A febbraio nuova udienza del processo

 AGGIORNAMENTO 8/12/2021

Patrick è finalmente libero! Commovente l’abbraccio con la madre e la sorella appena uscito dal commissariato. ‘Un abbraccio che vale più di tante parole. Bentornato, Patrick’, ha twittato Luigi Di Maio.

‘Ora che abbiamo visto questo abbraccio aspettiamo che questa libertà non sia provvisoria ma permanente’ questo l’auspicio di Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Internazionale Italia alla notizia del rilascio di Zaki.

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7/12/2021

Dopo quasi due anni di rinvii, di proroghe di 45 giorni per volta, il tribunale di Mansura ha ordinato la scarcerazione per Patrick Zaki.

Lo studente egiziano sarà dunque libero, in attesa della prossima  udienza del processo a suo carico, fissata a febbraio.

La notizia era nell’aria ma si è temuto, visti i precedenti, per qualche intoppo dell’ultimo minuto.

‘Un primo obiettivo è stato raggiunto, Patrick non è più in carcere-ha commentato il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio-adesso però continuiamo a lavorare silenziosamente, con costanza e impegno’.

Impegnato nella difesa dei diritti delle minoranze oppresse del suo Paese, Patrick, dal 2019 vive a Bologna dove frequenta l’Erasmus.

Il 7 febbraio del 2020, mentre andava a trovare la sua famiglia a Mansura, venne arrestato.

Sotto accusa ci sono alcuni post che lo studente ha pubblicato su Facebook e che secondo il regime egiziano avrebbero avuto lo scopo di disturbare la pace sociale. Zaki, secondo il Governo del Cairo, avrebbe pubblicato notizie false sui social con l’obiettivo di incoraggiare le proteste contro il Governo stesso.

Accuse per quali rischia sino a 25 anni di carcere.

Ma oggi è un giorno di gioia ‘speriamo di poterlo riabbracciare quanto prima’, dichiara il sindaco di Bologna alla notizia della scarcerazione.

Per Patrick si apre oggi un nuovo capitolo. Sebbene la strada verso l’assoluzione  completa appaia  ancora lunga e impervia, un primo importante punto oggi è stato messo a segno.

Chiara Farigu

lunedì 6 dicembre 2021

Il presepe per dare un senso al natale che un senso non ce l’ha (più)

 Ho sempre fatto il presepe. Sia a casa che a scuola coi bambini.

Negli ultimi 20 anni ho avuto alunni di diverse nazionalità, rumeni, croati, russi, albanesi, colombiani e naturalmente africani di religione musulmana. Mai, nessun genitore si è permesso di protestare o di lamentarsi per uno dei simboli della nostra tradizione, forse il più importante, come il presepe. E alle drammatizzazioni natalizie, benché fossero esonerati dell’insegnamento RCI hanno sempre voluto partecipare. Perché volevano essere come gli altri, fare quello che facevano gli altri. Stare insieme agli altri.

Mi è sempre piaciuto farlo, a volte grande altre piccolo come quest’anno. Dà un senso a questa festività che ha perso il valore intrinseco della sua essenza.
Soprattutto di questi tempi, dove la parola chiave è ‘pandemia’. E con essa tutto l’armamentario che ne consegue, dai vaccini ai greenpass di base e rafforzati, dalle zone colorate alle mascherine anche all’aperto e ai distanziamenti sempre raccomandati.

Parole e atti divenuti nel tempo sempre più divisivi.

Tra chi li accetta seguendo i dettami della scienza per tornare a quella ‘normalità’ tanto agognata e chi li osteggia e rifiuta in quanto percepiti come strumenti atti a limitare in parte o in toto la libertà personale di scelta e di azione.

Il presepe, dunque, per recuperare, almeno in parte, quello spirito natalizio di altri tempi. Di pace. Con se stessi e con gli altri. Di solidarietà verso chi non ha e non può. Di amore universale. Di raccoglimento. Con i propri sogni, le aspettative i progetti da realizzare. Di condivisione e partecipazione. Di pausa. Dalle corse frenetiche fuori e dentro casa. Di relax mentale e spirituale. Di calore, di famiglia, di amicizia.

