il blog di chiarafarigu

sabato 1 ottobre 2022

Mina Settembre: il ritorno dell’assistente sociale dei Quartieri Spagnoli. Dal 2 ottobre su Rai1

Saranno sei le puntate che Rai1 dedicherà, a partire dal due ottobre, alle avventure dell’assistente sociale del consultorio del Rione Sanità di Napoli.

A vestire i panni dell’intrepida ‘investigatrice’ per caso, la bravissima e versatile Serena Rossi che, la scorsa stagione ha battuto, con la fiction liberamente tratta dai romanzi di Maurizio De Giovanni, ogni record d’ascolto.

Il perché del successo è dovuto in gran parte alla storia della protagonista. Costantemente divisa tra una vita professionale dedita alla tutela e al benessere di chi vive suo malgrado una vita fatta di sofferenze e soprusi e una sfera privata con molti chiaroscuri. E se la prima è vissuta senza tentennamenti, con coraggio e a volte sprezzo delle regole pur di raggiungere l’obiettivo prefissato, la seconda è tutta da scrivere.

Mina, dopo essersi separata dal marito Claudio (Giorgio Pasotti), magistrato col quale giocoforza dovrà interagire e spesso scontrarsi, torna a casa dall’ingombrante mamma, ovvero il suo ‘Problema 1’ poiché di materno sembra non avere proprio niente. Dispotica, autoritaria, poco prepensa a dividere il suo spazio con la figlia alla quale non perdona il suo stato di separata e la sua condotta di vita, dedita più agli altri che a sé stessa.  Al punto da far diventare il Consultorio la sua ragione stessa di vita.

E poi nel Consultorio arriva lui, Domenico ‘chiamami-Mimmo’, come va ripetendo a tutti le pazienti per instaurare un rapporto meno formale, che riaccende pensieri e desideri che la donna credeva sopiti, dopo la separazione dal marito, in seguito al suo tradimento.

Assistente sociale di professione, Mina si scopre investigatrice a tutto tondo in cerca di indizi per tirare fuori dai guai (spesso è lei a finirci) le persone che ricorrono al suo aiuto. A darle man forte l’attraente ginecologo interpretato da Giuseppe Zeno,  Christane Filangeri e Valentina D’Agostino, nei panni delle  amiche di una vita.

In questa seconda stagione al suo fianco Marisa Laurito, nel ruolo ‘ingombrante’ della zia Olga che si presenta in casa sua ‘solo per qualche giorno’ che poi diventa settimana, mesi e chissà se anni.

A fare da cornice alle avventure di Mina, Napoli e gli splendidi Quartieri Spagnoli. Tanti gli intrecci che di volta in volta la spericolata assistente sociale riuscirà a sciogliere per restituire alla vita persone spesso vittime della criminalità o messe ai margini da eventi dolorosi.

Così come diversi e accattivanti si preannunciano gli intrecci che riguarderanno la sfera strettamente privata, dal sentimento che la lega nonostante tutto all’ex marito (al quale forse concederà una seconda chance), al rapporto con le amiche di sempre, soprattutto con Irene che in passato ha avuto una storia sentimentale con suo padre dal quale ha avuto un figlio.

Insomma, una serie tv da non perdere.

domenica 14 agosto 2022

Ponte Morandi. Genova non dimentica e chiede giustizia: 4 anni fa il crollo

 C’era una volta il ponte o viadotto Polcevera, meglio noto come ponte Morandi, dal nome dell’ingegnere che lo progettò. Per oltre 60 anni è stato il simbolo di Genova e nodo strategico per il collegamento fra il nord-Italia e il sud della Francia.

