il blog di chiarafarigu

sabato 30 ottobre 2021

Torna l’ora solare: avremo un’ora in più di sonno e un'ora in meno di luce

 Il passaggio dall’ora legale a quella solare avverrà stanotte 30 ottobre quando le lancette del nostro orologio torneranno indietro regalandoci un’ora in più di sonno. Il nuovo orario resterà in vigore sino all’ultima settimana di marzo 2022: l’ora legale tornerà nella notte tra sabato 26 e domenica 27 marzo 2022.

Ancora tu, ma non dovevamo vederci più? si domandano molti alla vigilia dell’ennesimo cambiamento. Che fine ha fatto la proposta dell’Unione Europea di mantenere l’ora legale 365 giorni l’anno per tutti gli Stati membri a partire dal 2021?

Il dibattito che ne scaturì non trovò tutti d’accordo. Anzi. Si verificò una vera e propria spaccatura tra i Paesi cosiddetti mediterranei, favorevoli al mantenimento dell’ora legale, e i Paesi del Nord, per nulla entusiasti della proposta europea vista la differente alternanza luce-buio che li caratterizza.

L’arrivo della pandemia ha fatto il resto, mettendo in soffitta la tematica di non facile soluzione. Optare per la libertà di scelta nei Paesi membri significherebbe avere due orari ufficiali applicati a macchia di leopardo con tutto il caos che ne verrebbe fuori.

In attesa di ulteriori e definitive modifiche dell’Unione europea, da domani si torna alla ‘normalità’. Si dorme un’ora in più ma al contempo si perde un’ora in più di luce.

Secondo i dati degli esperti del settore, nei sette mesi di ora legale abbiamo risparmiato 450 milioni di kWh in termini di minori consumi, con un risparmio economico di circa 105 milioni di euro.

Un gioco che vale la candela, sostengono.

Non solo. Risparmiare energia significa anche “risparmiare” l’ambiente dal momento che  l’ora legale evita di immettere nell’atmosfera italiana, nel tempo della sua durata, almeno 300mila tonnellate di anidride carbonica.

Ideata da Benjamin Franklin nel 1784,  inizialmente l’idea di approfittare della luce solare per allungare la giornata non piacque. E non se riparlò sino al 1907. Quando il britannico Willet propose e attuò I “British  Summur Time” a partire dal 1916.

Poi seguirono a ruota altri paesi europei, già entrati nell’ottica del risparmio energetico.

 In Italia fu introdotta nel 1916.  Per essere nuovamente abbandonata, dopo qualche breve esperienza,  per oltre un cinquantennio.  Occorrerà infatti aspettare il 1966, anno in cui entrerà in vigore definitamente.

Inizialmente, per quasi due decenni per il periodo   maggio-settembre, poi dal 1996 con la modalità odierna. In linea col calendario comune adottato in tutta Europa.

Rimane però l’incognita: sarà davvero l’ultima volta?

Chiara Farigu

mercoledì 27 ottobre 2021

Il ritorno di Imma Tataranni. Una partenza col botto per ‘il sostituto procuratore’ più famoso della tv

 Complimenti per il pigiama’, azzarda ironico il diretto superiore additando l’eccentrico completino indossato dal ‘sostituto procuratore‘ più famoso della tv per la rentrée in prima serata dell’attesa seconda stagione.

 

Lei, Imma Tataranni, non si scompone manco un po’ e risponde con una delle sue faccette più eloquenti di qualsiasi parola capaci al contempo di riprendersi la scena, stracciando, a botta di auditel, la concorrenza che arranca faticosamente in cerca di visibilità.

 

Un ritorno col botto dunque. Con oltre 5 milioni di telespettatori, pari al 24, 7% di share per Vanessa Scalea, protagonista indiscussa di una delle fiction più amate di mamma Rai.

 

Nata dalla penna di Mariolina Venezia, il personaggio è di quelli che ami a prima botta. Controcorrente, scorbutica e spigolosa come la sua Matera che fa da cornice alle sue indagini che puntualmente porta a termine, consegnando i colpevoli alla giustizia. Precisa e puntigliosa sino allo sfinimento nel suo lavoro, indifesa e casinista nella vita privata.

