il blog di chiarafarigu

mercoledì 30 dicembre 2020

Svolta storica in Argentina: approvata la legge che legalizza l’aborto

 Dopo l’ok della Camera dello scorso 15 dicembre,  il Senato con 38 voti a favore  29 contrari e 1 astenuto ha dato il via libera al disegno di legge che legalizza l’interruzione volontaria di gravidanza. Una svolta storica, così è stata definita la norma che precedentemente era ammessa solo ed esclusivamente in caso di stupro o se la donna era in pericolo di vita.

Un percorso non facile (sei precedenti tentativi erano andati a vuoto) per arrivare sino all’Ok definitivo che è stato reso possibile grazie ad alcune modifiche del testo originario, come il sostegno esplicito del partito di governo e l’inserimento dell’obiezione di coscienza da parte del personale medico. Punto, quest’ultimo, molto criticato dai movimenti femministi che avrebbero preferito una legge senza ulteriori paletti che possa inficiare il diritto della donna ad abortire.

Non sarà possibile ostacolare o negare l’accesso all’aborto, recita la normativa fresca di varo che inserisce l’aborto nel PMO (Programma Medico Obbligatorio) come una prestazione medica di base, essenziale e gratuita.

La legge consente il libero accesso all’interruzione volontaria di gravidanza fino alla 14esima settimana di gestazione. Le minori di 13 anni potranno abortire solo se assistite da uno dei genitori o da un legale, chi ha più di 16 anni può decidere in autonomia.

L’Argentina, con il via libera del Senato, diventa così uno dei pochissimi Paesi dell’America Latina dove è permessa l’interruzione di gravidanza.

Esultanza e commozione nelle piazze delle tante donne, non solo attiviste, che per decenni si sono battute per vedersi riconosciuto un diritto finora negato ‘Ni una muerte mas por aborto clandestino’  (Non una morte in più per aborto clandestino), lo slogan di cartelli e striscioni verdi che hanno colorato i tanti cortei. Proteste, di contro, di associazioni ‘pro-vita’ da sempre contrarie alla legalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza

Chiara Farigu

*Immagine tratta dal web

sabato 26 dicembre 2020

Vaccino Covid19, domani il V-Day

 Il grande giorno è ormai alle porte.  Domani 27 dicembre avrà inizio la più imponente campagna di  vaccinazione di massa e, come più volte annunciato dal ministro Speranza, si partirà dal personale sanitario, dagli ospiti e personale delle Rsa e dagli anziani che in questi mesi di pandemia hanno pagato un conto salato in numero di contagiati e di decessi. Si procederà poi con le persone di ogni età che soffrono di più di una patologia cronica pregressa, immunodeficienze e/o disabilità.

Ieri, scortato dai Carabinieri, è arrivato allo Spallanzani di Roma il tir con le prime 9750 dosi di vaccino della Pfizer-Biontech (altre 450mila dosi dovrebbero arrivare nei prossimi giorni) e da questa mattina è in corso la distribuzione nelle varie regioni per assicurare la regolare somministrazione  che avverrà in contemporanea in tutta Europa.

Il V-Day, così è stata definita la giornata di domani  ‘sarà un bel giorno, un giorno simbolico e speriamo che nei giorni successivi, anche entro fine anno, si possa iniziare con la regolare vaccinazione’, ha dichiarato il commissario Arcuri, aggiungendo che ora più che mai è di fondamentale importanza non  abbassare la guardia per scongiurare la temibile terza ondata.

A fare da apripista, secondo le notizie riportate più volte dalla stampa, una giovane infermiera dello Spallanzani che presta servizio nel reparto Malattie Infettive.

Il vaccino anti-covid, è bene ricordarlo, non è obbligatorio, verrà somministrato su base volontaria ma affinché si raggiunga la cosiddetta ‘immunità di gregge’ è necessario che almeno il 70% della popolazione si sottoponga alla somministrazione del farmaco.

Secondo l’ultimo sondaggio di Euromedia, il 50,7% degli italiani ha manifestato l’intenzione di fare il vaccino, una quota in netto aumento rispetto al 49,8% di fine novembre e al 50,4% del 14 dicembre.

Nonostante gli scettici e i contrari a prescindere, la volontà di affidarsi alla scienza per mettere fine a uno dei peggiori incubi dei tempi moderni e riappropriarsi della propria vita è in costante crescita.

Domani è il gran giorno. Si comincia.

Chiara Farigu


venerdì 25 dicembre 2020

Iannacone racconta la storia dello scultore non vedente ed è subito Natale

 Lui è Felice Tagliaferri e il bambino che gli sta vicino è suo figlio Alberto. La loro storia sembra uscita da un libro di favole che si regala a Natale dove a prevalere sono gli eroi, i sentimenti buoni, il bene che trionfa sul male. E’ anche una storia di sofferenza e di riscatto, di buio profondo e di luce intensa.

A raccontarla Domenico Iannacone, nell’ultima puntata di ‘Che ci faccio qui’. Maestro superlativo di storie di vita di persone che spesso vivono ai margini ma non per questo meno speciali.  Anzi. Com’è appunto Felice.

‘Cosa vorresti come regalo di Natale’, chiede il giornalista al bambino che avrà non più di 10 anni e che senza esitazione alcuna risponde: ‘Che il mio papà possa vedere anche per pochi minuti’. Il suo papà, Felice,  è un uomo davvero fuori dal comune, un artista sorprendente, di quelli che lasciano senza parole.

A 14 anni, a causa di una malattia, i suoi occhi improvvisamente  si spengono facendo sprofondare nel buio più nero i sogni e le aspettative di un ragazzino che si stava affacciando alla vita.

Chiunque al suo posto avrebbe cominciato a maledire il destino che senza preavviso  lo toglieva dall’esercito dei cosiddetti ‘normali’ per arruolarlo suo malgrado in quello dei ‘disabili’. Non lui, non Vincenzo da sempre sostenitore che ‘la vera disabilità è negli occhi di chi guarda, di chi non comprende che dalle diversità possiamo solo imparare’. E Vincenzo dalla sua ha imparato alla grande.

Galeotto il suo incontro con il marmo. Al quale dare la forma dei suoi sogni. Rendendo così ogni opera originale e personale.  Le sue creazioni sono infatti sculture non viste, che prima nascono nella sua mente e poi prendono forma attraverso l’uso sapiente delle mani, guidate da incredibili capacità tattili.

Vista e tatto si fondono all’unisono in quelle mani che non sono altro che  mero strumento per  plasmare blocchi di marmo per poi divenire opere uniche nel loro genere.  Veri capolavori capaci di regalare grandi emozioni in chi ha la fortuna di imbattersi in esse.

Come il Cristo ri-velato che Vincenzo ha realizzato dopo aver ‘visto’ quello della Cappella di  Sansevero di Napoli. Non potendolo toccare per rendersi conto della maestosità dell’opera, Vincenzo se l’è fatta descrivere, centimetro per centimetro. Descrizione durata oltre tre giorni, racconta Tagliaferri invitando Iannacone a toccare diversi dettagli del ‘suo’ Cristo come l’ombelico, la coscia o le costole che sono la riproduzione delle sue ‘ho usato me stesso per avere un modello sempre disponibile’ ha rivelato prima di sdraiarsi sull’opera.

Oggi Vincenzo è Scultore, Direttore della “Chiesa dell’Arte” e insegnante d’arte. Un artista a tutto tondo che si nutre di sogni che poi regala a chi è ancora capace di sognare. Nonostante la batoste della vita. Nonostante le piccinerie umane.

