il blog di chiarafarigu

lunedì 18 gennaio 2021

Debutto col botto per Mina Settembre, l’assistente sociale dei Quartieri Spagnoli

 Mi ero innamorata di lei fin dalle prime pagine di ‘Troppo freddo per Settembre’, trovato, insieme ad altri libri, sotto l’albero di Natale.  Indomabile, bellissima, determinata, pronta a cacciarsi nei guai, sempre per una buona causa s’intende, Mina è un altro grande personaggio  creato dalla penna di Maurizio de Giovanni, scrittore napoletano di successo i cui libri sono tradotti in tutto il mondo.

L’avevo immaginata diversa per via di quel ‘Problema 2’ descritto magistralmente dall’autore, vale a dire un fisico procace capace di attirare e sedurre all’istante qualsiasi maschio che si rispetti a portata di tiro, in strada, in metropolitana o all’interno del suo stesso studio.  Un problema non da poco per Mina che vuole brillare per la sua intelligenza ed affermarsi per le sue qualità professionali e umane anziché  perdere parte del suo tempo a schivare ‘manimorte’ e sguardi da pesce lesso di uomini incapaci di controllare il livello di testosterone in sua presenza.

L’avevo disegnata nella mia fantasia come la Loren nel conturbante spogliarello di Ieri oggi e domani,  o come la Lollobrigida in  Pane amore e fantasia. Ma la versatile e talentuosa Serena Rossi (indimenticabile nei panni di Mia Martini, non è stata da meno. E gli ascolti le danno ragione. La prima puntata andata in onda ieri sera su Rai ha sbaragliato la concorrenza aggiudicandosi il 22,6% di share, pari ad oltre 5.8000.000 di telespettatori .

Un debutto alla grande, dunque, per la fiction liberamente tratta dai racconti Un giorno di Settembre a Natale e Un telegramma da Settembre dello scrittore napoletano già autore de i Bastardi di Pizzofalcone.

Dodici racconti articolati in sei puntate per raccontare le vicende della spumeggiante assistente sociale che dopo essersi separata dal marito Claudio (Giorgio Pasotti), magistrato col quale giocoforza dovrà interagire e spesso scontrarsi,  torna a casa dall’ingombrante mamma, ovvero il suo ‘Problema 1’ poiché di materno sembra non avere proprio niente. Dispotica, autoritaria, poco prepensa a dividere il suo spazio con la figlia alla quale non perdona il suo stato di separata  e la sua condotta di vita, dedita più agli altri che a sé stessa.  Al punto da far diventare  il Consultorio la sua ragione di vita. Aiutare chi ha bisogno di assistenza, supporto ma anche solo di ascolto dei problemi da condividere per alleggerirne il peso di chi li porta.

E poi nel Consultorio arriva  lui, Domenico ‘chiamami-Mimmo’, come va ripetendo a tutti le pazienti per instaurare un rapporto meno formale, che riaccende pensieri e desideri che  Mina credeva sopiti, dopo la separazione dal marito, in seguito al suo tradimento.

Assistente sociale di professione, Mina si scopre investigatrice a tutto tondo in cerca di indizi per tirare fuori dai guai (spesso è lei a finirci) le persone che ricorrono al suo aiuto. A darle man forte l’attraente ginecologo interpretato da Giuseppe Zeno,  Christane Filangeri e Valentina D’Agostino, nei panni delle  amiche di una vita.

A fare da cornice alle avventure di Mina, Napoli e gli splendidi Quartieri Spagnoli. Tanti gli intrecci che di volta in volta Mina riesce a sciogliere per restituire alla vita persone spesso vittime della criminalità o messe ai margini da eventi dolorosi.

Una serie da vedere

Chiara Farigu

domenica 17 gennaio 2021

Monossido di carbonio: il killer silenzio che uccide senza alcun preavviso. Lanuvio proclama lutto cittadino

 E’ ancora sotto choc la cittadina di Lanuvio dopo la strage  nella casa di riposo Villa dei Diamanti nella quale cinque donne sono morte per una probabile fuga di monossido di carbonio. La Giunta Comunale ha proclamato il lutto cittadino per stringersi intorno al dolore delle famiglie che hanno perso i propri cari. Un bilancio drammatico. Alle  vittime si sommano altre sette persone, tra le quali anche due operatori, ricoverate in ospedale tutte coi sintomi riconducibili a intossicazione di monossido di carbonio.