Quattro anni fa, esattamente il 14 agosto del 2018, alle ore 11, 36, come un fulmine a ciel sereno, il crollo di uno dei tre piloni che sostenevano il ponte trascinando con sé un tratto di strada lungo circa 200 metri.
Una tragedia immane: 43 le vittime. Una ferita profonda non solo per Genova ma per l’Italia tutta. Le immagini fecero il giro del mondo. Quel camion che si arrestò un secondo prima di precipitare nel vuoto divenne il simbolo della tragedia tra il prima e il dopo.
Sessanta anni di storia e di storie. Sessanta anni di viaggi di piacere e di lavoro. Sessanta anni di unione, di incontri di vita di milioni di italiani.
Poi il crollo, il dolore, la morte. E oltre 600 gli sfollati. 
La ricerca delle responsabilità, le accuse a chi doveva e non ha fatto i necessari controlli, gli scaricabarile come sempre avviene dinanzi alle tragedie. Le promesse della politica di ricostruire quanto e meglio di prima. Ma soprattutto la determinazione dei genovesi di voltare pagina e guardare al futuro.
Poi il nuovo progetto dell’archistar Renzo Piano e i fondi per la ricostruzione. E nello sfondo la magistratura per appurare responsabilità e responsabili.
Una lunga storia che ha fatto e farà parlare ancora molto a lungo.
Dopo meno di un anno la demolizione di quel che ne restava. In soli sei secondi l’implosione di sessanta anni di storia, ridotti a ventimila metri cubi di detriti. Centinaia i genovesi appostati fin dal mattino per dare l’ultimo addio a quel simbolo che da quel momento non c’era più.
Da adesso comincia il futuro, titolarono i giornali.
Futuro che arrivò quasi in tempi record: dopo due  anni di lavori no-stop, alla presenza di Sergio Mattarella e delle più alte cariche dello Stato, il 3 agosto del 2020  l’ inaugurazione del nuovo ponte, chiamato  ‘Genova San Giorgio’, che verrà aperto al traffico due giorno dopo, il 5 agosto.

Immagine tratta da ligurianotizie.it

Sono passati quattro lunghi anni da quella tragedia che, come è stato ampiamente appurato da verifiche successive, si sarebbe potuta e dovuta evitare. Quel ponte sarebbe ancora in piedi se chi di dovere avesse provveduto alla giusta manutenzione e al costante monitoraggio della tenuta di bretelle piloni e ciò che necessitava di cure e attenzioni. E  controlli periodici.

Troppi i se e troppe le domande ancora senza risposta in questa tragedia che chiede ed esige giustizia. Perché Genova non dimentica, non può e non vuole dimenticare, ha ribadito oggi il sindaco Bocci durante la cerimonia di commemorazione. Ma soprattutto pretende GIUSTIZIA.

Perché senza sarà la sfiducia farla da padrone.  E la quasi certezza che ancora una volta non si sia imparato nulla o quasi quando si antepone il profitto alla sicurezza.

Una ferita che non si può rimarginare, una sofferenza che non conosce oblio, una solidarietà che non viene meno. Una una tragedia che non deve ripetersi mai più. Un dramma per tutta la Repubblica’, è questo il messaggio di solidarietà del Capo dello Stato Mattarella  e del presidente Draghi, ai parenti delle vittime e alla città ligure, oggi stretti nel ricordo dell’immane tragedia ma fermamente determinati a cercare giustizia.

Affinché mai più si debba raccontare ‘c’era una volta’.

Chiara Farigu

*Immagine Liguria Today

sabato 13 agosto 2022

Piero Angela. Ciao Maestro, ci mancherai!

 Sapeva da tempo che era in procinto di intraprendere l’ultimo viaggio in quanto ‘anche la natura ha i suoi ritmi’, come scrive lui stesso nell’accomiatarsi dai telespettatori dopo ben 70 anni vissuti insieme. “Anni, sottolinea, per me molto stimolanti che mi hanno portato a conoscere il mondo e la natura umana. È stata un’avventura straordinaria, vissuta intensamente e resa possibile grazie alla collaborazione di un grande gruppo di autori, collaboratori, tecnici e scienziati. A mia volta, ho cercato di raccontare quello che ho imparato. Carissimi tutti, penso di aver fatto la mia parte. Cercate di fare anche voi la vostra per questo nostro difficile Paese. Un grande abbraccio”.


A dare l’annuncio della sua morte è stato suo figlio Alberto con un semplice ‘buon viaggio papà’ sul suo profilo facebook.

Avrebbe compiuto 94 anni qualche giorno prima di natale Piero Angela ed era in piena attività nonostante fosse afflitto da tempo da una malattia, che ha cercato di domare sino all’ultimo.

‘Se sei curioso, creativo e ti interessi di diversi argomenti, allora stai bene. Funziono meglio adesso, rispetto a trenta anni fa’, rispondeva  a chi gli domanda come ci si sente dinanzi a un compleanno così importante come l’ultimo che si accingeva a festeggiare il 22 dicembre scorso.