Accanto a lui Alberto.  Gli occhi di suo figlio, una finestra sul mondo. Per continuare a sognare.

giovedì 24 dicembre 2020

Chico Forti torna in Italia, l’annuncio del ministro Di Maio in diretta FB

 Chico Forti  tornerà presto in Italia, ha annunciato il ministro Di Maio durante una diretta Facebook , aggiungendo di aver informato i familiari, il presidente Mattarella e il premier Conte.

Il governatore della Florida ha accolto l’istanza presentata dallo stesso Forti di avvalersi dei benefici previsti dalla Convenzione di Strasburgo e di essere trasferito in Italia, ha chiarito il ministro degli Esteri, presto potrà riabbracciare i suoi’.

Un abbraccio che Enrico Forti sogna da oltre 20 anni. Da quando, allora 40enne fu accusato dell’omicidio di Dale Pike, il figlio del proprietario di una discoteca che Forti stava acquistando e condannato all’ergastolo.

L’ex imprenditore e produttore cinematografico si è sempre dichiarato innocente e vittima di una vera e propria macchinazione e nonostante molti  degli indizi a suo carico si siano rivelati infondati, manipolati o addirittura falsi non è mai riuscito a far riaprire il processo.

Un processo controverso, durato meno di un mese. Molti i dubbi e i buchi che sono rimasti tali in questi due lunghi decenni.

Del suo caso si erano interessati diversi esponenti politici senza ottenere alcun risultato. Sembrava una vicenda finita nel dimenticatoio ma sempre viva nella sua Trento e nei suoi familiari che non si sono mai arresi e hanno sempre combattuto per la sua estradizione.

Oggi l’annuncio di Di Maio. Presto tornerà in Italia. ‘Un risultato estremamente importante, che premia un lungo e paziente lavoro politico e diplomatico’, ha sottolineato il ministro pentastellato.

Soddisfazione da parte tutti gli schieramenti politici per il ritorno di Chico ‘è uno splendido regalo di Natale’

Chiara Farigu

martedì 22 dicembre 2020

Piero Angela, 92 anni e non sentirli

‘Se sei curioso, creativo e ti interessi di diversi argomenti, allora stai bene. Funziono meglio adesso, rispetto a trenta anni fa’, risponde Piero Angela a chi gli domanda come ci si sente dinanzi a un compleanno così importante come quello che festeggia oggi: 92 anni.

Curiosità, creatività, conoscenza e interesse che mette a disposizione dei giovani nel nuovo programma ‘Prepararsi al futuro’ in onda su Rai Premium dal 17 dicembre. Una sorta di dialogo intergenerazionale tra studenti e grandi personaggi di ogni campo: scienziati, economisti, storici, demografi, tecnologi, filosofi coi quali affrontare temi del mondo moderno pensando al futuro. L’Ambiente e la Sostenibilità sono il filo rosso di questa prima serie, una sorta di ‘manuale di sopravvivenza’, così l’ha presentata il divulgatore scientifico agli studenti, temi di fondamentale importanza per affrontare al meglio tutte le sfide che stiamo vivendo e le nuove che si presenteranno.

Responsabilità preparazione e conoscenza sono stati sempre i pilastri del suo lavoro, ieri e ancor più oggi. Non si può essere approssimativi o superficiali quando si quando si parla di scienza, sottolinea Angela, invitando i giovani alla lettura e allo studio coi quali abbattere ignoranza e pregiudizi.

Su quale sia il segreto della sua longevità fisica e mentale non ha dubbi: buoni geni e tanti interessi. Il cervello è un serbatoio che più lo riempi, più il suo spazio aumenta, è fondamentale mantenerlo costantemente  attivo, così come avere degli hobby e non stancarsi di essere curiosi.

E lui che della curiosità ne ha fatto la ragione stessa della sua vita e della sua lunga e invidiabile carriera,  gli anni non li conta più. Li vive con la leggerezza di sempre, sebbene non manchi qualche acciacco. ‘Penso a me stesso come a un giovanotto, almeno interiormente’, sostiene.

Qualcuno forse osa dubitarne?

Auguri, Maestro!

*Immagine ANSA/GIUSEPPE LAMI

domenica 20 dicembre 2020

'Natale in casa Cupiello', imperdibile appuntamento con Sergio Castellitto. Il 22 dicembre su Rai1

 Ci siamo. Dopo settimane di spot pubblicitari in cui il protagonista, con voce roca, domanda ‘ti piace ‘o presepe’ , martedi, su Rai1, in prima serata andrà in onda ‘Natale in casa Cupiello’. Con la trasposizione filmica del capolavoro teatrale del grande Eduardo, la Rai rende omaggio al drammaturgo napoletano in occasione dei 120 anni dalla nascita.

A vestire i panni del protagonista un superlativo Sergio Castellitto, unico non partenopeo del cast diretto da Edoardo De Angelis  che, come ha raccontato in diverse interviste  indossa con umiltà e alla sua maniera perché lungi da lui voler gareggiare con l’immenso Eduardo che è stato e continuerà ad essere inarrivabile. ‘Avrei potuto spaventarmi se avessi osato una comparazione con lui. Ma non mi ha nemmeno sfiorato l’idea e grazie alla complicità con De Angelis ho potuto suggerire quella che si dice una mia ‘versione dei fatti’. Eduardo è  nella storia del nostro teatro come Cechov in quella del teatro russo’.

La storia di Luca Cupiello che riunisce la famiglia per trascorrere sotto lo stesso tetto, dinanzi ad un presepe addobbato di tutto punto la festa più importante e intima dell’anno, potrebbe essere la storia di tutti noi. La famiglia unita col Natale che fa da sfondo. Con i ricordi, le nostalgie, i buoni proponimenti e le aspettative che ognuno di noi si porta appresso come un bagaglio imprescindibile. Ma anche i momenti di sincerità o di riscatto e perché no i rancori mai sopiti che dinanzi a tanta intimità spesso affiorano e feriscono più di una qualunque arma. Il Natale è anche questo, come ci ricorda quello che fa da cornice in casa Cupiello.

Siamo nel 1950 a Napoli. Luca è alle prese con la preparazione del presepe che vive come un vero e proprio rito, contrariamente al resto della famiglia in tutt’altre faccende affaccendate. La figlia Ninuccia ha deciso di mettere fine al suo matrimonio per vivere alla luce del sole l’amore con Vittorio, l’unico uomo che le abbia fatto battere il cuore. Luca non sa che  la figlia ha scritto una lettera in cui svela le sue intenzioni e quando la missiva capita casualmente nelle sue mani, la consegna ingenuamente al genero. Nicolino scopre che la moglie lo tradisce e la serenità del Natale viene distrutta. Luca, morente, ritiene ormai che tutto sia perduto. 

Il suo presepe, però, potrebbe riuscire a salvarlo ancora una volta.

Per scoprire come si svolgono i fatti e come va a finire l’intricata storia della famiglia Cupiello non ci rimane che sintonizzarci su Rai1 martedi pv e viverci appieno questo imperdibile appuntamento

Chiara Farigu

*Immagine tratta dal web

sabato 19 dicembre 2020

Sardegna: il 98% del personale sanitario ha detto sì alla somministrazione del vaccino

E mentre i no-vax i no-mask  e no a prescindere sbraitano contro la dittatura sanitaria e i complotti di vattelapesca per renderci tutti schiavi e senza diritti, dalla Sardegna arriva l’adesione quasi unanime alla campagna vaccinale  con il farmaco Pfizer-BioNTech del personale sanitario.

