Il mondo è lontano in questo tratto di spiaggia. Possiamo contarci: un ragazzo che gioca col suo cane, un pescatore in attesa che almeno un pesce abbocchi ed il mio animo tormentato in cerca di pace.
il blog di chiarafarigu
lunedì 27 settembre 2021
Osservo con discrezione (e molta invidia) quell’amore appena sbocciato
mercoledì 22 settembre 2021
Morti sul lavoro: una strage senza fine
Travolti dagli stessi tir che guidano, risucchiati o decapitati dai macchinari che utilizzano, precipitati dalle impalcature che montano, avvelenati da acidi e polveri che respirano: queste e molte altre le cause di quelle che le cronache chiama ‘morti bianche’.
Una strage senza fine.
Solo ieri i morti sul lavoro sono stati sei: due nel Milanese, una nell’hinterland di Torino, una a Capaci, in provincia di Palermo, un’altra nel Padovano, la sesta nel Pisano. Stamattina un’altra vittima. Un operaio è stato investito da un mezzo pesante tra Poggio Imperiale e San Severo, nel Foggiano, mentre lavorava sull ‘autostrada A14, durante la fase di installazione di un cantiere.
Un bilancio terrificante: nei primi 7 mesi del 2021 i morti sono 677 (fonte: il Manifesto). Un trend in continuo aumento, oltre 15.000 le vittime negli ultimi dieci anni.
E quel che è peggio è che si tratta di disgrazie prevedibili che si sarebbero potute evitare. La maggioranza degli infortuni, sostengono i sindacati di settore, sarebbe infatti causata dal mancato rispetto delle norme di sicurezza, dovuta, come raccontano le cronache all’indomani di ogni tragedia, dalla rincorsa da parte delle imprese al risparmio e all’abbattimento dei costi del lavoro.
Imprese che spesso e volentieri si avvalgono di sub-appalti e di personale precario, retribuito il più delle volte in nero, privato di ogni norma e strumento di sicurezza.
Servono leggi severe, maggiori controlli, protocolli di sicurezza che vanno applicati e non solo propagandati. Serve responsabilità, senso del dovere e rispetto delle regole: quante volte abbiamo sentito queste parole dopo ogni disgrazia?
Dinanzi a queste cifre non basta indignarsi. Le ‘morti bianche’, insieme ai femminicidi, costituiscono una priorità di interventi che la politica non può più rimandare. A cominciare dalla prevenzione, dalla formazione e dalla garanzia di tutele fisiche e contrattuali.
Il lavoro deve garantire opportunità e migliorare la vita. Deve assicurare un presente e un futuro.
Non può e non deve darci morti da piangere un giorno sì e l’altro pure. Non più.
Chiara Farigu
Debutto fortunato per ‘I BASTARDI DI PIZZOFALCONE’. La terza serie
Debutto fortunato per I BASTARDI DI PIZZOFALCONE, che ieri 20 settembre ha battuto la concorrenza col 21,8% di share, vale a dire con 4,5 milioni di telespettatori.
La fiction, alla terza stagione, non ha perso lo smalto delle due serie precedenti che anzi, con le intricate storie dei suoi personaggi, magistralmente descritti da Maurizio de Giovanni, continua ad affascinare e a coinvolgere i telespettatori.
A fare da sfondo alle vicende del commissario Lojacono e della squadra dei ‘bastardi fuori ma teneri dentro’, i colori i suoni e le meraviglie di una Napoli senza tempo. Con i problemi di sempre: malavita, corruzione, degrado sociale, e quel calore, quell’umanità che solo la città partenopea sa offrire. A piene mani, a chi è in grado di vedere al di là delle apparenze.
La serie, diretta da Monica Vullo, si compone di sei puntate, in onda ogni lunedi su Rai 1.
Protagonisti ancora una volta Alessandro Gassman affiancato da Carolina Crescentini, nei panni della pm Piras, e lo scalcagnato ‘commissariato’ di Pizzofalcone, la location napoletana scelta dall’autore dove ambientare e risolvere intricate vicende non sempre nel rispetto delle regole.