Curiosità, creatività, conoscenza e interesse che ha sempre messo a disposizione dei giovani come  ‘Prepararsi al futuro’, programma andato in onda  su Rai 3 lo scorso febbraio.

Responsabilità preparazione e conoscenza sono stati sempre i pilastri del suo lavoro. Non si può essere approssimativi o superficiali quando si parla di scienza, ripeteva  Angela, invitando i giovani alla lettura e allo studio coi quali abbattere ignoranza e pregiudizi.

Su quale fosse il segreto della sua longevità fisica e mentale non aveva dubbi: buoni geni e tanti interessi. Il cervello è un serbatoio che più lo riempi, più il suo spazio aumenta, è fondamentale mantenerlo costantemente  attivo, così come avere degli hobby e non stancarsi di essere curiosi.

E lui che della curiosità ne ha fatto la ragione stessa della sua vita e della sua lunga e invidiabile carriera,  gli anni non li contava più. Li viveva con la leggerezza di sempre, sebbene non mancasse, come ha poi confermato nel suo ultimo saluto ai telespettatori, non solo qualche acciacco legato all’età ma anche un’importante patologia. ‘Penso a me stesso come a un giovanotto, almeno interiormente’, amava ripetere nelle sue interviste.

Nato a Torino nel 1928, Piero Angela è stato il più importante e noto divulgatore scientifico, ‘Quark, divenuta poi ‘Super Quark’ dura da oltre 40 anni). Ma è stato anche giornalista, conduttore televisivo e saggista. E’ stato il Maestro che ognuno di noi avrebbe voluto per la chiarezza, la competenza, la semplicità e l’amore per il suo lavoro. Ci ha donato la passione per la Conoscenza,  e insegnato il rispetto per la natura inteso in senso lato. Della vita amava tutto. Ciò che si conosce e ancor più ciò che non si conosce. Ci ha insegnato a essere curiosi, a porci domande e dubbi. E a non accontentarci. La Conoscenza è sì curiosità ma anche e soprattutto approfondimento e condivisione. ‘Cercate l’eccellenza in quel che fate’, ripeteva ai giovani, invitandoli appunto a non accontentarsi facilmente.

Un’altra sua grande passione, la musica, il pianoforte che ha fatto da sottofondo ai momenti più significativi della sua vita.

Se n’è andato con discrezione, con lo stesso garbo che da sempre lo ha contraddistinto. Di lui ci resteranno le sue magistrali lezioni, sulla vita, sulla bellezza della natura e della sua storia.

Ciao, Maestro, ci mancherai!

*Immagine ANSA/GIUSEPPE LAMI

domenica 7 agosto 2022

Quando le vacanze sapevano di cotoletta panata

 Quando ero piccola io le vacanze erano solo quelle relative alla chiusura della scuola. Mio padre, uomo dai mille mestieri per mandare avanti la famiglia, non conosceva la parola ‘ferie’.

Non ne aveva diritto, almeno nel senso che le viene attribuito dalla costituzione e dai vari statuti dei lavoratori.

Tuttavia ne percepiva l’importanza, almeno per noi figli. Così, una o due volte la settimana si partiva per il mare. Un lusso a quei tempi, per chi viveva nei paesi dell’interno di un’isola come la mia. Mia madre di buon mattino cucinava le fettine panate da consumare in spiaggia e gli immancabili ‘mallereddus alla campidanese’ perché un piatto di pasta non doveva mancare mai. Tantomeno al mare, dove il cambio d’aria, stimolava l’appetito.

Acqua, vino e frutta completavano il menù della gita. Poi partenza, destinazione Cagliari, spiaggia del Giorgino, meravigliosa a quei tempi. Sabbia bianchissima, acqua cristallina e macchia mediterranea tutto intorno a fare da cornice.

Mio padre mia madre e mio fratello più piccolo in vespa, la macchina era appannaggio dei ricchi e noi non lo eravamo. Io e mio fratello più grande in pullman (l’autista era un amico di famiglia) sapeva dove farci scendere. La fermata era segnalata da un cartello che pubblicizzava la nota marca di un lanificio di quegli anni, fine anni ’50 primi anni ’60.

