Mi sono chiesta più volte, con quello che sta succedendo vicino a noi e il serio rischio di un nuovo conflitto mondiale, se fosse opportuno, e anche eticamente giusto, soffermarsi sulla ricorrenza odierna.
Si, è il caso. Perché anche oggi, soprattutto oggi, a pagare il prezzo più alto in questa assurda guerra a due passi da noi sono soprattutto donne e bambini. Pertanto diamo il giusto peso a questo evento e smettiamola, una volta per tutte di chiamarla ‘festa della donna’.
Sarebbe maledettamente riduttivo e oltremodo sbagliato. Quel che si commemora oggi è ‘la giornata internazionale della donna’. Che nulla ha a che vedere con l’uscita a cena in locali addobbati per l’occasione per sole donne nei quali poi fare bisboccia.
E’ un evento per riflettere e per dibattere su quanto la politica e le istituzioni tutte possono e devono ancora fare per abbattere tabù, pregiudizi e retaggi culturali ancora oggi duri a morire.
Ventiquattro ore per ricordare le sofferenze, le discriminazioni ma anche le tante battaglie messe in campo, nel corso dei decenni, per conquistare autonomia, indipendenza economica, emancipazione, parità di diritti e doveri.
Ventiquattro ore per sottolineare non tanto quanto è stato fatto finora ma quanto rimane da fare.
Essere donne non è facile. Non lo è stato nel passato e tantomeno lo è oggi. Dove si è chiamate ad accettare sfide sempre più dure e totalizzanti. E se da un lato occorre farsi trovare pronte, dall’altro le istituzioni tutte devono agevolare il cambiamento in atto garantendo le pari opportunità.
Perché mai come adesso il mondo ha bisogno dell’intelligenza, dell’intuito, della sensibilità, della creatività e delle competenze specifiche del genere femminile.
Prima se ne prende atto, meglio è. A cominciare dalle stesse donne. Che devono ‘tenere botta’ e solidarizzare tra loro.
Non chiamiamola festa, dunque. Perché, solo quando la parità e il rispetto che si deve all’altra metà dell’universo verrà riconosciuto a prescindere, si potrà festeggiare.
Solo quando non sentiremo più parlare di ‘femminicidi’, uno ogni tre giorni e in drammatico aumento nel periodo della pandemia, di centri antiviolenza, di discriminazioni e di maltrattamenti di qualsiasi intensità e grado, si potrà allentare la guardia.
Solo quando, prima ancora di una qualsiasi normativa ad hoc, saranno l’educazione, la corretta alfabetizzazione di genere, l’acquisizione di valori positivi a riequilibrare le tante, troppe storture ancora presenti, si potrà fare a meno di una giornata commemorativa.
Strano, quanti ricordi riaffiorano oggi nella mia mente. Quando, mio padre, uomo dai mille mestieri, si adoperava per rendere più gradevole ma soprattutto meno gravoso il lavoro domestico di mia madre.
Mi piace immaginare fosse un 8 marzo quando, contro la ritrosia di mia madre, che considerava quasi un lusso sperperare quei risparmi costati sudore e fatica, fece installare, fu tra i primi in paese, erano gli anni ’50, l’acqua potabile. E sicuramente fu ancora un 8 marzo quando dotò la cucina di un frigorifero e la camera da pranzo di un televisore. E successivamente il bagno della lavatrice.
Mio padre, uomo di grande intelligenza sebbene di poca cultura, se avesse potuto, e a suo modo lo ha fatto, della madre dei suoi figli ne avrebbe fatto una regina. A lui non piaceva imporre ma condividere e prevenire i desideri prima ancora che venissero espressi.
In quei gesti vi era tutta la gratitudine e il riconoscimento di un lavoro faticoso che solo l’occhio attento di un marito premuroso sapeva apprezzare.
Vi era rispetto e riconoscenza infinita. Vi era condivisione di un progetto comune.
Vi era sostegno reciproco e solidarietà. E senso di protezione sconfinato. Quello che ogni uomo che si rispetti, che sia il padre il compagno di vita o il datore di lavoro deve assicurare.
Valori per quei tempi non certo scontati. Quando le donne pagavano pegno dovuto a tradizioni arcaiche che le relegava ai margini della società. Pegno che in qualche modo continuano a pagare ancora oggi. Quando, a parità di mansione e di orario, percepiscono salari inferiori rispetto ai loro colleghi uomini. O come quando, in periodi di crisi, come l’ultimo che stiamo vivendo, a perdere il posto di lavoro per prima sono ancora loro, le donne.
Da qui le battaglie portate avanti e le tante altre da combattere. La parità, a tutt’oggi, è una chimera. La strada è ancora è lunga e piuttosto impervia, ma non per questo bisogna demordere. Anzi.
E se, per prenderne atto (donne comprese) e agire di conseguenza servono eventi commemorativi, ben venga l’ennesima giornata a tema.
Con l’auspicio però che i buoni proponimenti, che oggi abbondano, non si esauriscono nell’arco delle 24 ore come bolle di sapone.
Chiara Farigu
*Immagine web
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