Sulla etimologia di Pizzofalcone si leggono diverse curiosità. La più accreditata risale al Duecento, quando la collina non faceva parte del tessuto urbano. Il re di Napoli Carlo I d’Angiò decise di praticare in questa zona la caccia al falcone, facendo costruire sulla collina una falconiera per la real caccia di falconi.
E’ però Carlo Celano, storico napoletano, a svelare che il colle in realtà ‘è detto così per l’altezza che ha, essendo che ogni cosa alta a Napoli si diceva Falcone per l’alto volo che fa quest’uccello’.
Curiosità a parte, Pizzofalcone, è una collina molto cara ai partenopei che la serie tv ha ulteriormente contribuito a rendere ancora più famosa e accattivante.
Chiara Farigu
lunedì 20 settembre 2021
Chi vive al mare non può sentirsi solo mai
Sono sola oggi al mare. Eppure non mi sento sola. Lo sciabordio delle onde sbobina ricordi e immagini catturate durante le passeggiate nei lunghi pomeriggi estivi.
Risento gli echi dei bambini che si divertono a costruire castelli di sabbia e la musica degli stabilimenti lasciata andare a tutto volume.
Rivedo gli ambulanti fare la siesta nelle ore più calde e i grattachecche fischiare per annunciare il loro arrivo.
Sugli scogli, immancabili, i pescatori alle prese con le loro esche. Sulla battigia, giovani super tatuati e ragazze strizzate in bichini che non lasciano nulla all’immaginazione. Gli uni e le altre, in cerca di sguardi e di conferme sulla loro avvenenza, vanno su e giù con nonchalance.
Sono sola ma non mi sento sola.
Il salmastro, reso ancora più intenso dal vento, sprigiona profumi meravigliosi, la brezza marina scompiglia capelli e ricordi.
Sono frammenti di un’estate agli sgoccioli tornati a galla prepotenti per essere rivissuti con gli occhi socchiusi.
Due gabbiani beccano qualcosa nell’arenile poi spiccano nuovamente il volo.
Mi avvio in compagnia dei miei pensieri. E comprendo perché chi vive al mare non può sentirsi solo.
Chiara Farigu
#Viverealmare
*Immagine Chiara Farigu
lunedì 6 settembre 2021
Fabio #Aru: l’addio al ciclismo ma non alla bici
Sapevamo del suo addio al professionismo. Lo aveva annunciato alla stampa qualche giorno prima del giro di Spagna: ‘La Vuelta sarà la mia ultima corsa. Ora è giunto il momento di dare la priorità ad altre cose. A cominciare dalla mia famiglia’.
Così è stato. Da oggi Fabio Aru, il #cavalieredeiquattromori, come veniva affettuosamente chiamato dai suoi tifosi, è ufficialmente un ex ciclista.
Un addio sofferto ma fortemente voluto. Che giunge dopo quattro anni di stallo dovuti ad una condizione fisica non proprio ottimale.
Nel 2019 si sottopone ad un delicato intervento di angioplastica all’arteria iliaca della gamba sinistra per risolvere un’ostruzione che impediva un adeguato afflusso sanguigno durante il massimo sforzo. Ostruzione che comporta un calo di prestazione proprio quando era più necessaria.
L’intervento ha lasciato non pochi strascichi.
A cominciare da una lunga convalescenza e parecchi mesi di sospensione dalle gare. Riprese solo molto tempo dopo grazie ad estenuanti allenamenti e una granitica determinazione che non è venuta mai meno.
Dopo sedici anni dedicati al ciclismo e a soli 31 anni il corridore sardo dice addio al professionismo ma non alla sua amata due ruote. Passione che ha maturato molto presto, a soli tre anni, come mi raccontò sua nonna Lina durante una nostra chiacchierata, quando Fabio faceva sognare l’intera #Sardegna con le sue epiche imprese.