Il 98% tra medici, infermieri, operatori sociosanitari, dipendenti delle Rsa e volontari ha detto sì al vaccino. Cifre da record, considerato che la somministrazione del farmaco è fortemente consigliata ma non obbligatoria.

Numeri importanti e non certo scontati viste le perplessità, i timori e lo scetticismo che ruotano intorno a questo e agli altri vaccini per debellare il covid19. Parliamo infatti di oltre 37.200 rispetto al totale di 38mila degli aventi diritto, come ribadito dall’Assessorato regionale alla Sanità che oggi trasmetterà i dati al commissario Arcuri. Alla Sardegna per cominciare saranno consegnate 33.800 dosi, con cui potranno essere vaccinate 16.900 persone. Il vaccino va somministrato due volte.

Sarà che la morte e la sofferenza l’hanno vista in faccia e molti l’hanno vissuta sulla loro pelle, sarà che da quasi un anno sono in prima linea, loro gli eroi della prima ondata non hanno dubbi né tentennamenti: solo la scienza potrà mettere la fine a questa pandemia. E se questo vuol dire farsi somministrare il vaccino, sono ancora loro in prima fila a fare da apripista per tornare quanto prima alla vita pre-covid

Chiara Farigu 

giovedì 17 dicembre 2020

Buon compleanno Papa Francesco

 Compie oggi 84 anni Jorge Mario Bergoglio, il papa argentino con sangue piemontese nelle vene, che conquistò tutti , fin dal primo momento, con quel “buonasera quando, appena eletto, si affacciò per la prima volta dalla Loggia delle benedizioni per salutare la folla che aspettava di conoscere il nuovo Pontefice, dopo l’inusuale abdicazione di Ratzinger.

 il Pontefice che ama stare tra la gente come un “sacerdote” per sentirsi più in sintonia coi loro bisogni e le loro sofferenze.

Francesco non ama i momenti celebrativi, men che mai quelli che riguardano la sua persona. Ci ha abituati da fin da subito alla semplicità dei gesti e delle parole. Per lui parlano le opere volte al cambiamento “rivoluzionario” di una Chiesa arroccata in regole stantie che fatica ad adeguarsi ai cambiamenti di usi e costumi di una società in costante evoluzione e inevitabilmente anche delle istituzioni che la compongono.

Ha spalancato porte e finestre per far circolare aria fresca, anche se dopo sette anni, di polvere sotto i tappeti ne rimane un bel po’. Le rivoluzioni, quelle durature, d’altronde richiedono tempo, impegno e volontà e quella coltre polverosa è dura da sradicare. Ma Bergoglio non demorde, tira dritto. Conosce la strada. Sa come arrivare ai cuori della gente. Sempre dalla parte di chi soffre, degli invisibili, degli “scartati”La sua prima uscita da papa fu a Lampedusa per accogliere con un abbraccio quanti scappano da miserie e povertà in cerca di nuove opportunità. E di speranza in un futuro migliore.

Lui, convinto assertore e praticante della misericordia è sulla misericordia che ha improntato un anno di Giubileo volto a “riscoprire il volto giovane e bello della Chiesa, che risplende quando è accogliente, libera, fedele, povera nei mezzi e ricca nell’amore, missionaria”Misericordia e pace, questi i cardini su cui tracciare la via da percorrere. Con grinta, determinazione e molte volte in solitudine.

“Rivoluzionario” perché sincero, coraggioso. Le sue parole, spesso, colpiscono come una clava. Con la quale abbattere tabù e definire certi fenomeni per quello che sono. Storico quel suo scandire in sillabe la parola GE-NO-CI-DIO ricordando lo sterminio degli armeni che fece tanto infuriare Erdogan. E storici rimangono i tanti momenti in cui ha chiesto perdono per gli errori commessi dalla Chiesa e dagli uomini. Fece il giro del mondo l’immagine che lo immortalava mentre faceva il suo ingresso ad Auschwitz, altro luogo di sterminio, in perfetta solitudine. A ricordarci che il perdono non richiede clamore, ma silenzio. Silenzio per riflettere e interrogarsi dov’era finito Dio nei cuori di quegli uomini artefici di tanto orrore.

E senza fanfare si recò nelle zone terremotate quando il silenzio, dopo il clamore iniziale e le passerelle dei politici, cominciava a farla da padrone su quei borghi che gridavano e gridano ancora oggi interventi urgenti atti a riportare la vita di quelle popolazioni giunte ormai allo sfinimento. E ancora in silenzio ama recarsi nelle periferie a portare conforto e beni di prima necessità per i tanti indigenti che vivono ai margini. Porte aperte in molti luoghi del Vaticano adibite a dormitori per i senzatetto e pasti caldi per chi non può permettersi neanche di come sopravvivere.

Dopo Giovanni XXIII, spetta di diritto a Francesco la definizione di “Papa buono”, “Papa della gente”. Talmente popolare da essere amato trasversalmente, anche da chi non è avvezzo a seguire i dettami della Chiesa. Perché in un mondo in cui si parla a vanvera “il Papa dice cose di buon senso, talmente di buon senso che la sua solitudine comincia a essere palpabile”, hanno scritto gli editori di “Rolling Stones” nel dedicargli una copertina della loro rivista.

Forse l’ultimo rimasto a farlo.

Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme’ ha detto di recente riferendosi alla pandemia sanitaria che ha messo in ginocchio il mondo intero. ‘Nella tempesta nessuno si salva da solo’, ha ammonito il Papa puntando il dito contro chi sottovaluta, o peggio si ostina a negare, la tragedia che stiamo vivendo.

Auguri Francesco. Grazie per tutti gli insegnamenti

Chiara Farigu 

martedì 15 dicembre 2020

Sanzione annullata per la prof Dell’Aria accusata di aver criticato Salvini: restituito anche lo stipendio

 Tutto è bene quel che finisce bene, recita il proverbio, anche se ‘quel’ che segue  in verità non sarebbe dovuto proprio iniziare. Ma tant’è.

Siamo a maggio del 2019, venti mesi fa. Alcuni studenti di un liceo di Palermo, in occasione della Giornata della Memoria realizzano un video. In una diapositiva  accostano le leggi razziali introdotte da Mussolini nel 1938 a una foto scattata durante la conferenza stampa di presentazione del Decreto sicurezza del ministro dell’Interno Matteo Salvini.

Quella slide accese diverse polemiche (e fece infuriare gli esponenti del centrodestra che chiesero sanzioni  pesanti) e  si ritorse come un boomerang sulla prof di italiano Rosa Maria Dell’Aria che venne sospesa per 15 giorni dall’Ufficio scolastico provinciale di Palermo. E il suo stipendio, per la durata della sanzione, dimezzato.  

Colpevole dunque la docente, ufficiosamente per aver criticato Salvini, all’epoca dei fatti ministro e fautore del decreto legge sicurezza,  ufficialmente per ‘essere  venuta meno ai doveri di controllo della funzione di docente’.

L’immagine della prof rimbalzò su tutti i media.  Capelli corti e grigi, fisico minuto, in tutte le interviste che si susseguirono non indietreggiò  di un millimetro: ‘Il lavoro non aveva alcuna finalità politica né tendeva a indottrinale gli studenti che hanno lavorato in modo libero, come loro stessi hanno dichiarato agli ispettori arrivati in istituto a fine gennaio, sottolineando la mia imparzialità, la mia integrità e la mia dedizione al lavoro’.