Da quel momento in poi cominciava la libertà. Di correre, ridere, giocare spruzzarci l’acqua l’un l’altro. Per i miei genitori vederci felici era la gioia più grande. Loro cercavano riparo sotto l’ombra di un pino marittimo ricurvo dallo sferzare del maestrale, tipico del nostro paesaggio. L’ombrellone sarebbe arrivato anni dopo. Allora ci si arrangiava con quel che si aveva, cioè poco. Ma a noi bastava. Perché sapevamo di essere dei privilegiati rispetto a nostri vicini di casa che osservano con non poca invidia le nostre escursioni.

Per merenda si mangiavano gli avanzi del pranzo, quelle fettine surriscaldate dal sole ci sembravano ancora più appetitose di quelle consumate a pranzo. La pelle arsa dal sole che picchiava senza pietà era lo scotto da pagare per quei momenti di libertà. Indimenticabili. Unici. Cosi diversi dalle vacanze odierne. Dove si ha di tutto e di più e chissà perché si è sempre alla ricerca di qualcosa che non c’è. Col broncio sempre stampato e con lo stress a mille che neanche l’aria di mare riesce a lenire.

Chiara Farigu 

*Immagine web

venerdì 5 agosto 2022

5 agosto 1981: l’Italia dice addio al matrimonio riparatore (e al delitto d’onore)

 Accadeva oggi: il 5 agosto 1981, l’Italia, con la legge 442 metteva fine ad una pratica che definire ‘medievale’ è un puro eufemismo: le nozze riparatrici.

Una modalità che consentiva ad un uomo, dopo aver violentato una donna, nubile e illibata, di ‘riparare’ al malfatto sposandola. Senza poter avanzare alcuna pretesa in beni o averi come dote per la sposa.

Col matrimonio veniva meno ogni effetto penale e sociale, la sua colpa estinta.  

Per la donna, ‘disonorata, agli occhi della famiglia e della società, accettare quelle nozze era in pratica un obbligo al quale non era neanche lontanamente immaginabile potersi sottrarre.

Sino a quindici anni prima quando una diciassettenne di Alcamo per la prima volta disse NO al matrimonio riparatore.

Un no forte e chiaro che contribuì a cambiare per sempre il volto di un’Italia piuttosto retrograda in fatto di diritti umani.

Quel NO lo gridò all’Italia intera Franca Viola, divenendo, suo malgrado, il simbolo dell’emancipazione delle donne italiane. ‘Io non sono proprietà di nessuno, nessuno può costringermi ad amare una persona che non rispetto, l’onore lo perde chi le fa certe cose, non chi le subisce’, motivò così quel rifiuto durante il processo, supportata in questa decisione da tutta la sua famiglia.

Lei quella violenza la subì per lunghi otto giorni. Venne rapita, violentata, malmenata e lasciata a digiuno in un casolare dal suo ex fidanzato, allontanato dai genitori di Franca perché vicino ad una famiglia mafiosa.

Lui, dopo il fattaccio propose la ’paciata’, il matrimonio riparatore e la fine delle ostilità.

I genitori finsero di accettare e all’incontro stabilito si presentarono con la polizia che arrestò Filippo Melodia e i suoi complici.

Per Franca fu la fine di un incubo e l’inizio di una nuova vita.

‘Non fu un gesto coraggioso. Ho fatto solo quello che mi sentivo di fare, come farebbe oggi una qualsiasi donna: ho ascoltato il mio cuore, il resto è venuto da sé’, ha più volte dichiarato Franca Viola.  Quasi a voler minimizzare quell’atto che fece da apripista a tanti dibattiti che quindici anni dopo consentiranno al legislatore di legiferare in merito cancellando, con un colpo di spugna, ben due norme del codice penale: il matrimonio riparatore e il delitto d’onore.

Una sorta di attenuante, quest’ultimo,  per l’uomo che commette un delitto in quanto ‘offeso nell’onore’ dalla propria donna o da una donna della sua famiglia alle prese con una relazione carnale illegittima.

Occorrerà aspettare sino al 1996 per veder riconosciuta, con una nuova legge, la #violenzasessuale come reato non più contro la morale ma contro la persona che la subisce.

Tanta strada è stata fatta da allora. Ma tanta altra occorrerà percorrerne per  cambiare la concezione della donna, vista ancora oggi come ‘proprietà’ dell’uomo. I tanti, troppi femminicidi ne sono una drammatica conferma.

Tanta strada si dovrà ancora percorrere  per raggiungere quella parità di diritti, nel lavoro, nella vita familiare e privata per fare della nostra una società civile e moderna.