Gli inquirenti sono al lavoro per capire le dinamiche dei fatti visto che la struttura, come precisa in una nota la giunta comunale, è in possesso dei requisiti previsti dalla legge in termini urbanistici e di ogni altra autorizzazione di competenza comunale. L’edificio peraltro era stato completamente ristrutturato e reso agibile solo quattro anni fa.

Morte nel sonno per gli effetti letali del ‘killer silenzioso’, così viene definito il monossido di carbonio. Un gas velenoso e particolarmente insidioso in quanto inodore, incolore e insapore. Un gas che ogni anno, per svariate motivi, miete vittime inconsapevoli senza alcun preavviso, come purtroppo periodicamente riportano le cronache.

Ma cos’è esattamente il monossido di carbonio?

L’ossido di carbonio (CO) è un inquinante molto insidioso, soprattutto nei luoghi chiusi dove si può accumulare in concentrazioni letali. Tali situazioni sono purtroppo frequenti e innumerevoli sono i casi di avvelenamento e gli incidenti anche mortali imputabili alle stufe o agli scaldabagni difettosi o non controllati. Essendo il CO incolore, insapore, inodore e non irritante, può causare morti accidentali senza che le vittime si rendano conto di quel che sta loro succedendo.

Una volta respirato, il CO si lega all’emoglobina formando un composto che viene chiamato carbossiemoglobina. Questa sostanza, al contrario dell’emoglobina, non è in grado di garantire l’ossigenazione ai tessuti, in particolare al cervello ed al cuore. La morte sopravviene pertanto per asfissia.

I primi sintomi dell’avvelenamento sono l’emicrania e un senso di vertigine, se avvertiti in tempo.

Purtroppo il gas provoca anche sonnolenza e questo impedisce spesso alle vittime di percepire il pericolo e di scongiurarlo aerando il locale. Un killer silenzioso, appunto. Che uccide senza alcun preavviso. Con una predilezione per la stagione invernale. Quando scaldabagno, impianti di riscaldamento, stufe e camini funzionano a pieno regime, e in più, a causa del freddo, le finestre di casa sono spesso chiuse. Anzi sigillate, come quelle più moderne dotate di doppi vetri a prova di qualunque spiffero. Ragion per la quale, i decessi per intossicazione da CO, negli ultimi decenni, siano addirittura in aumento.

Il pericolo incombe quando qualche impianto su citato è difettoso o le canne fumarie risultano essere intasate da qualche ostruzione che impedisce la regolare fuoriuscita dei fumi. Il monossido di carbonio viene infatti liberato nell’ambiente a causa di un processo di combustione incompleta dei combustibili organici (legno, carbone, olio e carburanti vari) provocando intossicazioni più o meno gravi e, qualche volta anche la morte.

Non ci sono dati ufficiali sul numero di vittime che il monossido di carbonio miete in Italia ogni anno, tuttavia sono consistenti anche se variabili: si tratta di centinaia di morti e di migliaia di persone ricoverate in ospedale per intossicazione. Una volta in ospedale la camera iperbarica è il trattamento spesso risolutivo dell’intossicazione da CO.

Che fare per soccorrere una persona intossicata da CO?

Le operazioni da fare sono molto semplici: aprire tutte le finestre per far entrare ossigeno nell’ambiente e portare la persona che ha inalato il gas all’esterno somministrandogli, se possibile, ossigeno ad alta concentrazione. E naturalmente chiamare subito un’ambulanza.

Tuttavia la prevenzione rimane sempre l’arma migliore per scongiurare pericoli. Prevenzione che in questo caso sta a significare corretta manutenzione e corretto funzionamento degli impianti di riscaldamento, assicurando l’adeguata ventilazione dei locali che ospitano gli apparecchi a combustione. Da non trascurare poi la pulitura dei camini e dei condotti di evacuazione dei gas che deve essere eseguita almeno una volta all’anno da operatori qualificati.

Piccoli ma necessari accorgimenti dei quali però ci ricordiamo sempre troppo tardi. Veicolare le giuste informazioni può salvare più di una vita.