Una via crucis lunga e sofferta quella dell’insegnante palermitana ‘la più grande ferita della mia vota professionale’, così l’ha definita più volte, che si è conclusa ieri.

Il giudice del lavoro, al quale era ricorsa per ottenere giustizia, ha dichiarato illegittima la sanzione disciplinare e il decurtamento dello stipendio per quei 15 giorni di sospensione che le verrà restituito.  Il ricorso era stato presentato dai legali Fabrizio La Rosa e Alessandro Luna: ‘Il giudice ha riconosciuto tutte le ragioni del nostro ricorso. Non solo la docente ha esercitato la libertà di insegnamento nel fornire il materiale didattico, ma non sussiste nemmeno la ‘culpa in vigilando’ sull’operato dei suoi alunni, perché se avesse controllato il contenuto dei loro lavori avrebbe violato la loro libertà di pensiero tutelata dalla Costituzione’.

Una vittoria di civiltà e non solo per  Rosa Maria Dell’Aria. Una vittoria di tutti i docenti. La libertà di insegnamento, ricordiamolo ancora una volta,  è  garantito dalla Costituzione.

Chiara Farigu 

mercoledì 9 dicembre 2020

Scuola. Lezioni sino a luglio per ‘recuperare’? No, grazie. Abbiamo già Da(to)D

 Spararla grossa sulla scuola è senza dubbio il nuovo sport nazionale. Genitori, politici, economisti, psicologi e imprenditori un giorno si e l’altro pure hanno la ricetta pronta su come gestire la didattica in presenza e a distanza, su come valutare studenti e alunni e sempre più spesso su quando e come riaprire e soprattutto, udite udite, sino a quando prolungare l’anno scolastico per far ‘recuperare le lezioni perse’.

Quali sarebbero, di grazia, le lezioni perse, si domandano i docenti se, alla chiusura delle scuole imposta dal DPCM del 3 novembre scorso hanno attivato immediatamente la didattica a distanza? Chi chiede il recupero addirittura fino a luglio e nei giorni comandati, come ha fatto qualche ‘governatore’ o la ministra Micheli o qualche noto economista che ha sempre la ricetta giusta per salvare l’Italia quando però non tocca a lui, non conosce le problematiche della scuola.

Non sa come si svolga la Dad, quale impegno richieda e come  sia stato stravolto l’orario di servizio dei docenti peraltro perennemente connessi tra lezioni, collegi, consigli e riunioni. Questi tuttologi della scuola,  non sanno o meglio fingono di non sapere che il loro orario di lavoro è addirittura raddoppiato e in molti casi triplicato.

Non sanno o fingono di non sapere che non c’è nulla da recuperare se non la credibilità. La loro.  Perché, tolti gli arredi scolastici, e anche su questo ci sarebbe da discutere, poco o nulla è stato fatto per mettere veramente in sicurezza le scuole e garantire la didattica in presenza agli studenti di ogni ordine e grado.

Non sanno o fingono di non sapere che andava fatto quel che gli insegnanti, inascoltati, chiedono da sempre: mettere in sicurezza gli edifici scolastici (nel 53% dei casi manca persino l’agibilità, denuncia il Codacons),  dimezzare il numero di alunni e studenti e raddoppiare quello degli insegnanti.  Con il contemporaneo incremento di autobus, treni e scuolabus  per evitare assembramenti e pericoli di contagi.

Non sanno o fingono di non sapere e, quel è peggio non ascoltano chi la scuola la vive giorno dopo giorno, ovvero insegnanti e studenti.  I primi eternamente esclusi da ogni tavolo di discussione che li riguardi, i secondi mandati allo sbaraglio. Sui quali però poi scaricare manchevolezze e inadeguatezze che vanno rispedite a chi  di dovere.

Come appunto la proposta di prolungare le attività didattiche fino al 30 giugno (la scuola dell’infanzia peraltro opera fino a tale data) e perché no fino alla prima settimana di luglio, come ventilato dalla stessa ministra dell’Istruzione Azzolina. ‘Una proposta che offende la professionalità di tutti gli insegnanti impegnati ormai da mesi nella Didattica a distanza’,  replicano i sindacati del comparto scuola.

Per affrontare situazioni eccezionali, com’è appunto questa pandemia, servono strumenti eccezionali. E non ricette estemporanee  buttate con nonchalance dal tuttologo di turno. Strumenti  da concordare con tutte le parti interessate. Nessuno escluso. Strumenti che al momento però sono solo chimere

Chiara Farigu

martedì 8 dicembre 2020

GB-Covid19, la 90enne Margaret fa da apripista al vaccino Pfizer

 E’ la foto più cliccata del giorno quella che ritrae Margaret Keenan, la novantenne del Regno Unito, prima cittadina a ricevere il vaccino contro il coronarivus.  Un’immagine che sta facendo il giro del mondo e che nel suo piccolo è già storia in questo che è stato ribattezzato il V-Day.

All’arzilla signora, con maglietta natalizia e mascherina d’ordinanza,  alle 6,45 del mattino le è stata somministrata la prima dose Pfizer, la seconda la riceverà fra tre settimane. Si è detta emozionata e privilegiata per aver fatto da apripista in questa che si preannuncia come la più importante e massiccia campagna vaccinale di tutti i tempi.

Il miglior regalo di compleanno per lady Margaret che la prossima settimana compirà 91 anni, ‘potrò finalmente trascorrere del tempo con familiari ed amici nel prossimo anno dopo aver passato gran parte del  2020 in solitudine’, racconta raggiante dopo la prima puntura. ‘E se posso vaccinarmi io a 90 anni, potete farlo anche voi’ aggiunge la Keenan, invitando gli inglesi a seguire il esempio per sconfiggere  definitivamente il virus e tornare alla vita il prima possibile.

Il Regno Unito, come aveva annunciato la scorsa settimana,  diventa così il primo Paese al mondo a somministrare  il vaccino della Pfizer-BioNTech  dopo l’approvazione per un uso diffuso. La priorità, come dichiarato dal ministro della Sanità,  agli anziani delle case di cura e al personale medico.

    La Mhra (l’autorità di regolazione sui farmaci del Regno Unito) ha affermato che il vaccino offre fino al 95% di protezione contro il virus ed è sicuro per le vaccinazioni di massa. La Gran Bretagna ha già ordinato 40 milioni di dosi, sufficienti per vaccinare 20 milioni di persone, con due iniezioni ciascuna.

Chiara Farigu

*Immagine AdnKronos

lunedì 7 dicembre 2020

Un Natale diverso

 'Sarà un Natale diverso, ma non meno autentico',  ha detto il premier Conte dopo aver elencato le misure restrittive per contenere i contagi durante le festività. Un Natale più intimo, meno sfarzoso.

Un Natale fatto di cose genuine, com'era quello dei nostri nonni, dei nostri genitori e, per moti di noi, della nostra infanzia. Quando il consumismo, così come lo intendiamo oggi, ancora non aveva capolino per stravolgere usi e costumi tipici delle tradizioni.

Babbo Natale io l’ho scoperto che ero già grande. Come l’albero che è arrivato dopo. I bambini di un tempo scrivevano la letterina a Gesù Bambino. La si preparava a scuola sotto l’occhio vigile della maestra. Poi, ripiegata accuratamente, la si metteva vicino alla grotta per essere certi che il Bambinello la leggesse.

Le richieste erano semplici, così com’erano semplici quei tempi che sono volati via in un attimo. O almeno così sembra nel ricordo di un’età che non c’è più.