Occorrono nuove leggi e nuove prospettive.

Cominciando da una vera rivoluzione culturale e sociale senza le quali qualunque normativa messa in atto rischia di restare un mero intento, un’aspirazione e mai un cammino di vero cambiamento.

Chiara Farigu

*Immagine Hermesmagazine

domenica 31 luglio 2022

E anche oggi piove sole (cit)…

 E anche oggi piove sole (cit)…

Mi sembra di sentirla mia madre quando, sfinita dalla canicola estiva, cercava refrigerio con quanto le capitava a tiro. Che fosse un cartoncino usato a mo’ di ventaglio, il grembiule tirato su e giù per i lembi, l’acqua del rubinetto per inumidire fronte e nuca.

Se poi alle temperature già di per sé roventi s’aggiungeva su bent’e sobi’, il caldo e umido scirocco, non c’era rimedio alcuno per poterla sfangare.

Ed ecco immancabile quel detto ‘e anche oggi piove sole’ che nessun meteorologo moderno saprebbe spiegare meglio.

Era esasperazione e sopportazione. Ma anche una sorta di litania da ripetere tra vicini di casa o tra parenti in risposta al ‘come stai’, ‘tutto bene’, ci sono novità’ che non esige necessariamente delle risposte in quanto puri e semplici convenevoli tra conoscenti.

A quelle parole seguivano immancabili scuotimenti di testa, braccia rivolte al cielo, mani in cerca dei fazzoletti di lino per asciugare guance intrise di sudore. Sugli occhi un unico desiderio: su ‘bentu estu’. Il maestrale. Coi suoi spifferi freschi e frizzantini, a volte dispettosi ma non per questo meno graditi, per riportare un po’ di frescura ed entusiasmo in quelle giornate soggiogate dall’inedia sino a tarda sera.

Eh, si, proprio come allora, anche oggi piove sole. In questa torrida estate senza fine.

Rovente e anomala. E non solo per il meteo. 

Ci è piovuta addosso tra capo e collo, per la prima volta nella storia repubblicana, una campagna elettorale nervosa e complicata in piena estate. Una campagna del tutti contro tutti per rinnovare il prossimo governo.  Una campagna dove a tener banco, più che i programmi sono le  scissioni, i tradimenti, le ammucchiate e i nuovi partitini che nascono come funghi.

Un clima politico impazzito. Quanto e forse più di quello meteorologico.

In attesa di una sana e vivifica rinfrescata, anche oggi piove sole.

Chiara farigu


giovedì 21 luglio 2022

Elezioni politiche: il 25 settembre si torna al voto

 Il 25 settembre gli italiani sono chiamati al voto per eleggere il nuovo governo: ‘ Il periodo che attraversiamo non consente pause negli interventi necessari a contrastare gli effetti dell’inflazione causata dalla crisi economica, dal costo dell’energia e dei prodotti alimentari’, ha dichiarato il Capo dello Stato poco prima che il Consiglio dei Ministri confermasse la data delle elezioni, durante la conferenza stampa subito dopo lo scioglimento delle Camere.

Mi auguro-ha poi aggiunto- che, se pur nell’intensa e a volte acuta dialettica della campagna elettorale, ci sia da parte di tutti un contributo costruttivo nell’interesse superiore dell’Italia’.

Una raccomandazione, oltre che un auspicio che ha rivolto a tutti i partiti, con voce piuttosto ferma, dopo quanto successo ieri al Senato che ha portato alle dimissioni del governo Draghi.

Ancora oggi gli analisti politici fanno a gara in tv e sulla carta stampata per analizzare i fatti e puntare il dito sui colpevoli del  ‘disastro certo’  al quale inevitabilmente andremo incontro senza più l’ombrello della rassicurante credibilità internazionale che globalmente viene riconosciuta all’ormai ex premier.

E’ questo il refrain più ripetuto letto e ascoltato.

Mentre i partiti politici sono già in campagna elettorale. Al momento tutti contro tutti ma in realtà in cerca di accordi più o meno segreti in vista di nuove alleanze così come impone la famigerata legge elettorale che non si è potuta o meglio mai voluta modificare.

Palpabile la delusione sul volto di Mattarella. Che mai avrebbe immaginato un epilogo così repentino quanto sconcertante, dopo la replica al Senato di Draghi, del governo voluto dallo stesso Presidente insediatosi 18 mesi fa dopo l’altrettante infausta fine del Conte II.