Chiara Farigu

sabato 16 gennaio 2021

Covid19. Il nuovo DPCM tra conferme e novità, in vigore dal 16 gennaio

 Ci  (ri)siamo. L’Italia cambia nuovamente colore:  da domenica 17 gennaio ben 9 regioni (Abruzzo, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Marche, Piemonte, Puglia, Umbria e Valle D’Aosta) passano in zona arancione, mentre Lombardia Sicilia e la provincia autonoma di Bolzano si tingono di rosso.

Le sei regioni ‘virtuose’, Campania, Sardegna, Basilicata, Toscana, Provincia Autonoma di Trento, Molise, rimangono invece in zona gialla.

Rabbia  del governatore Fontana  che non ci sta e minaccia ricorsi, ritiene ‘una punizione’ la nuova collocazione imposta dall’ ordinanza del ministro Speranza.

Di contro,  il suo omologo siciliano chiede che la sua regione (che il report di monitoraggio del Ministero della Salute collocherebbe in fascia arancione) sia invece  inserita in quella ad alto rischio con le relative misure di contenimento.

A far chiarezza, si fa per dire, su cosa potremo fare o no ci pensa il nuovo DPCM  in vigore da oggi 16 gennaio sino al 5 marzo.

Diverse le novità contenute. A cominciare dalle cosiddette ‘zone bianche’, per ‘le regioni con un livello di rischio basso’ dove ‘si manifesti una incidenza settimanale dei contagi, per tre settimane consecutive, inferiore a 50 casi ogni 100.000 abitanti’.

Per ora una chimera, ma possibile, assicurano gli esperti, se verranno messi in atto comportamenti adeguati. Ovvero utilizzati scrupolosamente i dispositivi medici di sempre (mascherina, distanziamento, igienizzazione mani) ed evitati  assembramenti di ogni tipo.

Nelle regioni gialle e arancioni gli studenti delle scuole superiori da lunedi 18  torneranno a scuola al 50-75% della presenza. Il restante 25-50%, a turno, proseguirà con la didattica a distanza, ordinanze regionali permettendo.

Confermato il coprifuoco dalle ore 22 alle 5 del mattino e l’obbligo di portare sempre e indossare al chiuso, e in presenza di altri, la mascherina.

Confermato anche il divieto di spostamento tra regioni e  il divieto della vendita da asporto per i bar dalle 18. Così come le chiusure di palestre e piscine, cinema e teatri.

Tornano invece le crociere ed è confermata l’apertura dei musei, ma solo nelle regioni gialle e solo nei giorni feriali ‘un primo passo, un segnale di riapertura’, dichiara il ministro Franceschini.

Resta valida la regola che consente di andare a trovare parenti o amici nella regione, se questa è in zona gialla, o nel comune se è in zona arancione o rossa, una sola volta al giorno ad un massimo di due persone (oltre ai minori di 14 anni conviventi).

Previsti ristori per le attività danneggiate dalle nuove misure. Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera a un nuovo scostamento fino a 32 miliardi. La richiesta passa ora al Parlamento: l’Aula della Camera voterà sulla questione mercoledì 20 gennaio.

Intanto sale la tensione e i malumori degli esercenti. Molti dei loro si dicono pronti alla disubbidienza civile e a bypassare le norme imposte mantenendo aperti bar ristoranti palestre e piscine pur nel rispetto delle regole vigenti di distanziamento e igienizzazione. ‘Siamo al collasso, è l’unico modo per far ripartire tutta l’economia in quanto i ristori del Governo non sono sufficienti per cui non possiamo più fare a meno di aprire’, sostiene il promotore di #ioapro, mobilitazione che coinvolge tutto il Paese.

Difficile non comprendere le loro ragioni. Considerato che la pandemia dura da quasi un anno e ancora non si intravede nessuna luce in fondo al tunnel.

Chiara Farigu

Immagine Commons Wikimedia

lunedì 11 gennaio 2021

‘Penso che un sogno così’, Beppe Fiorello porta in tv uno spaccato della sua vita

 Beppe Fiorello torna in tv e ci racconta uno spaccato della sua vita, intrecciando ricordi personali della sua infanzia con eventi della Sicilia e dell’Italia di quegli anni.