I regali erano davvero quelli utili. Le scarpe nuove o il nuovo cappotto, o qualcosa per la scuola. Indumenti o accessori che sarebbero stati comprati comunque. Ma che impacchettati e fatti trovare la notte di Natale avevano un altro sapore, per noi bambini.

In genere era la befana a esaudire qualche richiesta più frivola. Ma sempre con parsimonia. Perché la calza era in gran parte riempita di frutta secca e qualche dolcetto. E l’immancabile carbone. A futura memoria.

Anche il panettone l’ho scoperto che ero già grande. A casa mia le tradizioni erano altre. Tradizioni che oggi stentano a resistere perché la tv ha omologato tutto, l’arte culinaria e persino i gusti.

Gli amaretti, era questa la specialità della casa. Rigorosamente fatti in casa, ricordo la fragranza che durava giorni e giorni, inconfondibile. E poi i “gueffus” noti come ‘sospiri’, palline di pasta di mandorle aromatizzate con l’anice e confezionate con la carta velina colorata a mo’ di caramelle. Per i più golosi le ‘pabassinas’, le praline a forma di rombo farcite con l’uva passa e impastate con ‘sa saba’, il classico mosto d’uva cotto.
Erano questi i dolci che arricchivano la tavola natalizia e tutto il periodo delle feste. Immancabile anche il torrone di Tonara e il gateau sempre e solo a base di mandorle.

Prelibatezze preparate artigianalmente, in famiglia, con zie e cugine e spesso coi vicini di casa coi quali ci si scambiavano ingredienti e ricette per metterli a punto nel rispetto della tradizione. La mandorla era la regina degli ingredienti, predominava sugli altri, eternamente presente anche nella frutta secca, consumata al naturale o ‘infornata’ o inserita all’interno di un fico secco per esaltarne la fragranza.

Una tradizione che fatica a resistere. Forse non esiste già più. Le famiglie non sono più le stesse, in casa si sta sempre meno, ai fornelli poi, poco o niente.

La pubblicità ha fatto il resto, omologando sapori e saperi.

Mentre ricordo i preparativi di un tempo lontano, il mio sguardo indugia sul cesto posizionato accanto all’albero di natale. Tra torroni, torroncini, arachidi, noci, datteri e barrette di cioccolata di varie marche troneggia prepotente un panettone. Accanto un pandoro, per venire incontro ai gusti di tutti. Di chi adora i canditi e l’uva passa e di chi invece li detesta.

Realizzo in un istante che manca qualcosa. Mi mancano quei tempi in cui avevamo poco ma eravamo felici. Ma allora forse non lo sapevamo. Inevitabilmente, un groppone mi sale in gola. Ma è questione di un attimo. Il Natale è anche questo: tuffarsi nei ricordi per rivivere momenti e affetti sempre presenti.

 Chiara Farigu 



giovedì 3 dicembre 2020

3 dicembre, giornata mondiale delle persone con disabilità. Nella pandemia ancora più fragili


Secondo il Rapporto dell’Organizzazione mondiale per la sanità, il 15% della popolazione di tutto il mondo convive con la disabilità. In Italia sono poco più di tre milioni le persone che soffrono di limitazioni più o meno gravi, limitazioni che impediscono loro di svolgere anche le più semplici attività quotidiane come occuparsi dell’igiene personale o nutrirsi autonomamente.

Fu l’Onu, nel 1981, a proclamare la Giornata internazionale dedicata alle persone con disabilità con lo scopo di promuoverne i diritti e il benessere di quanti si trovano in difficoltà. Partendo proprio dal principio che nessuno, tanto meno chi è svantaggiato, debba essere lasciato indietro.

Non è facile né semplice definire la disabilità, termine oltretutto che si è evoluto nel tempo, passando da pura 'condizione biologica' di chi la possiede a ‘condizione sociale’ intesa come riconoscimento di fondamentali diritti giuridici, quali l’uguaglianza atta a garantire la piena ed effettiva partecipazione alla sfera politica sociale economica e culturale della società.

Nel 2001  la nuova Classificazione internazionale del funzionamento disabilità e salute  dell’Oms ha introdotto l’e­spressione, diventata poi concetto giuridico di  ‘persone con disabilità’, termine adottato successivamente dalla Convenzione dell’Onu  approvata nel 2006, ratificato in Italia nel 2009 con la legge n° 18.

All’art 1 si legge che : ‘Per persone con disabilità si intendono coloro che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettive o sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con gli altri’. La Convenzione pertanto pone l’accento sulla persona, riconoscendo il principio di uguaglianza affinché chi ne è affetto possa godere degli stessi diritti riconosciuti a tutti gli altri.

Un iter lungo e faticoso.  E benché molti passi siano stati fatti dal punto di vista etico-giuridico,  molti altri se ne dovranno fare, le barriere architettoniche, soprattutto quelle mentali, sono dure a morire. La Giornata dedicata alla disabilità vuol essere un momento di confronto e di riflessione verso chi soffre e che, a dispetto di normative e convenzioni, continua a vivere una condizione di subalternità e di disconoscimento dei loro diritti. Accentuati ancor più in quest’ultimo anno dalla pandemia ancora in corso.  L’emergenza sanitaria, ce lo racconta giornalmente la cronaca, ha avuto un impatto devastante sulle persone fragili e con disabilità che stanno pagando un duro prezzo in termini di isolamento mancanza di assistenza e ancor peggio di mortalità.

Ricostruire meglio: verso un mondo post Covid19 inclusivo della disabilità, accessibile e sostenibile’, questo il tema della Giornata. Per riflettere, ma soprattutto per fare, affinché nessuno veramente venga lasciato indietro.

Chiara Farigu



sabato 28 novembre 2020

Maltempo in Sardegna: vittime e dispersi a Bitti


La Sardegna già martoriata da una crisi senza precedenti, ante e ancor più post-covid, sta pagando in queste ore un drammatico bilancio a causa del maltempo che imperversa da ieri notte soprattutto a nord dell'isola.



Nel nuorese il nubifragio ha provocato frane ed allagamenti nei centri abitati. Bitti, il più colpito. Le strade in breve tempo si sono trasformate in veri e propri fiumi e poco fa la Protezione Civile ha confermato il decesso di tre persone. Bilancio ancore provvisorio poiché risultano altre persone disperse. In questo video dell'Eco della Barbagia, le drammatiche immagini:




Il primo cittadino fin dalle prime ore aveva fatto evacuare la parte bassa del paese dove, nel 2013, un altro alluvione aveva provocato la morte di 19 persone.

Sul posto le forze di Polizia, i Vigili del fuoco, la Protezione civile e numerosi civili che lavorano incessantemente per mettere al riparo le persone in difficoltà e gli animali rimasti incustoditi.



A Bitti e comuni limitrofi, i sindaci raccomandano di limitare al minimo essenziale gli spostamenti mentre chi è a rischio, si metta in salvo.

Il maltempo ha violentemente anche l'oristanese e il sud dell'isola. Oggi scuole, parchi e cimiteri chiusi a Cagliari, Olbia, Quartu e in tanti altri comuni della Sardegna.



'Evento catastrofico, tre volte superiore per potenza all'uragano di sette anni fa', ha commentato il presidente della Regione Solinas.

Proclamato lo stato di emergenza.