A tre anni ebbe in dono dai nonni un triciclo. Fu amore a prima vista. Mai più sostituito da nessun altro. Con qualche variante ma sempre una due ruote. E in continua evoluzione: dal triciclo con rotelle alla prima bici, dalla mountain bike alla bici da corsa. Una passione, un amore incondizionato. Perseguito, rincorso voluto. Con ogni mezzo e a costo di qualsiasi sacrificio. Un amore ricambiato.
Che lo ha visto trionfare prima da dilettante poi da professionista.
La vittoria più importante la Vuelta nel 2015: ‘E’ bello chiudere la mia carriera nel paese che mi ha regalato la mia gioia più grande’- ha twittato Fabio- da quel 5 maggio 2015 sono stato immerso in un sogno e ho viaggiato a 1000 all’ora; non rimpiango niente, anzi rifarei tutto, e con l’esperienza che ho adesso lo farei ancora meglio’.
Al suo attivo una tappa al Tour de France, tre al Giro d’Italia, due alla Vuelta, il titolo nazionale nel 2017, altri due podi al Giro d’Italia. E’ stato il primo sardo, e quarto italiano assoluto dopo Felice Gimondi, Francesco Moser e Vincenzo Nibali, ad aver indossato la maglia rosa, la gialla del Tour e la rossa della Vuelta.
Una carriera breve ma folgorante soprattutto al suo avvio, poi i suoi problemi fisici, il delicato intervento e il lento declino sino all’addio al professionismo.
Una carriera che è stato un vanto e uno scatto d’orgoglio per i villacidresi e i sardi tutti che hanno visto in lui una dimostrazione di forza, determinazione e spirito di rivalsa nei confronti di una terra spesso bistrattata per quanto unica e bellissima. ‘Aru è andato oltre lo sport: ha catapultato la Sardegna in un palcoscenico di assoluta caratura dove nessuno era mai arrivato’, scrive un cronista de l’Unione Sarda.
‘Mi fa strano sapere che non gareggerà più, è una sensazione difficile da spiegare’, commenta il fratello Matteo e suo primo grande tifoso.
‘Ha fatto tanto e ha dato tanto. E’ stato un esempio, la dimostrazione che nonostante le enormi difficoltà con cui si trovano a fare i conti i ragazzi che vivono in un’Isola, è possibile fare grandi cose. Spero rimanga nell’ambiente del ciclismo e trasmetta la sua esperienza ai più giovani’, commenta così l’addio alle gare un altro ex ciclista sardo, Pinotto Picciau.
Di certo si sa solo che Fabio ora sente il bisogno impellente di vivere questo ritiro nel calore della sua famiglia. Per ritrovarsi come uomo come marito e come padre.
Il futuro è una pagina bianca, tutta da scrivere.
Dove la sua amata due ruote occuperà sempre un posto speciale.
Buon vento, #Fabio
Chiara Farigu
#cavalieredeiquattromori #Aru #Sardegna #Fabio
*Immagine Ansa
venerdì 6 agosto 2021
#Tokio2020. Il 10° oro profuma di Sardegna: Filippo #Tortu trascina l’Italia nella storica staffetta 4×100
Ci ha impiegato qualche frazione di secondo per capire di aver tagliato il traguardo per primo. E quando ha realizzato che il suo sprint finale, nella staffetta 4×100, valeva la 10^ medaglia d’oro per l’Italia, Filippo #Tortu è scoppiato in lacrime.
Un pianto liberatorio che lo ha ripagato della delusione di qualche giorno prima quando è stato eliminato nella semifinale dei 100 metri, con i 200, la sua specialità. Quella che lo aveva catapultato ufficialmente nella leggenda dell’atletica quando al meeting di Madrid del 2018 riuscì, primo tra gli italiani e terzo atleta bianco di sempre a correre i 100 metri sotto i 10 secondi (9”99).
La sua finale l’ha vinta oggi Filippo, trascinando i suoi compagni di squadra, Lorenzo Patta (il più giovane dei 4, sardo doc di Oristano), Marcell Jacobs ed Eseosa Desalu in una staffetta che resterà nella storia, chiudendo in 37”50, davanti alla Gran Bretagna, battuta per un solo secondo, e al Canada.