‘Penso che un sogno così’, in onda stasera su Rai 1, è un adattamento televisivo dello spettacolo teatrale che ha viaggiato in lungo e largo per tutta la penisola per oltre 300 serate. Protagonista del racconto, suo padre. Che l’attore siciliano ha perso quando aveva 20 anni. Una perdita che lo ha costretto a crescere più velocemente, a fare i conti con le sue paure e la sua timidezza. A camminare con le proprie gambe e ad assumersi le proprie responsabilità.

‘Era un padre molto semplice, simpatico, anche se la simpatia spesso viene letta come una dote leggera. Mi colpiva la sua positività̀, la sua visione della vita: era un possibilista, tutto per lui era possibile, fattibile; sognava molto, per noi e per lui. E poi non solo cantava le canzoni di Modugno, ma gli assomigliava anche fisicamente’.

‘Sono cresciuto a pane e Modugno’ ripete spesso l’artista siciliano, quasi a voler giustificare quell’amore che da sempre lo lega all’indimenticato cantante pugliese. Amore che lo porterà, molti anni dopo, a vestirne i panni in un film a lui dedicato.

Un racconto commovente lo ha definito Fiorello. Accanto a lui Serena Rossi, Pierfrancesco Favino, Eleonora Abbagnale, Paola Turci, Francesca Chillemi e suo fratello Rosario. Col quale mettere in scena ‘qualcosa di molto bello e inedito, un momento davvero intimo’, anticipa l’attore.

Un racconto da non perdere

Chiara Farigu

giovedì 7 gennaio 2021

Si torna a scuola e ‘Che Dio ci aiuti’

 ‘Che Dio ci aiuti’ direbbe la suora della tv ad alunni studenti e docenti che oggi siedono nuovamente sui banchi di scuola. Il rientro dopo la pausa  per le festività per i bambini/e della scuola dell’infanzia e primaria di primo grado e per il 50% degli studenti delle superiori (il restante 50% seguirà, a rotazione, da remoto)dopo il lockdown autunnale. Ma non per tutti visto che i presidenti di regione hanno deciso la riapertura in ordine sparso.

Un rientro voluto fortemente dalla ministra Azzolina a dispetto della curva dei contagi costantemente in picchiata e nonostante il parere contrario della stragrande maggioranza dei docenti che vedono quelle aule tutt’altro che ‘sicure’.

Diciamolo chiaramente. A parte l’acquisto dei banchi monoposto, su cui è stato detto di tutto e di più, e qualche altro strumento per la didattica, nient’altro, o poco o niente è stato fatto in quasi un anno dal primo lockdown nazionale.

Un’occasione sprecata per eliminare le classi pollaio, ristrutturare gli edifici scolastici pericolanti e quelli non ancora a norma. Per assumere in pianta stabile i precari e restituire un minimo di dignità ai docenti partendo da una retribuzione adeguata per il ruolo ricoperto.

Un’occasione sprecata per ridare lustro all’istituzione scolastica vista da sempre, da tutti i governi che si sono succeduti, la palla al piede della Pubblica Amministrazione.

Un’occasione sprecata per riconoscere finalmente alla Scuola e all’Istruzione, coi fatti e non a parole, il ruolo fondamentale a cui è preposta per la formazione dei futuri cittadini.

La scuola è sicura, sostengono, e tanto basta per riaprire i battenti.  Nonostante diversi dati dicano il contrario. Nonostante il ‘prima’ e il ‘dopo’, legato ai trasporti su cui non si è intervenuto se non poco e male, e agli assembramenti davanti ai cancelli d’ingresso e d’uscita.

Non rimane che sperare  che il maledetto virus, se malauguratamente dovesse far capolino dalla porta d’ingresso avanzi dritto, senza colpo ferire, sino alla finestra lasciata semiaperta per la salutare aerazione anti-covid  per poi dissolversi all’aperto.

‘Che Dio ci aiuti’appunto. O se proprio non vogliamo scomodare l’Onnipotente per queste piccole faccende terrene, affidiamoci pure alla sorte o al fattore C. Perché è proprio di gran botta di culo che abbiamo bisogno per mantenere aperte le nostre scuole. Covid permettendo, s’intende.

Rimane l’amarezza nel constatare che ancora una volta abbiamo fallito. Un Paese che non si cura del futuro, non ha futuro. E il futuro sono i giovani a doverlo costruire, se messi però in condizione di farlo. Cominciando proprio dalla Scuola.