Chiara Farigu




Una strada allagata a Bitti (fermo immagine da video)

giovedì 26 novembre 2020

'Rita Levi Montalcini', la nuova imperdibile fiction di Rai 1

Dopo i numerosi trailers delle scorse settimane che ne annunciavano la messa in onda, arriva stasera su Rai 1 l’imperdibile  fiction  ‘Rita Levi  Montalcini’.  Uno spaccato di vita, liberamente ispirato, della neurobiologa torinese sugli anni dopo il Nobel, precisa il regista Alberto Negrin.  Una fiction per rendere  omaggio a una donna straordinaria, non una biografia né tantomeno un documentario sulla Professoressa Montalcini.

La bravissima Elena Sofia Ricci, smessi temporaneamente gli abiti da suora della fortunata serie tv ‘Dio ci aiuti’,  vestirà, con molta umiltà e rispetto, come sottolinea nelle interviste, i panni della scienziata della quale rivela in anteprima qualche curiosità circa la sua vita privata. ‘La cosa più emozionante è stata entrare nella sua casa sua. La nipote Piera ci ha permesso di girare alcune scene nella stanza della Professoressa. Sono rimasta molto colpita dalla sua semplicità. Una camera che definirei austera: letto singolo, scrivania, armadio. Microscopio, libri  (compreso il Nuovo dizionario dal piemontese all’italiano)  e  dischi di musica classica’.

La fiction prende spunto da una vicenda di fantasia creata appositamente dagli autori  per mettere in luce la determinazione della scienziata e il suo amore sconfinato per la ricerca. Il laboratorio, le provette, il microscopio, lo studio, tutto il suo mondo. La scienza la sua unica ragione di vita.

Nata a Torino il 22 aprile del 1909, insieme alla gemella Paola, si laurea in medicina ma fin dai primi anni di università si dedica allo studio del sistema nervoso. Studi che non interrompe neanche dopo la proclamazione delle leggi razziali (la sua famiglia era di origine ebrea) e che continuerà privatamente. Nel 1947 si trasferisce negli Stati Uniti per continuare le sue ricerche e insegnare neurobiologia.

Nel 1952 si trasferisce in Brasile per continuare gli esperimenti di culture in vitro che porteranno all’identificazione  del fattore di crescita delle cellule nervose, conosciuto con l’acronimo NGF. Sarà grazie a questa scoperta che nel 1986 riceverà il Premio Nobel.

Nel 1969 rientra in Italia per dirigere l’Istituto di Biologia Cellulare del CNR a Roma; nel 2001 viene nominata senatrice a vita ‘per aver illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo scientifico e sociale’

La Professoressa  Montalcini ha continuato a studiare e a lavorare ininterrottamente sino alla sua morte avvenuta il 30 dicembre del 2012, alla veneranda età di 103 anni. ‘Il cervello, se lo coltivi funziona, era solita ripetere. Se lo lasci andare e lo metti in pensione si indebolisce. La sua plasticità è formidabile. Per questo bisogna continuare a pensare’.

Coraggiosa, determinata, volitiva, credeva fortemente nella forza delle donne:Le donne hanno sempre dovuto lottare doppiamente. Hanno sempre dovuto portare due pesi, quello privato e quello sociale. Le donne sono la colonna vertebrale delle società’, questa una delle sue celebri frasi.

Donna, scienziata e maestra di vita: ‘Il male assoluto del nostro tempo è di non credere nei valori. Non ha importanza che siano religiosi oppure laici. I giovani devono credere in qualcosa di positivo e la vita merita di essere vissuta solo se crediamo nei valori, perché questi rimangono anche dopo la nostra morte’. Come i suoi, che resteranno nella storia.

Chiara Farigu 


mercoledì 25 novembre 2020

Una parola, una storia: Femminicidio

E mentre noi siamo impegnati a incorniciare la nostra foto profilo social con scarpette rosse e simboli vari, altre due donne sono state uccise oggi, nella giornata contro la violenza sulle donne.

Due donne che si vanno ad aggiungere alle 91 ammazzate dall'inizio dell'anno sino al 31 ottobre, come certifica l’ultimo Rapporto Eures.

Una nel ricco e moderno Veneto, l’altra nel profondo e martoriato Sud, in Calabria. Uccise entrambe da chi avrebbe dovuto proteggerle anche a costo della loro vita. A conferma che la violenza non conosce differenze territoriali né socio-economiche  ma sia ‘un fenomeno con radici culturali profonde’, come ha ribadito oggi il premier Conte.

Uccise per ‘motivi passionali’, raccontano i quotidiani nel dare la notizia.  Sentimenti morbosi. Amori malati. Alimentati dalla fiamma del possesso, dei ‘no’ difficili da accettare,  della gelosia morbosa,  scambiati per ‘troppo amore’.

Una mattanza che non accenna a diminuire e che ha visto una recrudescenza di casi proprio durante il lockdown, quando per molte donne le mura domestiche si sono trasformate in carceri da cui uscire pestate a sangue o senza vita.

Una mattanza che per essere spiegata, analizzata, studiata e compresa ha avuto bisogno di un nuovo termine coniato ad hoc per non essere confuso col più generico omicidio, anche se riferito ad una donna: FEMMINICIDIO.

Si dice femminicidio ‘qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l'identità attraverso l'assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte’ recita il dizionario.

Una differenza non da poco. Che necessita di un percorso socio-culturale ancora lungo, ahimè, da definire.

Ieri qualcuno ha lasciato una rossa sulla spiaggia. Il gesto della mano gentile di un uomo per le tante donne che hanno subìto e sono vittime di violenza di mani incapaci di dare amore.  Forse non tutto è perduto, ho pensato, dinanzi a quei petali smossi dalla brezza marina.

Fa male doverlo ammettere. Mi sbagliavo.

Proprio oggi che urliamo a pieni polmoni 'Mai più' è già successo. Nuovamente

Chiara Farigu


lunedì 23 novembre 2020

Censis: peggiora il tenore di vita per 7,6 milioni di italiani

Estremamente preoccupante ma realistico il Rapporto del Censis   la sostenibilità al tempo del primato della salute’, presentato oggi.

Una serie di dati e percentuali che messi nero su bianco ci danno la conferma di quanto percepiamo quotidianamente. Di quello che siamo e stiamo diventando in tempo di pandemia. Dove, a farla ancora da padrone è l’incertezza. Del presente ma ancor più del futuro.

Ben cinque milioni di italiani, recita il report, hanno difficoltà a mettere in tavola un pasto decente, mentre sette milioni e 600 mila hanno avuto un peggioramento del tenore di vita. E se questo non fosse già più che abbastanza, il 60% ritiene che la perdita del lavoro e quindi del reddito sia un evento possibile che lo possa riguardare nel prossimo anno.

E se in un precedente Rapporto il Censis ci aveva classificato come un popolo di ansiosi, insicuri, tendenzialmente delusi dalle istituzioni e anche incattiviti, la pandemia, sottolinea quello odierno,  sta evidenziando una società con molte, troppe diseguaglianze.

Disuguaglianze tra generi (tra uomini e donne ci sono 20 punti di differenza nel tasso di occupazione);  disuguaglianze tra generazioni (tutti i fenomeni di riduzione dell’occupazione colpiscono di più i giovani rispetto ai lavoratori adulti) e disuguaglianze anche nell’accesso al web (circa il  40% di famiglie a basso livello socioeconomico che non ha accesso alla rete).