 

Un mix che piace. Che coinvolge ed emoziona. Come gli ingredienti della serie, sapientemente amalgamati dagli autori: sprazzi di vita contadina, tradizioni popolari retaggio di un passato alle prese con la voglia di vivere una modernità che stenta ad affermarsi, sentimenti vecchi e nuovi che a volte sfociano in reati, il bene che trionfa sul male.

Su tutto e tutti  c’è lei, Imma Tataranni, con le sue bizze, le sue diverse e numerose rughe di espressione, le scarpe scomode che fanno male ai piedi, la sua ruvidezza spicciola nel trattare con la gente, la sua profonda umanità.

Una serie imperdibile.

Chiara Farigu

sabato 16 ottobre 2021

Roma, manifestazione antifascista. Landini: ‘Questa piazza parla a tutto il Paese. Dalla solidarietà ora si passi all’azione concreta’’

 Non ci sta Maurizio Landini a vedersi etichettare la manifestazione di Piazza San Giovanni come ‘manifestazione di parte’ perché è di tutti: ‘qui oggi difendiamo la democrazia’, scandisce con tono deciso, rimandando al mittente, vale a dire al segretario della Lega il commento ingeneroso fatto qualche ora prima.

Una settimana fa il vile attacco alla sede della Cgil da parte di alcuni esponenti di Forza Nuova e attivisti no-vax, oggi la risposta unitaria dei sindacati per ribadire con fermezza: ‘No ai fascismi e alla violenza, sì al lavoro alla sicurezza e ai diritti’.

Sono arrivati da tutta Italia per manifestare vicinanza e solidarietà, ‘siamo 200mila’- dicono orgogliosamente alcuni vertici sindacali, mentre la questura, come spesso succede quando si fa una stima delle presenze, parla di 50mila.

Non è questione di numeri, quanto di far sentire a Roma come in altre piazze di altre città che ‘l’attacco alla Cgil, l’attacco al sindacato è in realtà un attacco alla dignità del lavoro di tutto il Paese. E noi siamo qui non per difendere qualcuno ma per difendere la democrazia e per estenderla’, ribadisce Landini, aggiungendo che ‘C’è un primo atto che chiediamo che il governo faccia, con l’appoggio di tutto il Parlamento: le forze che si richiamano al fascismo e usano atti violenti devono essere sciolte. Dalla solidarietà si deve passare all’azione concreta’.

Oltre ai cittadini comuni, molte le adesioni da parte di associazioni, partiti e movimenti. In piazza, come avevano annunciato fin da subito, Enrico Letta, Giuseppe Conte, Luigi Di Maio, Nicola Fratoianni e molti sindaci con le loro fasce tricolore.

Assenti invece, come peraltro avevano annunciato i vertici del centrodestra piuttosto contrariati del fatto che la manifestazione venisse organizzata nel giorno del silenzio elettorale prima dei ballottaggi.

Un’occasione mancata per loro, l’ennesima.   A conferma, qualora ce ne fosse bisogno, che quella richiesta di ‘pacificazione’ avanzata solo qualche giorno fa, è stata una delle tante boutade evaporatosi subito dopo.

Chiara Farigu

*Immagine Ansa

giovedì 14 ottobre 2021

Alitalia, si chiude un’era: dopo 75 anni, oggi l’ultimo volo

 Alitalia, si chiude un’era: dopo 75 anni, oggi l’ultimo volo

Mi rattrista apprendere che oggi si conclude l’avventura di Alitalia. E ancor di più mi rattrista che l’ultimo volo in programma sia l’ Az 01586 in partenza da Cagliari-Elmas alla volta di Roma-Fiumicino.

Elmas Fiumicino (e viceversa), la mia tratta. Per oltre 40, insieme alla Tirrenia (giunta anch’essa al termine) è stata il trait-d’union con la mia isola.

Quanti sogni, quante aspettative in quei 40 minuti scarsi di volo.

Quanti patemi d’animo quando il maestrale soffiava di brutto o i temporali non davano tregua.
Quanti ritardi quanti rinvii quanti voli cancellati per i motivi più svariati.