Pippo, come viene affettuosamente chiamato in famiglia è milanese di nascita ma fiero delle sue origini sarde che ha ereditato dal babbo Salvino, originario di Tempio Pausania, a sua volta velocista di un certo prestigio, che gli ha trasmesso l’amore per l’atletica e la fierezza di appartenere alla ‘madre-terra’.
“Mi sento un sardo a tutti gli effetti”, ebbe a dire Pippo durante un’intervista. “Un sardo tiene sempre alla propria terra, sempre e ovunque, io non mi sono mai sentito lombardo, con grande dispiacere di mia madre che prima o poi dovrà farsene una ragione”.
Già, la mamma. Incontrata da Salvino a Roma, ai tempi dell’Università. Un amore nato tra i libri sfociato poi nel matrimonio e la decisione di mettere casa a Carate Brianza, alle porte di Milano. Nella terrazza, in vaso, alcune piante autoctone sarde, per respirare i profumi dell’isola durante tutto l’anno.
I quattro mori nel Dna, come l’atletica che Filippo ha iniziato a praticare a 8 anni, nella Polisportiva Besanese. Nel 2010 si aggiudica il titolo di ragazzo più veloce di Milano, frequentava le scuole medie, ma quella vittoria gli indica la strada: l’atletica sarà la sua ragione di vita.
Allenato da papà Salvino, gli anni a venire saranno pregni di soddisfazioni per il giovane campione: vittorie su vittorie ma anche qualche inciampo. Traumatico quello delle Olimpiadi giovanili, durante le batterie dei 200 metri, quando cadde sulla linea d’arrivo, rompendosi entrambe le braccia e non potendo disputare la finale.
Un infortunio che avrebbe messo ko qualsiasi sportivo. Non lui. Non Pippo Tortu che aveva un sogno da realizzare: battere il record della Freccia del Sud, il mitico Mennea.
Impresa poi realizzata alla grande, con babbo Salvino al suo fianco, sempre.
Oggi la gioia più grande: l’oro. Con i suoi compagni di squadra. ‘Quando ho letto Italia sul tabellone non ci ho capito più niente’, ha commentato a caldo con gli occhi ancora lucidi di pianto e le mani tra i capelli.
Per l’Italia è il 10° oro. E cinque arrivano dall’atletica, la regina delle discipline olimpiche. 38 le medaglie complessive vinte in questa #Olimpiade che sembrava non volesse decollare per il nostro Paese.
‘Non svegliateci mai più, non è possibile: siamo in cima al mondo’, commenta sul suo profilo facebook…
E non è ancora finita. Ad attenderlo ora la gara dei 200 metri. Chissà…
#Tortu #Olimpiade
Chiara Farigu
*Immagini tratte dal web
mercoledì 4 agosto 2021
4 Agosto2014: quel pasticciaccio chiamato #quota96scuola. Per non dimenticare
Torna puntuale, come ogni anno, il racconto di uno dei tanti tradimenti della politica italiana verso i suoi cittadini. Nella fattispecie verso 4000 insegnanti noti all’epoca come ‘Docenti Quota96’.
Tradimento, se non il più grave, di certo il più meschino. Perché voluto e scientemente reiterato.
Esattamente sette anni fa. Ero in Sardegna. Preparavo le valigie per far rientro a casa dopo un breve periodo di vacanza. Ero felice perché stava per finire la mia ‘prigionia lavorativa’.
In #Senato si stava votando l’approvazione del decreto Madia relativo alla Pubblica Amministrazione al cui interno era stato inserito l’emendamento “Quota96” atto a risolvere l’ingiusta vicenda venutasi a creatare con la riforma previdenziale Fornero che di fatto bloccava la messa in quiescenza di circa 4000 docenti aventi diritto.
Lo stesso provvedimento che cinque giorni prima era stato approvato alla #Camera, all’unanimità.