Dinanzi a queste prospettive non c’è quindi da stupirsi se in testa ai desiderata degli italiani c’è la sostenibilità sociale. Lavoro, sanità, sicurezza, istruzione, welfare per le fasce più deboli, la ricetta per affrontare i contraccolpi di questa pandemia senza precedenti. Le cui conseguenze, senza lo sforzo di tutti i soggetti,  imprese e mercati, ammonisce De Rita, presidente del  Censis, sarà quella di una società ancora più povera impaurita e disuguale

Chiara Farigu


Una parola, una storia : Ricordi

Stamattina sfogliando un vecchio album di foto  sono stata sopraffatta da una marea di ricordi. Ricordi che mi hanno riportata indietro nel tempo quando amavo viaggiare per conoscere posti nuovi e riabbracciare le persone care. Oggi che viaggiare ci è temporaneamente vietato a causa della pandemia, non ci rimane che aprire il cassetto dei ricordi  per riportali in vita attraverso le parole.

Le parole mettono le ali ai desideri.  Ci sono parole che ci coinvolgono più di altre. Che ci appartengono più di altre. Parole che ci scaldano il cuore  e altre che ci fanno soffrire.

Parole che ci fanno riflettere e altre trasgredire. Parole che ci fanno sognare, immaginare, volare.  Parole che accolgono, altre invece che allontanano. Parole che favoriscono il dialogo e altre ancora che impongono silenzi. Parole che abbracciano altre che lasciano indifferenti.

Parole che riportano alla vita, altre che feriscono e peggio ancora uccidono come e più delle stesse armi.

Parole che diventano di ‘moda’ e altre che cadono in disuso.  Parole con le quali dire tutto e il contrario di tutto. Parole che arrivano dritte al cuore e altre alla pancia.  Parole d’onore e bla bla bla.

Parole che fanno viaggiare. Nello spazio e nel tempo. Come questa di oggi ‘ricordi’ , con la quale ha inizio questa  nuova avventura: un viaggio nelle parole per raccontare storie

Chiara Farigu



sabato 21 novembre 2020

Ebbene sì, credo alla 'favoletta' che si muore di covid

Stamattina all’uscita dal supermercato mi sento afferrare per il gomito da una conoscente che non vedevo da tempo. Avevo la mascherina e a passo veloce mi dirigevo verso il parcheggio.

Lei puntandomi il dito mi apostrofa con un ‘non mi dica che pure lei crede alla favoletta del covid?

Naturalmente non mi dà neanche il tempo di rispondere perché comincia subito con la tiritera della ‘dittatura sanitaria’, della mascherina che è solo un bavaglio col quale i politici vogliono toglierci il diritto di parola, che è tutto un complotto e chi più ne ha più ne metta.

Avrei potuto risponderle che ebbene sì, sono una di quelle che crede, come dice lei, alla 'favoletta' del covid. Virus che in questa seconda ondata è tornato più agguerrito che mai e in virtù di questo nessuno può sentirsi al sicuro. Tanto meno io che rientro nella categoria totiana degli 'improduttivi' per giunta con qualche patologia pregressa.

Avrei potuto risponderle che non credo ai complotti e che metto in pratica le misure anti-contagio. Anche se non in maniera maniacale perché a volte basta il buon senso. Come quando durante la passeggiata quotidiana, poiché per chilometri non incontro nessuno, faccio a meno della mascherina, anche se è pronta per l’uso.

Avrei potuto aggiungere che non sono interessata alla differenza dei morti di covid per covid o col covid perché, se un malato oncologico o iperteso o diabetico si becca il maledetto virus e poi muore, il responsabile ultimo è sempre lui, il coronavirus che gli ha dato il colpo di grazia. Perché senza sarebbe campato per chissà quanti anni ancora.

Avrei potuto dirle che da quando mi sono conquistata con le unghie e con i denti il diritto alla pensione mi sono posta l’obiettivo di godermela a lungo. Un po’ per farla in barba a quanti questo diritto me lo hanno fatto sudare e molto perché amo la vita. E se per tutelarmi devo per qualche tempo indossare la mascherina, igienizzare le mani e stare distante da persone che ti alitano baggianate simili, non vedo il problema.

Avrei potuto dirle che più del virus uccide l’ignoranza.

Avrei potuto. Non ho voluto.

E senza proferire parola le ho scostato il braccio che aveva appoggiato sulla macchina. Solo uno sguardo molto eloquente.
Silenzio e indifferenza la miglior risposta.

Nel ripartire non ho potuto fare a meno di osservarla dallo specchietto retrovisore. Stava già puntando un'altra 'vittima' sulla quale sputare la 'favoletta' della dittatura sanitaria la museruola il complotto dei poteri forti ...

Chiara Farigu





martedì 17 novembre 2020

Un compleanno ‘un sacco bello’. I 70 anni di Carlo Verdone

Una faccia di gomma, così definisce la sua Carlo Verdone che oggi festeggia il suo 70esimo compleanno. Una faccia dove scolpire i connotati dei suoi mille personaggi che ha portato poi sugli schermi  come Enzo o Ivano, i protagonisti di ‘Un sacco bello’ e ‘Viaggi di nozze

Personaggi che si è divertito a creare osservando le persone, facendo suoi i tic, i difetti, le megalomanie, le inadeguatezze e le fragilità della gente comune.  Passione, questa, che ha coltivato sin da studente quando, come spesso racconta, faceva il verso ai compagni di classe e agli stessi insegnanti. Forse è proprio sui banchi di scuola che ha capito di avere un’anima comica o sulla spiaggia di Anzio dove, assolti  gli impegni scolastici, si fiondava dalla zia Bettina e lì nella cittadina laziale amava trascorrere le migliori estati della sua gioventù.

Una comicità la sua accompagnata, come accade ai comici di razza, da una vena malinconica. Ipocondriaca. Dovuta, ama scherzare l’attore romano, al fatto che sia nato di venerdi 17 e per giunta nel mese dei morti. Per addolcire quella ‘negatività’, su consiglio della nonna al nome Carlo venne aggiunto quello di Gregorio che nella Roma popolare è associato a ‘sedere’. ‘Chi ha ‘sedere’ è sicuramente fortunato e alla fine credo che l’intuizione di mia nonna mi abbia giovato, fin ad ora, nella vita’, racconta Verdone. E’ indubbio che un pizzico di  ‘sedere’ nella vita non guasta, se poi  si aggiungono capacità, talento, professionalità,  intuito e amore per il proprio lavoro, questo non può che tramutarsi in successo. Quello che l’attore e regista romano si è conquistato fin dagli esordi televisivi di 'Non stop', confermato poi davanti e dietro la macchina da presa in oltre 40 anni di carriera.

L’ ultimo film ‘Si vive una volta sola’, dove veste i panni di un chirurgo, la cui uscita è stata più volte rinviata, a causa delle norme anti-covid, sarebbe dovuto essere il regalo per il 70esimo compleanno. Un rinvio che non preoccupa Verdone che sulla salute non ama scherzare. Così come sulla musica, altra grande passione dell’attore.

Il suo segreto? ‘Ha mantenuto sempre il suo spirito fanciullesco’, racconta in un’intervista Claudia Gerini che, dopo tre film di successo come co-protagonista con Verdone,  sogna ora di poterlo ‘rifare strano’, cinematograficamente parlando,  in un prossimo futuro.

Auguri Carlo!

Chiara Farigu





domenica 15 novembre 2020

‘Non è mai troppo tardi’. Sessant’anni fa la prima lezione del Maestro Manzi

Era il 15 novembre del 1960 quando il maestro Alberto Manzi entrò nelle case degli italiani e da subito divenne uno ‘di famiglia’. Puntuale, ogni sera, grazie ad una lavagna e ad album di fogli montato su un cavalletto, dagli studi di Rai 1, insegnava a milioni di cittadini a leggere e a scrivere.