Quante maledizioni quando il servizio lasciava a desiderare.

Ma quanta gioia ogni volta nel sentire la voce del comandante di turno che, nel ringraziare per aver scelto la compagnia di bandiera italiana, annunciava l’imminente atterraggio in Terra madre.

E quanti incontri al check in, squadre di calciatori in partenza o in arrivo, giornalisti, personaggi dello spettacolo.

Ricordo, seduto una fila davanti a me, Edoardo Bennato in ritorno da un tour nell’isola. Ho fissato per tutto il volo i suoi riccioli nerissimi ma ancor di più i suoi stivaletti di pelle piuttosto consumati.

E mentre lo guardavo canticchiavo mentalmente le sue canzoni. Da sempre l’artista partenopeo e tra i miei cantanti preferiti. Lo vedevo alle prese coi suoi strumenti che manovra con disinvoltura unica mentre canta, passando dalla chitarra all’armonica a bocca, dal bazoo al tamburello legato alla caviglia. Ero ancora nel mondo di Peter Pan quando il capitano ci diede il benvenuto a Fiumicino. ‘Ma come siamo già arrivati’, mi sorpresi a dire, quasi infastidita per dover scendere.

Ci saranno altri voli, altre compagnie, lo so.

Però oggi finisce un’avventura durata ben 75 anni. Il tricolore non svetterà più tra le nuvole.

Ed io non so se in quella tratta sognerò più allo stesso modo.
Chiara Farigu



martedì 5 ottobre 2021

5 ottobre, giornata mondiale degli insegnanti: 24 ore per riflettere sulla professione più nobile e difficile che ci sia

 Anche quest’anno Google  dedica il suo ‘doodle’ alla giornata mondiale degli insegnanti. Uno ‘scarabocchio’ con uno degli ‘attrezzi’ del mestiere per eccellenza: il libro. Una splendida ape regina intenta a sfogliare pagine illustrate dispensatrici di saperi ad una scolaresca vogliosa di apprendere.

Più che un messaggio, un augurio.

Perché dopo quasi due anni trascorsi incollati ad uno schermo, il ritorno al libro, e soprattutto in presenza, non è poi così scontato.

Istituita nel 1994 dall’Unesco, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di conoscenza e patrimonio culturale, la ricorrenza  vuole essere un invito alla riflessione sull’insegnamento, la professione più bella e nobile che ci sia.  Sulle sfide quotidiane e sulle difficoltà, le tante ancora che per diverse ragioni non si riescono o forse non si vogliono abbattere.

Soprattutto ora. Dopo la difficile e delicata ripartenza dopo quasi due anni di chiusura per pandemia da coronavirus. Mai come adesso c’è bisogno di sensibilizzare l’opinione pubblica sulle difficoltà che gli insegnanti di tutto il mondo hanno dovuto e dovranno affrontare ancora affinché la didattica sia garantita definitivamente  in presenza e non si torni allo spauracchio dell’insegnamento da remoto. Con tutti i pochi pro e tanti contro che abbiamo avuto modo di verificare.

Mai come adesso si avverte la necessità di ristabilire quell’alleanza tra scuola e famiglie. E tra scuola e istituzioni.

Troppo spesso gli insegnanti vengono lasciati soli, ingabbiati nelle strettoie burocratico/amministrative che rubano spazi e tempi alle discipline che sono chiamati a condividere coi loro studenti. In aule spesso fatiscenti e a rischio crolli, con carenza di attrezzature e materiali didattici. Con retribuzioni da terzo mondo e, in barba al futuro che rappresentano, obbligati a stare in cattedra oltre ogni limite.

I più vecchi d’Europa, quelli italiani. E i meno remunerati. Maglia nera da anni il nostro Paese, a ricordarcelo, qualora ce ne fosse bisogno, gli istituti di statistica nei loro report annuali.

Ma sempre prima la scuola, insieme alla sanità, nella hit per le sforbiciate previste dalle revisioni di spesa del bilancio pubblico. Scuola e investimenti. Un ossimoro da sempre. L’incubo di ogni governo. Che promette ma poi non mantiene.