Tre governi, tutti miseramente fatti cadere, hanno caratterizzato questa anomala legislatura. Sciogliere le Camere e indire nuove elezioni, vista l’assenza di prospettive per una nuova maggioranza, ha sottolineato il Capo dello Stato, è lo sbocco più naturale e anche l’ultimo atto soprattutto in momento complicato come questo.

Chiede responsabilità Mattarella, e un contributo costruttivo nell’interesse dell’Italia seppur consapevole che in  questa campagna elettorale nessun partito farà sconti all’altro e anche all’interno degli stessi dove già è cominciata la resa dei conti.

Basta ascoltare le loro interviste per comprendere quanto rovente, ancor più delle infuocate temperature di questa estate allo stremo, sarà il clima elettorale da oggi in poi sino al 25 settembre.

Chiara Farigu

martedì 19 luglio 2022

Trent’anni fa la strage di via D’Amelio. Sestu ricorda Emanuela Loi

 E’ il giorno del ricordo. Di uno dei fatti di cronaca più cruenti  della  storia della nostra Repubblica. Quella di via D’Amelio, una strage annunciata, a 57 giorni esatti dall’altra di Capaci  in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, sua moglie, il magistrato Francesca Morvillo, e i tre agenti di scorta, Vito Schifani, Antonio Montinaro e Rocco Dicillo.

Il 19 luglio per me è tutti i giorni – sostiene Antonino Vullo, il sesto uomo della scorta del giudice e unico superstite – in via d’Amelio ci vado da solo anche durante l’anno. Ci vado perché ancora il ricordo di quel giorno rimbomba nella mia mente’. Si dice  stanco e amareggiato perché dopo trent’anni ancora non si è giunti ad una verità storica  poiché ‘c’è tanto ‘di occultato’ tra le istituzioni e le commemorazioni per stragi sono vissute più come un atto istituzionale dovuto che col cuore.

Lo stesso senso di amarezza si avverte nelle parole di Maria Claudia Loi, sorella di Emanuela, la poliziotta che in quell’attentato perse la vita.

‘E lei dovrebbe difendere me? Dovrei essere io a difendere lei’.  Fu questa la prima reazione del Giudice Borsellino quando vide per la prima volta la giovanissima agente di polizia sarda in servizio come membro della sua scorta.

Era preoccupato per quelle cinque vite, il Giudice. Non tanto per la sua.

Sapeva di essere già condannato. Era solo una questione di tempo.

Nessuno dei due riuscì a proteggere l’altro.

Cinquantasette giorni dopo la strage di Capaci, un’autobomba con circa 100 chili di tritolo esplode in via D’Amelio uccidendo lui, il Giudice Paolo Borsellino e cinque membri della scorta: Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina,  Claudio Traina e la giovanissima Emanuela.  Una delle prime donne assegnate ad una scorta in Italia e la prima agente donna della Polizia di Stato a perdere la vita in servizio.

Era il 19 luglio del 1992, esattamente 30 anni fa. Una ferita ancora aperta, tante le verità ancora sconosciute da portare a galla. Tanti i depistaggi e i silenzi di chi sa. La mafia, un cancro difficile da estirpare. ‘Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene’, era solito ribadire durante le interviste, ben consapevole che anche il silenzio, l’omertà, il girarsi dall’altra parte, uccide. Ancora più vigliaccamente.

Aveva appena 24 anni Emanuela. Sognava di diventare una maestra e di mettere su famiglia. Poi si fece tentare da un concorso per entrare in Polizia. Si preparò insieme a sua sorella ma solo lei superò tutte le prove col massimo dei voti. Aveva poco più di vent’anni quando dovette lasciare Sestu, cittadina a pochi chilometri da Cagliari dov’era nata e dove risiedeva con la famiglia, per trasferirsi a Trieste e accedere al corso di addestramento della durata di sei mesi.

Non pensava allora che quello sarebbe stato il primo (e l’ultimo)  distacco dai suoi cari e dal suo fidanzato.  Al termine del corso partì infatti per la nuova destinazione, Palermo.  Era anni difficili quelli, gli attentati mafiosi si susseguivano con una violenza inaudita, le forze dell’ordine e della magistratura erano le vittime sacrificali.