Ma questo rimane un sogno. Una chimera

Chiara Farigu

sabato 2 gennaio 2021

Accadde oggi: 61 anni fa se ne andava Fausto Coppi. Il Campionissimo

 Il 2 gennaio di 61 anni fa se ne andava Angelo Fausto Coppi, per tutti il Campionissimo. Nessuno come lui, nella storia del ciclismo. Icona intramontabile di uno sport meraviglioso ma durissimo che ha fatto sognare diverse generazioni e che, ancora oggi, per gli atleti delle due ruote rimane il faro a cui anche solo indegnamente tentare di avvicinarsi.

La sua vita, una leggenda. Destinato quasi certamente a seguire le orme contadine del padre Domenico, il giovane Fausto ha iniziato come garzone di salumeria a Novi Ligure. E’ allora che ha inforcato la sua prima bici, le consegne andavano recapitate nel più breve tempo possibile, un gioco da ragazzi per il futuro campione che su quelle strade volava come un airone.

Leggero, veloce, affidabile.

Sarà suo zio a regalargli una due ruote molto rudimentale, la sua prima bici, amore che durerà fino all’ultimo respiro, esalato a Tortona il 2 gennaio 1960, a soli 41 anni a causa della malaria (non diagnostica in tempo) contratta durante un viaggio in Alto Volta.

La sua prima corsa è datata luglio 1937. Inizio non molto promettente, a metà gara è costretto a ritirarsi poiché una gomma si sgonfia inaspettatamente. Non si arrende, Fausto. Il ciclismo gli è entrato nelle vene, è deciso, sarà quella la sua vita. Nel 1940 vince il Giro d’Italia, la via del successo è ormai tracciata. Ma prima dovrà fare i conti con la seconda guerra mondiale.

Esperienza piuttosto tormentata che lo vede dapprima militare a Tortona e poi prigioniero degli inglesi in Africa, a Capo Bon. Nel ’43 viene internato a Megez el Bab e poi trasferito al campo di concentramento di Blida, nei pressi di Algeri.

Esperienza traumatica dalla quale però esce indenne. Tornato a casa si riappropria della sua vita, mette su famiglia con Bruna Ciampolini (dalla quale avrà la sua prima figlia Marina), e riprende gli allenamenti. Il suo talento non passa inosservato alla Legano che diventa la sua prima squadra da professionista. Seguiranno negli anni la Bianchi, la Carpano, la Tricofilina, la San Pellegrino.

Il carnet delle sue vittorie è vastissimo, praticamente ha vinto tutto e di quel tutto più volte: cinque giri d’Italia, due Tour de France, tre Milano-Sanremo, una Parigi-Roubaix. Ma anche tre Mondiali, due su pista e uno su strada, quattro titoli italiani, cinque giri di Lombardia.

Storica la ‘rivalità’ con l’altra leggenda del ciclismo, Gino Bartali ovvero il ‘Ginettaccio’, com’era noto per il suo carattere fumantino. Rivalità che ha diviso le due accese tifoserie. Mentre loro, Bartali e Coppi, su questa ci hanno giocato a lungo. L’hanno persino cantata durante una puntata de Il Musichiere. Memorabile quella foto che li ritrae mentre si passano la borraccia lasciando nel mistero chi la passa a chi. Due campioni dei quali si è perso lo stampo. Irraggiungibili.

*Immagine tratta dal web

‘Un uomo solo al comando’, così venivano raccontate dai cronisti sportivi le epiche imprese del Campionissimo sulle montagne più dure aspre e impervie che immancabilmente scalava arrivando appunto primo dopo aver distanziato il gruppo degli inseguitori.

La sua vita, una leggenda. Compresa quella privata che non fu da meno. Fece scandalo, nell’Italia post-bellica, ancora molto puritana, la relazione extraconiugale con Giulia Occhini, definita dalla stampa di allora ‘ la Dama Bianca’, a sua volta sposata, donna per quale abbandonò la sua famiglia. Un’unione osteggiata dalle rispettive famiglie, dall’opinione pubblica, dalla tifoseria sportiva e dalla Chiesa. I due finiscono sotto processo e poi condannati: Coppi a due mesi di carcere, la Occhini a tre. Pena che poi verrà sospesa. Il clima sempre più irrespirabile convince i due a trasferirsi all’estero, in Messico si uniscono in matrimonio. Dalla loro unione, nel 1955,  nasce Il figlio Faustino.