E se mantiene, mai nella giusta direzione.

Basta vedere quanto è stato fatto, o meglio non fatto, in questi due anni di pandemia. Tanti, troppi i bla bla bla, pochissimi i fatti.  Anche il  nuovo anno scolastico è iniziato coi vecchi stramaledetti  problemi di sempre.

Perché la scuola, e tanto meno il benessere degli insegnanti, non è mai la priorità. Se non a parole,  in campagna elettorale o nelle promesse dei governi quando si insediano. Ma puntualmente, il nulla di fatto.

Per poi scoprirne nuovamente il valore, l’essenza,  come è successo nel periodo dell’emergenza pandemica. Quando ad occuparsi di alunni e studenti sono state chiamate in causa le famiglie. E’ stato allora, dopo decenni di assoluta indifferenza che si è riscoperto il valore della scuola. Inteso come luogo di formazione e ancor più di socializzazione.

Punto di riferimento indispensabile per la società intera.

Sono stati mesi difficili. Nei quali i docenti si sono dovuti inventare una nuova modalità di insegnamento servendosi della tecnologia per non lasciare indietro e abbandonati a se stessi alunni e studenti di ogni ordine e grado. Non dimentichiamo che per molti di loro, quando i bollettini medici contavano giornalmente migliaia di morti, l’unica voce amica arrivava da quello schermo.

Ma ora, fortunatamente, il peggio è passato e si guarda al presente. Con le tante, troppe difficoltà ancora presenti e da risolvere. Come la presenza in cattedra degli insegnanti.

C’è carenza di insegnanti. In Italia e nel mondo. Soprattutto nelle zone periferiche, in quelle disagiate e nelle aree rurali o remote. E nelle zone di guerra. Secondo le Nazioni Unite sarebbe necessario reperire circa 70 milioni di nuovi insegnanti entro il 2030 per ‘colmare il bisogno di educatori e garantire a tutti l’accesso alla conoscenza, uno dei diritti fondamentali dell’uomo’. Nel mondo, stima l’Onu sono oltre 264 milioni i bambini e i ragazzi non scolarizzati, soprattutto in Africa.

E’ emergenza. Già da adesso. E lo sarà sempre più, se non si corre a ripari.

Abbiamo ventiquattro ore per riflettere. Ma soprattutto per fare.

Insegnanti al centro della ripresa della formazione ‘, è questo il tema che l’Unesco dedica alla giornata di oggi, 5 ottobre. Per realizzarlo c’è bisogno di tutti. Nessuno escluso

Chiara Farigu


domenica 3 ottobre 2021

Iannacone ripropone la storia dello scultore non vedente. Ed è di nuovo magia

 In certi programmi televisivi spesso ci si imbatte per caso. Ma quando si viene ‘rapiti’ sceglierli diviene poi un obbligo. Oltre che un piacere.

‘Cosa ci faccio qui’, condotto e diretto da un ineguagliabile Domenico Iannacone, è uno di questi.
Il giornalista salentino è un vero Maestro del racconto. Nessuno come lui riesce a scavare nei sentimenti umani facendo riemergere ricordi sensazioni e stati d’animo  dei  protagonisti delle sue storie. Persone che spesso vivono ai margini ma non per questo sono meno speciali.  Anzi. Com’è appunto Felice.
La sua storia molti telespettatori la conoscono già. Iannacone la raccontò nella passata edizione. Riascoltarla è come per bambino farsi raccontare nuovamente una fiaba. Con gli stessi toni, le stesse pause, le stesse parole, le stesse immagini.
E sin dalle prime si riaccende la magia.
Lui è Felice Tagliaferri e il bambino che gli sta vicino è suo figlio Alberto. La loro storia sembra uscita da un libro di favole che catturano grandi e piccoli sino alla parola fine.   Gli ingredienti ci sono tutti: l’eroe buono, le traversie della vita,  il bene che trionfa sul male.

E’ anche una storia di sofferenza e di riscatto, di buio profondo e di luce intensa.