Era quel che si dice ‘cosa fatta’, ‘l’errore fornero’ dopo essere stato riconosciuto come tale, veniva finalmente emendato, sanato. Definitivamente corretto.
Non andò così.
Dopo ore di spasmodica attesa nel primo pomeriggio mi giunge un messaggio che non avrei mai voluto ricevere. In Senato, per mano e per voce della ministra Madia, il governo, con un emendamento soppressivo, stralciava dal decreto quanto era stato approvato qualche giorno prima alla Camera. Ripeto, all’unanimità.
*Immagine emendamento soppressivo firmato Madia
E’ stata, che io ricordi, la prima e unica volta nella storia d’Italia che un’intera Camera approvasse all’unanimità un emendamento e si rimangiasse il voto dopo pochi giorni con il secondo passaggio dopo la modifica del Senato.
Una vergogna immensa per i quota96 e per il Parlamento.
Una retromarcia inaccettabile. Il governo che sconfessava se stesso. E sempre con la medesima e pretestuosa motivazione che fa fatto da refrain negli anni precedenti: mancanza di copertura finanziaria. Niente bollinatura del Mef.
La verità era però un’altra. E noi, quotisti gabbati dal governo, la conosciamo molto bene.
Ci fu allora un vero e proprio regolamento di conti tra l’allora presidente della Commissione Bilancio Francesco Boccia (che approvò le risorse necessarie a copertura del provvedimento) ed il PdC, Renzi, che di fatto si sentì sfidato.
A farne le spese 4.000 disgraziati più le rispettive famiglie, che dopo aver vissuto per cinque giorni in paradiso, vennero nuovamente catapultati tra le fiamme dell’inferno.
C’è da dire, a onor del vero, che il carico da 90, oltre a Cottarelli, lo mise pure Tito Boeri con diversi articoli su La Repubblica, coi quali dipingeva gli insegnanti come una categoria di privilegiati, sottolineando a ogni piè sospinto che la riforma fornero non ‘s’ha da toccare’. Una crociata la sua che lo porterà dritto dritto a ricoprire la carica di presidente dell’Inps.
Quel 4 agosto il nostro diritto acquisito si trasformò, tout court, e per volere di #MatteoRenzi in ‘aspettativa di un diritto’. Le nostre speranze, di colpo, finite. Volatilizzate. Una pugnalata in mezzo al cuore sarebbe stata meno dolorosa.
Quel giorno ho pianto tutte le mie lacrime. Un pianto irrefrenabile, convulso, a singhiozzi. Il mio cellulare squillava all’impazzata.
Improvvisamente mi cercavano tutti. Giornalisti, tivù da me rincorsi a vuoto per due anni, chiedevano un commento a caldo su questo assurdo dietrofront del governo. Ricordo di aver risposto, ancora col groppo in gola, ad una giornalista dell’ Huffington Post e al caporedattore della trasmissione Agorà che mi voleva in studio per la diretta del giorno dopo. Ci andò la mia amica Marta, io avevo il traghetto da prendere.
Indimenticabile quella traversata.
Ho continuato a imprecare, a piangere, a dare pugni sulla parete della cabina fino allo sfinimento.
Mio marito era seriamente preoccupato per me e per la mia salute e malediceva gli autori di tanta sofferenza.
Son passati sette anni da allora. Il dolore si è attenuato, certo, ma non dimentico.
Non voglio dimenticare.
Ricordare questa vergogna del governo Renzi è diventato per me un dovere, un impegno al quale non voglio rinunciare.
Denuncio come e quando posso quel governo che non ha saputo né voluto onorare gli impegni presi. La scuola, e quindi gli insegnanti, ancora una volta venivano trattati come l’ultima ruota del carrozzone P.A. Sebbene la narrativa politica si affannasse a sostenere che fosse la priorità.
Quel che accadde quel 4 agosto fu solo un assaggio del successivo “trattamento ” riservato dalla politica alla classe docente più vecchia e meno remunerata d’Europa. Ancora una volta si capì perfettamente quale fosse la concezione per la scuola ed il rispetto che nutriva per gli insegnanti.
