Due donne che si vanno ad aggiungere alle 91 ammazzate dall'inizio dell'anno sino al 31 ottobre, come certifica l’ultimo Rapporto Eures.
Una nel ricco e moderno Veneto, l’altra nel profondo e martoriato Sud, in Calabria. Uccise entrambe da chi avrebbe dovuto proteggerle anche a costo della loro vita. A conferma che la violenza non conosce differenze territoriali né socio-economiche ma sia ‘un fenomeno con radici culturali profonde’, come ha ribadito oggi il premier Conte.
Uccise per ‘motivi passionali’, raccontano i quotidiani nel dare la notizia. Sentimenti morbosi. Amori malati. Alimentati dalla fiamma del possesso, dei ‘no’ difficili da accettare, della gelosia morbosa, scambiati per ‘troppo amore’.
Una mattanza che non accenna a diminuire e che ha visto una recrudescenza di casi proprio durante il lockdown, quando per molte donne le mura domestiche si sono trasformate in carceri da cui uscire pestate a sangue o senza vita.
Una mattanza che per essere spiegata, analizzata, studiata e compresa ha avuto bisogno di un nuovo termine coniato ad hoc per non essere confuso col più generico omicidio, anche se riferito ad una donna: FEMMINICIDIO.
Si dice femminicidio ‘qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l'identità attraverso l'assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte’ recita il dizionario.
Una differenza non da poco. Che necessita di un percorso socio-culturale ancora lungo, ahimè, da definire.
Ieri qualcuno ha lasciato una rossa sulla spiaggia. Il gesto della mano gentile di un uomo per le tante donne che hanno subìto e sono vittime di violenza di mani incapaci di dare amore. Forse non tutto è perduto, ho pensato, dinanzi a quei petali smossi dalla brezza marina.
Fa male doverlo ammettere. Mi sbagliavo.
Proprio oggi che urliamo a pieni polmoni 'Mai più' è già successo. Nuovamente
Chiara Farigu