 

‘Cosa vorresti come regalo di Natale’, chiede il giornalista al bambino che avrà non più di 10 anni e che senza esitazione alcuna risponde: ‘Che il mio papà possa vedere anche per pochi minuti’. Il suo papà, Felice,  è un uomo davvero fuori dal comune, un artista sorprendente, di quelli che lasciano senza parole.

A 14 anni, colpito da un’atrofia del nervo ottico, malattia che non perdona,  i suoi occhi, nel giro di un anno,  si spengono completamente facendo sprofondare nel buio più nero  sogni e  aspettative di un adolescente che si stava affacciando alla vita.

Chiunque al suo posto avrebbe cominciato a maledire il destino che senza preavviso  lo toglieva dall’esercito dei cosiddetti ‘normali’ per arruolarlo suo malgrado in quello dei ‘disabili’. Non lui, non Vincenzo da sempre sostenitore che ‘la vera disabilità è negli occhi di chi guarda, di chi non comprende che dalle diversità possiamo solo imparare’.

E Vincenzo dalla sua diversità  ha imparato alla grande.

Galeotto fu il suo incontro con il marmo. Al quale dare la forma dei suoi sogni. Rendendo così ogni opera originale e personale.  Le sue creazioni sono infatti sculture non viste, che prima nascono nella sua mente e poi prendono forma attraverso l’uso sapiente delle mani, guidate da incredibili capacità tattili.

Vista e tatto si fondono all’unisono in quelle mani che non sono altro che  mero strumento per  plasmare blocchi di marmo per poi divenire opere uniche nel loro genere.

Veri capolavori capaci di regalare grandi emozioni in chi ha la fortuna di imbattersi in esse.

Come il Cristo ri-velato che Felice ha realizzato dopo aver ‘visto’ quello della Cappella di  Sansevero di Napoli.

Non potendolo toccare, per rendersi conto della maestosità dell’opera, Felice se l’è fatta descrivere, centimetro per centimetro. Descrizione durata oltre tre giorni, racconta Tagliaferri, invitando Iannacone a toccare diversi dettagli del ‘suo’ Cristo come l’ombelico, la coscia o le costole che sono la riproduzione delle sue:  ‘ho usato me stesso per avere un modello sempre disponibile’ ha rivelato prima di sdraiarsi sull’opera. per dar prova alle sue parole.

‘Dal buio possono nascere grandi opere, quando do forma alle cose non so dove finisce la materia e inizia il mio corpo’ , racconta lo scultore, invitando Iannacone a farsi bendare per qualche minuto per immergersi a sua volta nel buio e ‘vedere’ attraverso il tatto il mondo circostante.

Con ‘un nuovo sguardo’. Fatto di sensazioni, emozioni, interiorizzazioni di descrizioni altrui fatte proprie.

Oggi Felice è Scultore, Direttore della “Chiesa dell’Arte” e insegnante d’arte.

Un artista a tutto tondo che si nutre di sogni che poi regala a chi è ancora capace di sognare.

Accanto a lui Alberto.  Gli occhi di suo figlio, una finestra sul mondo. Per continuare a sognare.

 Chiara Farigu 

*Immagine profilo Facebook

mercoledì 29 settembre 2021

Morti sul lavoro: una strage senza fine

 Travolti dagli stessi tir che guidano, risucchiati o decapitati dai macchinari che utilizzano, precipitati dalle impalcature che montano, avvelenati da acidi e polveri che respirano: queste e molte altre le cause di quelle che le cronache chiama ‘morti bianche’.

Una strage senza fine.

Solo ieri i morti sul lavoro sono stati sei: due nel Milanese, una nell’hinterland di Torino, una a Capaci, in provincia di Palermo,  un’altra nel Padovano, la sesta nel Pisano. Stamattina un’altra vittima. Un operaio è stato investito da un mezzo pesante tra Poggio Imperiale e San Severo, nel Foggiano, mentre lavorava sull ‘autostrada A14, durante  la fase di installazione di un cantiere.

Un bilancio terrificante:  nei primi 7 mesi del 2021 i morti sono 677 (fonte: il Manifesto). Un trend in continuo aumento, oltre 15.000 le vittime negli ultimi dieci anni.