È questo il Natale, in fondo. Staccare la spina dagli affanni quotidiani per tornare ad essere un po’ più umani.

Per ricordarci chi siamo e dove andiamo.

Per rimediare a qualche errore, dire ti voglio bene a chi sopporta la nostra superficialità e tracotanza.

Certo, son tutte cose che si possono fare sempre ma chissà perché non si ha mai il tempo o la voglia. Che male c’è se ne approfittiamo a Natale con la complicità di quell’atmosfera magicamente creata per sospendere ogni belligeranza con noi stessi e con gli altri?

Quel presepe vuole ricordarci questo e tanto altro.
Indipendentemente dalla fede religiosa che ognuno vive come meglio crede.

Basterebbe lasciarsi andare, ascoltare il proprio cuore anche solo per un giorno.

Basterebbe essere meno cinici e credere che in fondo siamo migliori di quel che pensiamo o vogliamo apparire.

Basterebbe … basterebbe parlare di meno e ascoltare di più.

Chiara Farigu

*Scatto personale

venerdì 3 dicembre 2021

Rapporto Censis: italiani sempre più ansiosi, insicuri, diffidenti, irrazionali. Per 3milioni il covid non esiste

 Estremamente preoccupante quanto realistica l’istantanea scattata dal Censis nel 55° ‘Rapporto sulla situazione sociale del Paese/2021’.

Quei dati, quelle percentuali scritte nero su bianco ci danno la conferma di quanto percepiamo quotidianamente.

Di quello che siamo e stiamo diventando, dopo due anni buoni di pandemia: sempre più ansiosi, insicuri, diffidenti, irrazionali.

Un Paese prigioniero delle sue fragilità, delle sue paure.

 Un Paese dal respiro corto, incapace di fare progetti a lungo termine perché preoccupato di una quotidianità dove l’emergenza sanitaria continua a farla da padrone.

Un Paese deluso dalle istituzioni e sempre più distante dalla politica. Non si reca più alle urne quasi il 30% degli aventi diritto. Una percentuale elevatissima, mai così prima d’ora.

Un Paese dominato dall’irrazionalità, la pandemia, recita il report, ha accentuato il senso di vulnerabilità.

A sentirsi insicuro dal punto di vista di vista sanitario, inteso come assistenza e prestazioni mediche oltre il 40,3% degli italiani, mentre il 33,9% non si sente sicuro rispetto a un’eventuale condizione di non autosufficienza.

Lo spettro della perdita del lavoro è sempre dietro l’angolo, mentre la mancanza di un impiego spinge sempre più i giovani a valicare i confini in cerca di nuove prospettive. Soprattutto al Sud dove la crisi economica morde più forte che altrove. Tanti i piccoli borghi a rischio spopolamento nelle regioni più provate come Sardegna, Basilicata, Calabria.

Stressati, delusi estremamente ansiosi. E anche incattiviti. E diffidenti.

Quasi 3 milioni di persone non credono all’esistenza del Covid, per il 10,9% il vaccino è inutile e inefficace.  Per il 31,4% è un farmaco sperimentale e le persone che si vaccinano fanno da cavie. Per il 12,7% la scienza produce più danni che benefici, per il 19,9% il 5G è uno strumento sofisticato per controllare le persone.

Un capitolo a parte meriterebbero le varie teorie complottiste che proliferano sul web oltre a quelle negazioniste storico-scientifiche: il 5,8% è convinto che la Terra sia piatta e il 10% che l’uomo non sia mai sbarcato sulla Luna.

La teoria dei complotti spesso si intreccia con quella cospirazionista che, secondo il Rapporto, avrebbe contagiato una ben nutrita percentuale di italiani, il 39,9%, incentrata sulla cosiddetta ‘sostituzione etnica’: saranno gli immigrati nel tempo, per volontà di potentati più o meno misteriosi, a sostituire identità e cultura nazionali.

Dati che fanno riflettere. Che sconcertano. Preoccupano.