Alla famiglia Loi che viveva con crescente preoccupazione la lontananza e la divisa che Emanuela con orgoglio rappresentava, rispondeva: ‘Finché non mi mettono con Borsellino, non corro nessun pericolo. Solo con lui mi possono ammazzare’.

Mai parole furono più profetiche. Il 17 luglio, dal rientro di un periodo di ferie trascorse nella sua Sardegna, fu assegnata proprio a Paolo Borsellino. Diventando una delle prime agenti donne assegnate ad una scorta in Italia.

Il suo compito e quello degli altri quattro agenti era proteggere il Giudice ‘un morto che cammina’, come lui stesso ebbe a definirsi. Era ben consapevole il magistrato di come fosse divenuto l’obiettivo numero 1 di Cosa Nostra e di come non ci fosse scorta capace di evitare una nuova e più cruenta strage dopo quella di Capaci.

A non sapere era solo il quando sarebbe successo. Quel 19 luglio alle ore 16,58, quando si reca in via D’Amelio per salutare l’anziana madre, com’era solito fare. E’ allora che esplode una Fiat 126 parcheggiata poco distante.

Al suo interno circa 100 chili di tritolo. Troppi per quelle vite di cui rimane solo il ricordo. E la rabbia per non avere avuto né lo Stato né altre istituzioni preposte a preservarle. Perché quella di via D’Amelio fu la più annunciata delle stragi. ‘Solo con Borsellino mi possono ammazzare’. Così è stato per Emanuela.

Così è stato per gli altri quattro della scorta.

‘Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri’. Oggi, nel giorno dell’anniversario, tante le commemorazioni  per ricordare quelle vite sacrificate. Ancora senza nome  i mandanti di quella strage.

La Giustizia e la Verità sono ancora lontane da venire.

A Sestu, diverse le iniziative per ricordare la loro concittadina vittima della mafia: un’opera scultorea ed un concerto dove verrà eseguito in prima assoluta un brano musicale composto da Ignazio Perra.

‘Il nostro obiettivo, sottolineano gli organizzatori, è quello di ricordare Emanuela Loi e le vittime innocenti di mafia che hanno tracciato un tragico periodo della storia d’Italia, nonché  le vicissitudini di quei cittadini che ancora oggi lottano quotidianamente in nome di valori fondamentali che sono alla base del nostro vivere civile e democratico’.

Chiara Farigu

giovedì 14 luglio 2022

Governo Draghi al capolinea? Il M5S non partecipa al voto di fiducia

 Tanto tuonò che piovve. Potrebbe essere riassunta così  la crisi politica che si è appena aperta al Senato con il non voto del Movimento cinque stelle (già annunciato ieri dal presidente Conte) al decreto legge Aiuti che comunque incassa la fiducia con 172 voti a favore. Draghi è salito al Colle e solo nelle prossime ore si conosceranno le decisioni che il Capo dello Stato intende mettere in atto.

Le ipotesi in campo sono tante e diverse. Le maratone televisive fanno a gara a chi sciorina quelle più verosimili e praticabili mentre i leader politici dei vari schieramenti lanciano strali contro i pentastellati accusati di irresponsabilità e addirittura di immoralità per aver aperto una crisi di governo con una pandemia non ancora debellata, una guerra in corso e una crisi economica che si taglia col coltello. Dimenticando le due crisi precedenti, avvenute in momenti altrettanto delicati, ma vissute, chissà perché e per come,  con maggior ‘leggerezza’. Anzi con orgoglio da chi le aveva provocate.

Fuori dal coro un’attenta analisi di Stefano Fassina, con un lungo post sul suo profilo Facebook:

"Non va drammatizzata la non partecipazione al voto del M5S al Senato per la conversione del DL Aiuti. Settimana scorsa, alla Camera dei deputati , il M5S ha dato la fiducia al governo e non ha partecipato al voto sulla conversione del Decreto perché non ha avuto risposte su temi decisivi per lavoratori, famiglie e imprese, dal termovalorizzatore al bonus 110%, sui quali non aveva votato il Decreto già in Consiglio dei Ministri. Al Senato, purtroppo, il voto è unico e coerentemente il M5S non sostiene il provvedimento.