E quel che è peggio è che si tratta di disgrazie prevedibili che si sarebbero potute evitare. La maggioranza degli infortuni, sostengono i sindacati di settore, sarebbe infatti causata dal mancato rispetto delle norme di sicurezza, dovuta, come raccontano le cronache all’indomani di ogni tragedia, dalla rincorsa da parte delle imprese al risparmio e all’abbattimento dei costi del lavoro.

Imprese che spesso e volentieri si avvalgono di sub-appalti e di personale precario, retribuito il più delle volte in nero, privato di ogni norma e strumento di sicurezza.

Servono leggi severe, maggiori controlli, protocolli di sicurezza che vanno applicati e non solo propagandati.  Serve responsabilità, senso del dovere e rispetto delle regole: quante volte abbiamo sentito queste parole dopo ogni disgrazia?

Dinanzi a queste cifre non basta indignarsi. Le ‘morti bianche’, insieme ai femminicidi, costituiscono una priorità di interventi che la politica non può più rimandare. A cominciare dalla prevenzione, dalla formazione e dalla garanzia di tutele fisiche e contrattuali.

Il lavoro deve garantire opportunità e migliorare la vita. Deve assicurare un presente e un futuro.

Non può e non deve darci morti da piangere un giorno sì e l’altro pure. Non più.

Chiara Farigu

lunedì 27 settembre 2021

150 anni fa nasceva Grazia Deledda. Unica donna italiana ad aver vinto il Nobel per la Letteratura

 Centocinquanta anni fa, esattamente il 27 settembre del 1871, nasceva, a Nuoro, Grazia Deledda, “Una donna di talento, che ha dato lustro all’Italia”, ha scritto il Capo dello Stato in una nota dedicata all’autrice per la ricorrenza.

Numerose, in tutta Italia, le celebrazioni per ricordare la scrittrice che ha indubbiamente lasciato il segno nel mondo della letteratura.

Autodidatta, esordisce su un periodico di moda. Influenzata sia da Verga che da D’Annunzio, in tutta la letteratura italiana la scrittrice sarda fa storia a sé, restando estranea a ogni corrente.

I suoi romanzi (Elias Portolu, Cenere, Marianna Sirca, La madre) sono tutti ambientati in Sardegna, regione che nelle sue pagine diventa un luogo mitico, barbarico e primitivo. Una terra ancestrale governata da leggi eterne e immutabili.

Nel 1913 pubblica Canne al vento, il suo capolavoro.

Nel 1926 vince il Premio Nobel per la Letteratura con la seguente motivazione: “Per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano”.

A tutt’oggi è l’unica donna italiana ad aver vinto un Nobel per la letteratura.

Questo il video del discorso tenuto a Stoccolma   https://www.youtube.com/watch?v=Y8XBNigpMss

Suoi questi due aforismi, tra i più celebri e ancora oggi di grande attualità:

1) “Tutti siamo impastati di bene e di male, ma quest’ ultimo bisogna vincerlo.” Analisi attenta e precisa dell’essenza umana ed una esortazione a sconfiggere il Male facendo prevalere le forze del Bene. Attualissimo per i nostri tempi in cui malaffare, corruzione, interesse personale e di casta sono all’ordine del giorno.

2) “Possibile che non si possa vivere senza far male agli innocenti?” Domanda che potrebbe sembrare retorica ma non lo è, poiché rispecchia una realtà sotto gli occhi di tutti. Basta guardare il fenomeno dei migranti, le cause che lo hanno provocato e il disinteresse col quale (non) si cerca di risolverlo.

Sono piccina piccina, sa, anche in confronto alle donne sarde che sono piccolissime, ma sono ardita e coraggiosa come un gigante e non temo le battaglie intellettuali”, scriveva di se stessa.

Dieci anni dopo il suo Nobel, la dura e lunga lotta contro il timore al seno. Una lotta impari. L’unica che non sia riuscita a vincere.