Dal 15 settembre del 2018, in occasione del centenario della nascitaCastellania, paesino nell’entroterra alessandrino che gli ha dato i natali, si chiama Coppi-Castellania, ma anche più semplicemente solo Coppi. E’ un borgo-museo dove tutto parla di lui, mito indimenticato e intramontabile.

Chiara Farigu

*Immagine Ansa

Tre anni fa ci lasciava il Giudice Ferdinando Imposimato

 Son passati tre anni da quando ci ha lasciati. Un vuoto incolmabile, la sua assenza.

Magistrato, ex senatore e presidente onorario aggiunto della Suprema Corte di Cassazione, Ferdinando Imposimato è stato per me soprattutto un Amico, inteso nel senso più nobile del termine. Ed è cosi che voglio ricordarlo ancora oggi.

L’ultima volta che lo contattai fu a Natale di 3 anni fa, un messaggio per rinnovargli la mia stima e il mio affetto. Qualche ora dopo la sua risposta, ricordava la nostra battaglia combattuta fianco a fianco con gli insegnanti “Quota 96” ed il rammarico per non essere riuscito a restituirci quel diritto calpestato. Parole dure le sue, di condanna verso un Parlamento “illegittimo” che si era ostinato a reiterare l’errore Fornero.

Ricordo il mio primo post sulla sua pagina Facebook.  Gli lasciai un video con delle immagini che spiegavano “l’errore Fornero in pochi clic”. Niente di particolare, nessun effetto speciale, solo poche ma chiare note che chiarivano la violazione palese di un diritto. Il Nostro.

Quello degli insegnanti ‘Quota 96’.

Non credevo assolutamente che potesse esserci un seguito. Il Presidente lo visionò e mi contattò per chiedermi ragguagli in merito alla vicenda.  Quale meraviglia fu per me, non stavo più nella pelle.

Dopo di allora quante mail, quante telefonate, e poi quell’indimenticabile manifestazione del 29 Agosto 2014 a Piazza Santi Apostoli. Una mattinata rovente e non solo per l’elevata temperatura. Arrivò in anticipo all’appuntamento stabilito, elegante, con la cravatta rossa, in mano alcuni appunti scritti a penna su dei foglietti di un blocco notes che però non consultò. Andava a braccio, dando il meglio di sé da un palco allestito su un furgoncino affittato alla bisogna, picchiando duro contro le istituzioni lontane anni luce dai bisogni dei cittadini. Il tono della sua voce acquistava vigore e potenza dinanzi a termini come legalità, diritti, onestà, valori sanciti dalla Costituzione ma fatti a pezzi da una classe politica senza più alcuna caratura morale. Ascoltarlo non era solo un piacere immenso. Significava riappropriarsi di quella legalità che ci era stata sottratta, abbeverarci alla fonte della Giustizia della quale Lui e pochi altri erano rimasti i soli custodi.

Non era un caso che fosse divenuto il difensore dei cittadini calpestati nei loro diritti, non ultimi quelli gabbati dalla riforma Fornero. Per noi, il nostro faro. Come dimenticare?

Impossibile. Eravamo a dicembre 2011, si era da poco formato il governo a guida Monti. L’Italia stava precipitando, si diceva. Bisogna correre ai ripari, salvare il salvabile e prepararsi a fare grandi sacrifici. I “tecnici” chiamati a intervenire, senza colpo ferire, nel giro di due settimane misero mano alla riforma pensionistica ‘lacrime e sangue’ inasprendo i requisiti di accesso dei lavoratori ed eliminando il sistema retributivo sostituito,  tout court, dal contributivo.

Quel che ne è derivato è storia nota.

Migliaia gli esodati senza lavoro né pensione, decine e decine le categorie danneggiate. Tra loro anche gli insegnanti che proprio in quei giorni si apprestavano a inoltrare domanda di quiescenza, condannati senza appello, e, beffa delle beffe ad anno scolastico inoltrato.