In quanto conseguenza logica di aspettative soggettive insoddisfatte. Di sogni traditi. Di progetti di vita rimandati sine die. Di speranze, illusioni, auspici andati in fumo. Affossati da una crisi sanitaria ed economica che perdura da troppo tempo sulla cui fine a breve termine  in pochi scommettono.

Dati che ci rimandano un’immagine inquietante del Paese nel quale viviamo.  Inquietante (e pericolosa) forse più della stessa pandemia.

Chiara Farigu

*Immagine web

giovedì 2 dicembre 2021

Covid19. Da Cuba una grande lezione di solidarietà e umanità

 ‘A Cuba si sta scrivendo la storia’. È  quanto sostiene Nicola Fratoianni in un post pubblicato sul suo profilo Fb, dedicato alla pandemia e in particolare ai vaccini Sars-Covid19.

‘Grazie a decenni di investimenti in sanità e ricerca -scrive-  hanno sviluppato 5 vaccini contro il covid: efficaci, sicuri e completamente finanziati con fondi pubblici. E nonostante l’embargo economico.

Le vaccinazioni sono iniziate in estate e oggi circa il 90% della popolazione ha ricevuto la prima dose. I contagi sono in forte calo e i morti tendono a zero.

E sta anche iniziando la produzione e distribuzione in altri paesi che ne hanno chiesto l’utilizzo.

Una grande lezione di solidarietà e umanità. La dimostrazione che è possibile mettere il bene pubblico e la salute collettiva di fronte al profitto dei privati.

Noi invece siamo ancora qui a discutere di terze dosi, mentre di sospendere i brevetti non se ne parla nemmeno’, conclude il leader di Sinistra Italiana. Domandandosi,  speranzoso: E se provassimo ad imparare qualcosa da questo meraviglioso esempio?

Un auspicio più che una domanda. Perché sappiamo bene che da questo ‘meraviglioso esempio’ non impareremo niente così come dalla pandemia non ne stiamo uscendo migliori.

Che il cuore di Cuba fosse grande lo abbiamo toccato con mano  quando nel pieno della crisi sanitaria, decine di medici cubani, esperti in malattie infettive,  vennero in soccorso dei colleghi italiani allora alle prese con i reparti  di terapie intensive al collasso e  sfiancati dalle complicanze di un virus di cui si sapeva poco e niente. Ma  che mieteva vittime a più non posso.

Furono i primi ad arrivare e a portare solidarietà nelle zone più colpite dal virus. Crema, Bergamo e altre città del Nord Italia.

La parte più bersagliata a inizio pandemia.

Un gesto non solo umanitario ma anche  professionale che fin da allora ci fece capire che dalla pandemia, così come dalla crisi economica che ne è conseguita,  si esce solo se stiamo tutti insieme. In caso contrario non ne usciremo mai, ammonisce spesso Papa Giovanni. L’unico, tra i potenti della terra, a rivendicare l’esigenza di un’economia dal volto umano e a chiedere ai colossi della finanza di condonare i debiti contratti dagli Stati contro l’interesse dei loro popoli, così come l’unico, o quasi a chiedere seppur ‘in nome di Dio’ di liberalizzare i brevetti. Così che possano essere a disposizione di tutti i popoli, in special modo di quelli più poveri.

La liberalizzazione dei brevetti a Cuba  va in questa direzione.  Che ancora un volta fa da apripista. 

La variante Omicron sudafricana (e le prossime che prepotentemente cercheranno di ‘bucare’ le terze, quarte, quinte e chissà quante altre dosi iniettate nel cosiddetto mondo opulento) ne sono la prova provata.

Domandarsi cosa aspettiamo ancora non necessita risposte. Ma atti concreti. In caso contrario, non ne usciremo mai.

Chiara Farigu

*Immagine web

La nonna paterna? Una nonna a metà (con poche eccezioni)

  Essere nonne è un dono meraviglioso che la vita riserva a chi ha avuto la gioia di essere prima mamma. E’ come diventare madri una seconda...