Avvisaglie chiare e pericolose sin d’allora che poi si sono concretizzate con la #buonascuola, buona sóla per noi che l’abbiamo e la dovremo subire.
Noi Q96 abbiamo combattuto con coraggio e con la forza che ci veniva dalla giustezza della battaglia. Non abbiamo niente da rimproverarci.
Abbiamo lottato con onore.
E stavamo vincendo. A ricacciarci indietro quella la pugnalata alle spalle, a tradimento.
Noi abbiamo conservato intatto l’onore, il #governo no.
No, non voglio dimenticare. E come me i miei 4000 compagni di lotta.
4 agosto 2021
#quota96scuola #Senato #governo
lunedì 26 luglio 2021
Sardegna tra roghi e solidarietà. ‘Abbiamo perso tutto, ci rimboccheremo le maniche. Come abbiamo sempre fatto’
Oltre 20mila ettari di territorio andati in fumo, 1500 le persone sfollate, 7 i canadair della Protezione Civile italiana +4 arrivati dalla Francia (attesi in giornata altri 2 dalla Grecia), impegnati nello spegnimento via cielo, 10 le squadre in azione via terra tra vigili del fuoco e volontari: questi i numeri che raccontano la tragedia che sta vivendo la #Sardegna avvolta da uno degli #incendi più devastanti e distruttivi della storia.
Incalcolabili invece i danni alla flora e alla fauna, solo tra qualche giorno si riuscirà ad avere una visione più chiara e si potrà azzardare una stima economica per iniziare la ripartenza.
La previsione, se tutto andrà bene, vale a dire se verranno stanziate risorse proporzionate ai danni subiti e messe in campo politiche di vera prevenzione (gli incendi in terra sarda non sono una calamità quanto una costante di ogni estate), per ricostruire boschi, frutteti, aziende agricole, allevamenti, terrificanti le immagini degli ovini arsi vivi, è di almeno 15 anni, azzardano gli esperti.
Numeri da capogiro. Un’intera provincia, l’oristanese completamente in fiamme. Col maestrale che spinge il fuoco nei territori adiacenti.
L’allarme continua anche nella giornata odierna.
La popolazione è sgomenta. Già fiaccata da una crisi senza precedenti che in Sardegna morde più che altrove al punto da essere collocata sempre in pole position per numero di disoccupati e borghi in via di spopolamento da ogni report statistico messo in campo, ora è veramente in ginocchio. ‘Abbiamo perso tutto -raccontano davanti ai microfoni- ci rimboccheremo le maniche, come abbiamo sempre fatto. Siamo abituati a combattere, lo faremo anche stavolta’.
Intanto è partita da subito la gara di #solidarietà che sta investendo tutta l’isola. Come tre anni fa durante la protesta del latte. Quando i pastori stanchi di subire prezzi irrisori, insufficienti persino a coprire le spese, decisero di sversare il latte per le strade.
C’era tutta la Sardegna a manifestare solidarietà ad una categoria che è la forza trainante dell’economia dell’isola.
Oggi come allora e come tante altre volte si fa ricorso all’arcaico istituito de #SaParadura. L’arte antica di colmare i vuoti, usanza cara ai pastori sardi (e poi per estensione all’intera popolazione) che prevede un sostegno “in natura” ai colleghi che per avversità naturali si trovano in difficoltà ed hanno necessità di rimettersi in sesto, o in pari per riprendere l’attività come prima.
Gli allevatori isolani in fatto di avversità sono dei veri maestri.
Alle prese coi nemici di sempre, attacchi da animali predatori, furto di bestiame, alluvioni e incendi, ma sempre pronti a venire incontro a chi queste avversità le subisce.
Un codice non scritto ma ampiamente praticato in virtù del fatto che le azioni contano più delle parole.
Gli appelli ieri porta a porta, oggi via #social sono stanno trovando risposte anche nel resto d’Italia che da subito ha espresso solidarietà alla Sardegna tutta.
