Un morbo maledetto quello dell’Alzheimer, la malattia della terza età che prende il nome dal neurologo tedesco che nel 1907 ne descrisse i sintomi e gli aspetti neuropatologici.
Arriva quando meno te l’aspetti. Piccoli segnali che attribuiamo a stanchezza o allo stress e che pertanto sottovalutiamo. Chi non dimentica le chiavi o la lista della spesa preparata poco prima? E quante volte conserviamo degli oggetti nei posti sbagliati? Chi non ricorda il viso di una persona che magari non incontriamo da tempo? Capita a tutti, anche ai più giovani, perché preoccuparsi? I periodi di stanca sono dovuti alla routine frenetica che conduciamo. Ma quando le piccole dimenticanze diventano dei veri e propri vuoti di memoria è il segnale inequivocabile che qualcosa non va. Che il morbo si è già insinuato e si diverte a sparigliare le capacità mnemonico/attentive per arrivare, nelle forme più gravi, fino al punto in cui si dimenticano sempre più cose e persone, persino i familiari più stretti.
L’Alzheimer, chiamato comunemente demenza senile, colpisce circa il 5% delle persone con più di 60 anni, in Italia se ne contano oltre 1 milione. Nel mondo sono circa 50 milioni e ogni 3 secondi una persona ne riceve la diagnosi. Dopo gli 80 anni ne è affetto un anziano su 4. La malattia aggredisce la memoria e le funzioni cognitive provocando nei pazienti una serie di difficoltà a cominciare dall'autonomia. Ai vuoti di memoria sempre più insistenti si associano stati confusionali e conseguenti disorientamenti spazio-temporali. Ci si chiude in se stessi, vittime di insicurezze e paure. Poco alla volta si è dipendenti come bambini. Anche il linguaggio dapprima fluido e vivace si fa lento, confuso e incerto, si perdono le parole, si ripetono le stesse domande. O si sta zitti a lungo perché i pensieri non affiorano, i ricordi si affievoliscono, fino a morire del tutto.
Come diagnosticare il morbo di Alzheimer?
Attraverso esami clinici: del sangue, delle urine o del liquido spinale. Ai quali associare una Tac cerebrale per identificare ogni possibile segno di anormalità, e test neurologici per misurare la memoria, la capacità di risolvere problemi, il grado di attenzione, la capacità di contare e di dialogare.
Fondamentale come in altre malattie neuro-degenerative è la diagnosi precoce sia perché offre la possibilità di trattare alcuni sintomi della malattia, sia perché permette al paziente di pianificare il suo futuro, quando ancora è in grado di prendere decisioni.
Quali le terapie, se ci sono?
Purtroppo non esistono farmaci in grado di fermare e far regredire la malattia e tutti i trattamenti disponibili puntano a contenerne i sintomi, quali gli stati d’ansia, l’insonnia o la depressione. Questo perché, ancora oggi, gli scienziati stanno cercando di comprendere appieno la causa o le cause di questa patologia. Di certo c’è che il morbo è caratterizzato da un accumulo di proteine nel cervello, la “beta-amiloide e la “tau” che rilasciano placche e grovigli che si vanno a depositare negli spazi delle cellule nervose.
Nuove e incoraggianti prospettive di cura per l’Alzheimer sono concentrate proprio su un farmaco, Aducanumag, che ha attraversato già tutte le fasi sperimentazione, atto non solo a ridurre la formazione di queste proteine, ma anche a rallentarne il declino cognitivo dei pazienti. Entro marzo 2021 si saprà se il farmaco otterrà l’approvazione dalla FDA americana per poi arrivare finalmente anche in Italia.
Tra i vari trattamenti non farmacologici, la terapia di orientamento alla realtà, ROT, che si basa su stimoli di tipo verbale, visivo, scritto e musicale, sembra dare qualche aiuto ai malati di Alzheimer. Aiuti, appunto, solo per alleviare alcuni sintomi ma che non risolvono né tanto meno arrestano lo stato degenerativo conclamato della malattia.
Bisogna avere cura del cervello, si sostiene. Mantenendolo in efficienza ma senza sovraccaricarlo, in modo da favorire la sua plasticità, cioè la sua capacità di rigenerazione.
Una malattia per molti versi ancora tutta da scoprire e soprattutto da curare. Ma le speranze, lo abbiamo detto vengono riposte nella prevenzione. Una malattia, divenuta una sfida sanitaria irrinunciabile, visti anche i numeri, già consistenti, e destinati a crescere per il progressivo aumento della vita.
Oggi, 21 settembre 2020, in occasione della ventunesima giornata mondiale tante le iniziative messe in campo.
Diverse le città che hanno attivato screening gratuiti, convegni e presentazione di libri. Informare per mantenere desta l’attenzione.
Anche se, passare dalle speranze alla realtà concreta di cura rimane un obiettivo irrinunciabile per questo morbo invisibile, subdolo e altamente invalidante. Patologia, sottolineano gli esperti, che sebbene colpisca soprattutto persone in età avanzata, non esclude anche forme giovanili (40/50 anni). Con percorsi assistenziali, per questi ultimi, ancora tutti da costruire
Chiara Farigu
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