Un ‘errore tecnico’ che non è stato mai corretto. Di cui però si fece carico il nostro Giudice dando voce alla palese ingiustizia che tale è rimasta per volontà politica ma soprattutto per volere dell’allora premier Renzi. Il quale fece estromettere, dal Decreto P.A. nel passaggio al Senato, un emendamento approvato all’unanimità appena una settimana prima alla Camera. Sarebbe stato materia della riforma scolastica, cosi giustificò, quell’inaudito voltafaccia.

Quel provvedimento, cassato il 4 agosto 2014non fu mai più preso in considerazione,  la Buona Scuola fece il resto dando il colpo finale.
Un’ingiustizia che ha suggellato un’amicizia rimasta tale sino a quel Natale di tre anni fa.
Qualche giorno dopo la  sua scomparsa. Improvvisa. Un vuoto incolmabile.

Indelebile il mio ricordo. Infinita la gratitudine per sua amicizia. Grazie, Ferdinando!

Chiara Farigu 

mercoledì 30 dicembre 2020

Svolta storica in Argentina: approvata la legge che legalizza l’aborto

 Dopo l’ok della Camera dello scorso 15 dicembre,  il Senato con 38 voti a favore  29 contrari e 1 astenuto ha dato il via libera al disegno di legge che legalizza l’interruzione volontaria di gravidanza. Una svolta storica, così è stata definita la norma che precedentemente era ammessa solo ed esclusivamente in caso di stupro o se la donna era in pericolo di vita.

Un percorso non facile (sei precedenti tentativi erano andati a vuoto) per arrivare sino all’Ok definitivo che è stato reso possibile grazie ad alcune modifiche del testo originario, come il sostegno esplicito del partito di governo e l’inserimento dell’obiezione di coscienza da parte del personale medico. Punto, quest’ultimo, molto criticato dai movimenti femministi che avrebbero preferito una legge senza ulteriori paletti che possa inficiare il diritto della donna ad abortire.

Non sarà possibile ostacolare o negare l’accesso all’aborto, recita la normativa fresca di varo che inserisce l’aborto nel PMO (Programma Medico Obbligatorio) come una prestazione medica di base, essenziale e gratuita.

La legge consente il libero accesso all’interruzione volontaria di gravidanza fino alla 14esima settimana di gestazione. Le minori di 13 anni potranno abortire solo se assistite da uno dei genitori o da un legale, chi ha più di 16 anni può decidere in autonomia.

L’Argentina, con il via libera del Senato, diventa così uno dei pochissimi Paesi dell’America Latina dove è permessa l’interruzione di gravidanza.

Esultanza e commozione nelle piazze delle tante donne, non solo attiviste, che per decenni si sono battute per vedersi riconosciuto un diritto finora negato ‘Ni una muerte mas por aborto clandestino’  (Non una morte in più per aborto clandestino), lo slogan di cartelli e striscioni verdi che hanno colorato i tanti cortei. Proteste, di contro, di associazioni ‘pro-vita’ da sempre contrarie alla legalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza

Chiara Farigu

*Immagine tratta dal web

sabato 26 dicembre 2020

Vaccino Covid19, domani il V-Day

 Il grande giorno è ormai alle porte.  Domani 27 dicembre avrà inizio la più imponente campagna di  vaccinazione di massa e, come più volte annunciato dal ministro Speranza, si partirà dal personale sanitario, dagli ospiti e personale delle Rsa e dagli anziani che in questi mesi di pandemia hanno pagato un conto salato in numero di contagiati e di decessi. Si procederà poi con le persone di ogni età che soffrono di più di una patologia cronica pregressa, immunodeficienze e/o disabilità.

Ieri, scortato dai Carabinieri, è arrivato allo Spallanzani di Roma il tir con le prime 9750 dosi di vaccino della Pfizer-Biontech (altre 450mila dosi dovrebbero arrivare nei prossimi giorni) e da questa mattina è in corso la distribuzione nelle varie regioni per assicurare la regolare somministrazione  che avverrà in contemporanea in tutta Europa.

Il V-Day, così è stata definita la giornata di domani  ‘sarà un bel giorno, un giorno simbolico e speriamo che nei giorni successivi, anche entro fine anno, si possa iniziare con la regolare vaccinazione’, ha dichiarato il commissario Arcuri, aggiungendo che ora più che mai è di fondamentale importanza non  abbassare la guardia per scongiurare la temibile terza ondata.