E mentre la politica è alle prese col da farsi proclamando lo stato di ‘calamità naturale’ , ‘si destinino risorse del PNRR alla riforestazione’, chiede Solinas, la popolazione si domanda perché ancora una volta nulla sia stato fatto in termini di prevenzione.
‘Smettiamola di dare la colpa alle temperature roventi di questi giorni che certo non aiutano o ai cambiamenti climatici. C’è sempre la mano dell’uomo dietro a ogni incendio… altro che calamità naturale. Qui di naturale non c’è niente’, denunciamo molti sui social.
Difficile non concordare. Quando poi leggi che poche ore fa un incendio ha coinvolto lo splendido resort di Santa Margherita di Pula in cui sono state girate le riprese di “Temptation Island” causando ingenti danni.
E la storia si ripete, ancora una volta.
#sardegna #indendi #solidarietà #saparadura
Chiara Farigu
*Immagine Viagginews.it
domenica 25 luglio 2021
25 luglio: giornata mondiale dei nonni e degli anziani. Papa Francesco: ‘non dimentichiamoci di loro’
Custodi di memoria, di tradizioni e valori. Dispensatori di saggezza, anello di congiunzione tra generazioni, ponte tra passato e presente per affrontare con maggior consapevolezza il futuro.
Sono loro, i nostri anziani. I nostri nonni.
Un tempo querce della società, oggi fragili fuscelli quando non un peso perché ‘non più indispensabili allo sforzo produttivo del Paese”. Pertanto sacrificabili. Come abbiamo tristemente constatato in un anno e passa di pandemia. Sono stati loro a pagare il prezzo più alto in termini di decessi, di non accesso alle cure mediche e troppo spesso di indifferenza.
Eppure senza di loro quella ‘società produttrice’ che scalpita a dispetto di tutto e tutti andrebbe a fondo. Sono il miglior e più affidabile welfare familiare per figli e nipoti, babysitter a tempo pieno, autori di sogni profetici di questi ultimi. Non a caso Vito Dell’Aquila medaglia d’oro a Tokio di taekwondo, ha dedicato la vittoria al nonno, scomparso un mese fa perché ‘era certo che avrei vinto. Mi manca tantissimo’.
I nonni. Così preziosi eppure ‘tante, troppe volte, sono dimenticati’, ha detto Papa Francesco durante l’omelia della messa de ‘LA GIORNATA MONDIALE DEI NONNI E DEGLI ANZIANI’, giornata fortemente voluta dal Pontefice che la Chiesa festeggia oggi 25 luglio e negli anni prossimi si celebrerà nella quarta settimana di luglio. E’ grave dimenticarli o abbandonarli quando hanno più bisogno di amore e cure, è un male per tutta la società, ha aggiunto Bergoglio ‘non sono degli avanzi di vita, degli scarti da buttare’.
Ripropongo oggi quanto ho scritto tempo addietro, ricordando il mio nonno speciale
Come tutti i bambini anche io ho avuto i miei nonni. Quello materno è stato davvero speciale. Almeno io l’ho vissuto come tale. A cominciare dal suo nome, Federico Barbarossa.
Lo ricordo perfettamente. Baffetti alla Hitler come si usava allora, basco sulla testa per coprire la calvizie anteriore, artigiano a tutto tondo. Calzolaio, nello specifico.
Ai suoi tempi il calzolaio non si limitava a risuolare, sostituire tacchi o ricucire qualche strappo.
Lui le faceva le scarpe, nel vero senso del termine. Da cima a fondo. Scarponi per il lavoro nei campi, scarpe per la casa, per uomo donna e bambini, scarpe eleganti per cerimonia.
La ricordo molto bene la sua bottega, nel cortile della sua casa.
Sulle pareti suole di tutte le misure, tomaie, spago e fili per cucire. E quel banco, al centro, pieno zeppo di attrezzi. Lesine, aghi, punteruoli, martelli, trincetti, raspe, vernici, colle e il piede di ferro sul quale battere, provare, mettere in forma le scarpe da costruire ex novo, da allargare o da sistemare, ancora una volta.