A continuare a parlare, ancora oggi,  i suoi romanzi. Storie intense e drammatiche attraverso le quali ha contribuito a rendere universali il dolore, il calore, i sentimenti dei personaggi tratti dalla sua terra. ‘Una eredità che rende ancor più ricco il patrimonio della letteratura italiana’, ha chiosato il presidente Mattarella.

 Chiara Farigu

Osservo con discrezione (e molta invidia) quell’amore appena sbocciato

 Il mondo è lontano in questo tratto di spiaggia. Possiamo contarci: un ragazzo che gioca col suo cane, un pescatore in attesa che almeno un pesce abbocchi ed il mio animo tormentato in cerca di pace.

Poi li intravedo. Avranno sì o no 16/17 anni.
Lui accarezza i capelli di lei, lei il ciuffo di lui.

Un bacio. Due baci. Tre baci. Poi perdo il conto.

Li osservo con discrezione. Ma anche con molta invidia.

Invidio quel sentimento fresco, quelle promesse scambiate che quasi certamente non verranno mantenute ma che al momento li fa camminare tre metri sopra il cielo.

Invidio la loro età ed il futuro che hanno davanti. Pur sapendo che non sarà sempre rose e fiori. Anzi!

Invidio la leggerezza dei loro pensieri, il loro mondo fatto di momenti rubati in quella terrazza dove fino a qualche settimana fa si accalcavano i bagnanti.

Il mondo coi suoi affanni è lontano anni luce da quella terrazza.

Gli unici occhi indiscreti, i miei.
 
C'è pace intorno.
E silenzio.
A parlare, i loro abbracci

Chiara Farigu
 
*Immagine Chiara Farigu
 

mercoledì 22 settembre 2021

Morti sul lavoro: una strage senza fine

 Travolti dagli stessi tir che guidano, risucchiati o decapitati dai macchinari che utilizzano, precipitati dalle impalcature che montano, avvelenati da acidi e polveri che respirano: queste e molte altre le cause di quelle che le cronache chiama ‘morti bianche’.

Una strage senza fine.

Solo ieri i morti sul lavoro sono stati sei: due nel Milanese, una nell’hinterland di Torino, una a Capaci, in provincia di Palermo,  un’altra nel Padovano, la sesta nel Pisano. Stamattina un’altra vittima. Un operaio è stato investito da un mezzo pesante tra Poggio Imperiale e San Severo, nel Foggiano, mentre lavorava sull ‘autostrada A14, durante  la fase di installazione di un cantiere.

Un bilancio terrificante:  nei primi 7 mesi del 2021 i morti sono 677 (fonte: il Manifesto). Un trend in continuo aumento, oltre 15.000 le vittime negli ultimi dieci anni.

E quel che è peggio è che si tratta di disgrazie prevedibili che si sarebbero potute evitare. La maggioranza degli infortuni, sostengono i sindacati di settore, sarebbe infatti causata dal mancato rispetto delle norme di sicurezza, dovuta, come raccontano le cronache all’indomani di ogni tragedia, dalla rincorsa da parte delle imprese al risparmio e all’abbattimento dei costi del lavoro.

Imprese che spesso e volentieri si avvalgono di sub-appalti e di personale precario, retribuito il più delle volte in nero, privato di ogni norma e strumento di sicurezza.

Servono leggi severe, maggiori controlli, protocolli di sicurezza che vanno applicati e non solo propagandati.  Serve responsabilità, senso del dovere e rispetto delle regole: quante volte abbiamo sentito queste parole dopo ogni disgrazia?

Dinanzi a queste cifre non basta indignarsi. Le ‘morti bianche’, insieme ai femminicidi, costituiscono una priorità di interventi che la politica non può più rimandare. A cominciare dalla prevenzione, dalla formazione e dalla garanzia di tutele fisiche e contrattuali.

Il lavoro deve garantire opportunità e migliorare la vita. Deve assicurare un presente e un futuro.

Non può e non deve darci morti da piangere un giorno sì e l’altro pure. Non più.

Chiara Farigu

La nonna paterna? Una nonna a metà (con poche eccezioni)

  Essere nonne è un dono meraviglioso che la vita riserva a chi ha avuto la gioia di essere prima mamma. E’ come diventare madri una seconda...