Il tasso di analfabetismo a quei tempi era molto elevato,  troppi ancora apponevano la croce come firma nei documenti e i più non andavano oltre i dialetti regionali. Un compito arduo per il Maestro che s’apprestava a istruire un’Italia allora in cerca di riscatto sociale e culturale.

Già nel titolo  ‘Non è mai troppo tardi’ l’ambizioso programma che, andato in onda sino  al ’68 contribuì a far  prendere la licenza elementare a oltre un milione e mezzo di uomini e donne. Garbato, paziente e soprattutto determinato a togliere dall’analfabetismo dilagante quante più persone possibili, seppe motivare quell’Italia che guardava con speranza al futuro. E che per farlo necessitava degli strumenti giusti, l’istruzione in primis. La chiave per accedere a tutto al resto.

Prima di cena le famiglie accendevano la tv e seguivano la lezione del Maestro Manzi. Il quale proponeva parole nuove che spiegava con l’ausilio di semplici disegni che tratteggiava velocemente col carboncino sui quei fogli che prendevano forma e vita in quelle case dove timidamente faceva capolino l’istruzione.



‘Ogni parola in più che s’impara contribuisce a renderci liberi’, ripeteva il Maestro. Liberi di pensare con la propria testa, liberi di decidere del proprio destino.  Un antesignano dell’insegnamento moderno. Un innovativo. Riluttante ai metodi educativi del tempo che si basavano essenzialmente sul nozionismo, prediligeva una didattica creativa, interattiva, per aiutare l’individuo a liberarsi dai conformismi e a formarsi una mente critica.

Un antesignano della didattica a distanza. Oltre 500 le lezioni ‘da remoto’ come si dice oggi per la DAD che ha preso il posto della didattica in presenza per motivi sanitari.

Un Maestro con la M maiuscola. Un messaggio che non invecchia il suo. A dispetto dei 60 anni dalla prima lezione andata in onda proprio oggi 15 novembre

Chiara Farigu



martedì 10 novembre 2020

‘Lo sapevamo che i contagi in Sardegna salivano, abbiamo rischiato’, così il capogruppo di FI ai microfoni di Report

Come dimenticare il susseguirsi di ordinanze regionali prima per dare il via libero e poi per chiudere le discoteche nel periodo più caldo e trasgressivo nell’isola, all’epoca covid-free, presa d’assalto da migliaia di turisti in cerca di sballo?

Ordinanze che facevano a pugni con la richiesta per quanti arrivavano via mare o via cielo di munirsi di improbabili passaporti sanitari o quant’altro che ne attestasse l’ estraneità col malefico virus.

Si è passato in pochissimo tempo dal pugno di ferro minacciato e mai reso concreto al  lasciapassare più sfrenato. Con l’apertura delle discoteche più cult, ritrovo di chi ha il portafoglio gonfio e in virtù di questo sa come arrivare ai posti di comando, l’isola sta ora pagando le conseguenze di decisioni politiche scellerate. Prese, come ha dimostrato, confermando quando già si sospettava e purtroppo si sapeva, il servizio di Report mandato in onda ieri sera, che a dettare legge, ancora una volta è stato il dio denaro.

‘Lo sapevamo che i contagi salivano, abbiamo rischiato’, così Angelo Cocciu, capogruppo di Forza Italia nel Consiglio regionale, ai microfoni di Report. Durante l’intervista ha reso noto i retroscena dell'ordinanza che ha lasciato aperti i locali da ballo  fino al 16 agosto, ben dieci giorni di più la decisione di chiuderle da parte del governo: ‘Mi sono arrivate tante telefonate, gestori che ci chiedevano di tirare qualche giorno in più. Billionaire e Phi Beach avevano per esempio contratti stratosferici con dj importanti’.

Parole che fanno rabbrividire. Dichiarazioni fatte a titolo personale, sostiene Ugo Cappellacci, coordinatore di Forza Italia in Sardegna, nel prenderne le distanze.

‘In un mondo normale domani, in Sardegna, si terrebbero le nuove elezioni regionali. Ma non viviamo in un mondo normale’ scrive sul suo profilo Facebook Emiliano Deiana, presidente Anci Sardegna. Aggiungendo che ‘Report ha traslato la problematica. Ha fatto credere che siano i sardi ad aver contagiato il resto d’Italia. Mentre il VIRUS è arrivato sulle ali dei turisti.  Le vere vittime di questo “contesto” malsano sono i sardi e la Sardegna.  Perché nessuno - il Governo in primis - non ha proibito l’invasione di torme di turisti, senza controlli sanitari in ingresso che hanno fatto ammalare primi far tutti i lavoratori sardi del turismo. Venivano, questi, dopo aver fatto il giro d’Europa: da Ibiza a Malta. Per poi sbarcare in Costa e impestare tutto l’impestabile. Report conferma come i sardi siano un inciampo della storia’.

Avete preferito il Billionaire alla nostra salute”, recita uno striscione sulla sede della presidenza della Regione in viale Trento.

Ogni altro commento appare oggi superfluo. Una sola richiesta: si faccia chiarezza e chi ha sbagliato tolga il disturbo. Per il bene della Sardegna e dei Sardi tutti

Chiara Farigu



***Immagine pixabay

lunedì 9 novembre 2020

Da stasera su Rai 1 ‘Gli orologi del diavolo’, serie tv con Beppe Fiorello

Stasera la prima delle quattro puntate de ‘Gli orologi del diavolo’, fiction prodotta da Roberto Sessa, in prima visione su Rai 1, disponibile anche in streaming su Rai Play.

Tratta da una storia realmente accaduta, raccontata nel libro omonimo scritto da Franciosi e Federico Ruffo, vede il ritorno di Beppe Fiorello nelle vesti del protagonista Mario Merani, ovvero Gianfranco Franciosi nella vita reale. Un eroe per caso, come racconta lo stesso Fiorello, il primo civile usato per scopi investigativi in un contesto criminale ‘rimasto incastrato in un ingranaggio enorme’ durato ben quattro anni della sua vita. Un uomo ‘comune’ alle prese con qualcosa più grande di lui ‘io non avrei avuto il suo stesso coraggio’, ammette Beppe.

E’ la storia di un uomo che fino a poco tempo prima conduceva una vita ‘normale’ tranquilla e anche felice. E’ un motorista nautico con un passato nelle gare off-shore attualmente costruttore di barche, almeno fino a che la malavita non si accorge che i gommoni, che corrono più veloci delle motovedette dei carabinieri, potrebbero portare la sua firma. Volendone sapere di più chiede ragguagli ad un amico poliziotto ricevendo la proposta di fare da infiltrato per scoprire cosa e chi si cela dietro il mercato di traffico di droga.

Un ruolo inedito per l’attore siciliano con molti colpi di scena. Al suo fianco Nicole Grimaudo, la moglie che esasperata dai silenzi e dai segreti del marito sempre più coinvolto nell’ingranaggio dal quale non può più tirarsi fuori, metterà fine alla storia d’amore.  Marco conoscerà poi Alessia, interpretata da Claudia Pandolfi e con lei ritroverà la gioia di vivere e la determinazione a portare a compimento il ruolo di infiltrato nel narcotraffico al servizio dello Stato.

Una serie da non perdere.

Chiara Farigu 

La nonna paterna? Una nonna a metà (con poche eccezioni)

  Essere nonne è un dono meraviglioso che la vita riserva a chi ha avuto la gioia di essere prima mamma. E’ come diventare madri una seconda...