A fare da apripista, secondo le notizie riportate più volte dalla stampa, una giovane infermiera dello Spallanzani che presta servizio nel reparto Malattie Infettive.

Il vaccino anti-covid, è bene ricordarlo, non è obbligatorio, verrà somministrato su base volontaria ma affinché si raggiunga la cosiddetta ‘immunità di gregge’ è necessario che almeno il 70% della popolazione si sottoponga alla somministrazione del farmaco.

Secondo l’ultimo sondaggio di Euromedia, il 50,7% degli italiani ha manifestato l’intenzione di fare il vaccino, una quota in netto aumento rispetto al 49,8% di fine novembre e al 50,4% del 14 dicembre.

Nonostante gli scettici e i contrari a prescindere, la volontà di affidarsi alla scienza per mettere fine a uno dei peggiori incubi dei tempi moderni e riappropriarsi della propria vita è in costante crescita.

Domani è il gran giorno. Si comincia.

Chiara Farigu


venerdì 25 dicembre 2020

Iannacone racconta la storia dello scultore non vedente ed è subito Natale

 Lui è Felice Tagliaferri e il bambino che gli sta vicino è suo figlio Alberto. La loro storia sembra uscita da un libro di favole che si regala a Natale dove a prevalere sono gli eroi, i sentimenti buoni, il bene che trionfa sul male. E’ anche una storia di sofferenza e di riscatto, di buio profondo e di luce intensa.

A raccontarla Domenico Iannacone, nell’ultima puntata di ‘Che ci faccio qui’. Maestro superlativo di storie di vita di persone che spesso vivono ai margini ma non per questo meno speciali.  Anzi. Com’è appunto Felice.

‘Cosa vorresti come regalo di Natale’, chiede il giornalista al bambino che avrà non più di 10 anni e che senza esitazione alcuna risponde: ‘Che il mio papà possa vedere anche per pochi minuti’. Il suo papà, Felice,  è un uomo davvero fuori dal comune, un artista sorprendente, di quelli che lasciano senza parole.

A 14 anni, a causa di una malattia, i suoi occhi improvvisamente  si spengono facendo sprofondare nel buio più nero i sogni e le aspettative di un ragazzino che si stava affacciando alla vita.

Chiunque al suo posto avrebbe cominciato a maledire il destino che senza preavviso  lo toglieva dall’esercito dei cosiddetti ‘normali’ per arruolarlo suo malgrado in quello dei ‘disabili’. Non lui, non Vincenzo da sempre sostenitore che ‘la vera disabilità è negli occhi di chi guarda, di chi non comprende che dalle diversità possiamo solo imparare’. E Vincenzo dalla sua ha imparato alla grande.

Galeotto il suo incontro con il marmo. Al quale dare la forma dei suoi sogni. Rendendo così ogni opera originale e personale.  Le sue creazioni sono infatti sculture non viste, che prima nascono nella sua mente e poi prendono forma attraverso l’uso sapiente delle mani, guidate da incredibili capacità tattili.

Vista e tatto si fondono all’unisono in quelle mani che non sono altro che  mero strumento per  plasmare blocchi di marmo per poi divenire opere uniche nel loro genere.  Veri capolavori capaci di regalare grandi emozioni in chi ha la fortuna di imbattersi in esse.

Come il Cristo ri-velato che Vincenzo ha realizzato dopo aver ‘visto’ quello della Cappella di  Sansevero di Napoli. Non potendolo toccare per rendersi conto della maestosità dell’opera, Vincenzo se l’è fatta descrivere, centimetro per centimetro. Descrizione durata oltre tre giorni, racconta Tagliaferri invitando Iannacone a toccare diversi dettagli del ‘suo’ Cristo come l’ombelico, la coscia o le costole che sono la riproduzione delle sue ‘ho usato me stesso per avere un modello sempre disponibile’ ha rivelato prima di sdraiarsi sull’opera.

Oggi Vincenzo è Scultore, Direttore della “Chiesa dell’Arte” e insegnante d’arte. Un artista a tutto tondo che si nutre di sogni che poi regala a chi è ancora capace di sognare. Nonostante la batoste della vita. Nonostante le piccinerie umane.

Accanto a lui Alberto.  Gli occhi di suo figlio, una finestra sul mondo. Per continuare a sognare.

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