Si sarebbe potuto evitare un passaggio così difficile se quanti oggi danno lezioni di senso di responsabilità verso la nazione si fossero ricordati di praticarlo in Consiglio dei Ministri due mesi fa, quando i ministri dell’allora gruppo parlamentare di maggioranza relativa chiesero di non inserire norme in radicale contraddizione con i principi fondativi del loro movimento e totalmente estranee ad un decreto di soccorso all’economia. O dal governo, il senso di responsabilità si fosse messo in atto di fronte alla richiesta di intervenire sul bonus del 110% per evitare il soffocamento di decine di migliaia di imprese.
L’isolamento del M5S e del Presidente Giuseppe Conte nel Palazzo non corrisponde alla realtà fuori. Chi oggi drammatizza punta a finire il M5S sulla strada dell'omologazione o sulla strada dell'irresponsabilità e rafforzare la prospettiva di una larga maggioranza centrista. Sarebbe un’aggravamento della drammatica sfiducia nella nostra democrazia.
Infine, ricordo alla mia metà del campo che, nonostante il ridimensionamento ed i problemi, il M5S porta nell'alleanza progressista la rappresentanza delle periferie sociali".
 
Come andrà a finire lo sapremo solo vivendo, recitava una noto refrain musicale.

Quel che è certo, chiacchiere a parte, è che abbiamo un bisogno impellente di un governo solido, compatto e di politici con P maiuscola. 

Praticamente una chimera...

Chiara Farigu

martedì 14 giugno 2022

Napoli. Galeotta fu quella ‘scarpetta’ a via Toledo

 A volta basta poco per far riaffiorare un ricordo. Una vecchia foto ritrovata in un cassetto, il ritornello di una canzone, un profumo particolare. E quando si rimette a fuoco quel momento, tassello dopo tassello, l’unico desiderio è riviverlo come fosse la prima volta.

Ed eccomi qui, nuovamente a Napoli,  come tre anni fa, in un momento particolarmente felice della mia vita, grazie a questo scatto salvato nella memoria dello smartphone.
C’eravamo trovati bene e ci siamo tornati in quel ristorante di via Toledo. Nessun indugio sul menù, sapevamo già cosa ordinare. Il panorama tutto intorno era semplicemente stupendo, per la vista, già pregna di bellezza, colori e scenari unici, solo l’imbarazzo della scelta.

Accanto a noi, loro, padre madre e figlio, sicuramente stranieri. Forse tedeschi, ci siamo detti. Una bella coppia, lui sembrava un attore o uno sportivo, visto il fisico atletico. Lei, bionda e longilinea, si guardava attorno e sorrideva. Era chiaro che seduta a quel tavolo ci stava da dio. Il ragazzino si divertiva ad arrotolare (maldestramente) gli spaghetti e più ancora a ‘rubare’ dai piatti dei genitori cozze e vongole per divorarle con voracità.

Il cameriere faceva avanti e indietro con portate di ogni tipo. ‘Lui è un salutista’, ho azzardato, ha ordinato verdure ripassate in padella, al gratin e insalate di ogni tipo. Senza disdegnare fritture arrosti e guazzetti di pesce. Poi, come il più godurioso degli italiani inzuppa il pane nel sughetto del piatto del figlio. E nel farlo incrocia il mio sguardo: ‘scarpetta’, gli dico, mimando il gesto. ‘Scarpetta, good!’, ripete, mentre si alza e mi offre del vino.

Il ghiaccio ormai è rotto e cominciamo a raccontarci, più a gesti che a parole, qualcosa delle nostre vite. Si unisce anche il cameriere che spesso fa da interprete. Sono austriaci e festeggiano a Napoli il loro anniversario di matrimonio, ben 17, dice lui, facendo intendere che sono davvero tanti. ‘Noi trenta in più, ben 47’, gli dico io, certa di suscitare stupore e meraviglia per tanta longevità. E così è stato, infatti. Gli chiedo se è uno sportivo visto che ne ha tutta l’aria e la prestanza. ‘Sono uno chef’ mi dice e allora capisco perché abbia voluto assaggiare di tutto e di più: ‘per rubare qualche ‘segreto’ e farlo suo, gli rispondo.

Una piacevole compagnia. Un valore aggiunto a quella cornice meravigliosamente unica che mi accingevo a lasciare per fare rientro a casa. Al momento dei saluti, baci e abbracci come vecchi amici. E un baciamano come forse mai più nella vita.

Chiara Farigu

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