La società del consumismo, dell’usa e getta, non aveva ancora fatto capolino, disfarsi di un paio di scarpe era fuori da ogni immaginazione, allora.
La sua bottega, un luogo di incontro. Per fare quattro chiacchiere, farsi leggere o scrivere la lettera di un figlio partito per fare il militare, chiedere informazioni di ogni tipo.
E chi non poteva pagare, pagava in natura. Coi prodotti dell’orto o animali da allevamento.
Lo ricordo intento a lavorare nella sua bottega.
Mi insegnava i nomi degli attrezzi in italiano e in sardo e rideva quando ne sbagliavo la pronuncia o non ricordavo a cosa servissero.
Si divertiva a inventare storie. Le sue scarpe erano appartenute a principesse regine e principi azzurri. Uno dei quali sarebbe venuto un giorno a chiedere in sposa la sua nipotina, me, che negli ultimi tempi chiamava ‘Mercedina’, il diminutivo di Mercedes, mia madre.
Ricordo la sua mano. Calda e forte quando stringeva la mia.
Sì. E’ stato davvero un nonno speciale.
Il mio pensiero ieri, oggi e ancora domani è per lui. Ovunque egli sia
#papafrancesco #nonni
Chiara Farigu
giovedì 22 luglio 2021
Scuola: riaprire in sicurezza. Vaccinazione unica soluzione?
È il mantra di questi ultimi mesi: #riapriretutto MA in #sicurezza. In quel MA c’è tutto, o meglio niente, se poi parliamo di scuola.
Perché a parte il rinnovo di qualche arredo scolastico, come i chiacchieratissimi banchi monoposto, nulla è stato fatto.
I docenti continuano ad essere i più vecchi e i meno remunerati d’Europa, chi era ‘precario’ continuerà ad esserlo, ogni speranza di assunzione/stabilizzazione si è sciolta come neve al sole.
Le classi ‘pollaio’ non saranno più tali tra 10/15 anni in virtù della denatalità, spiegano gli analisti del settore, quindi perché sprecare tempo e risorse per anticipare un fenomeno che sarà fisiologico? La messa in sicurezza di migliaia di edifici fatiscenti, ormai è chiaro a tutti, è e rimane una chimera.
In quanto all’efficientamento dei trasporti pubblici, da dove tutto dovrebbe cominciare, è solo una questione semantica.
Cambiamo i governi, si alternano i ministri, ma, alla fine della fiera, la scuola rimane l’ultima ruota del carro della P.A.
Una palla al piede. Sebbene nell’agenda politica di qualunque schieramento, di maggioranza o di opposizione, venga inserita come priorità.
Non fa eccezione neppure il cosiddetto #governodeimigliori.
Che da quando si è insediato, ormai da cinque mesi, predica bene ma razzola male. E quel che è peggio, sulla riapertura, ancora oggi, è nebbia fitta. Un giorno sì e l’altro pure, il politico di turno rilascia dichiarazioni seguendo l’onda del momento, o più precisamente, del consenso.
Ma guarda caso è sempre concorde quando c’è da puntare il dito davanti ai risultati negativi di qualche studio o statistica che la riguardi.
Gli studenti italiani riscontrano difficoltà nella comprensione di un testo o negli esercizi di matematica? E’ colpa degli insegnanti che non li preparano adeguatamente. Ed è colpa della Dad se, ai dati già preoccupanti degli anni scorsi, c’è stato un ulteriore peggioramento.
Poco importa se la Didattica a Distanza è stata uno strumento emergenziale (ma di fondamentale importanza), messo in atto dai docenti che doveva consentire, per un breve lasso di tempo, di mantenere vivo quel legame umano oltre che formativo con gli studenti in balia di se stessi nel pieno della pandemia. E ancor meno importa che a farsi carico di un lavoro straordinario, senza limiti di orario e senza alcun ritorno economico, siano stati i docenti.
E a nulla vale che le discutibili e costosissime prove Invalsi siano standardizzate e pertanto lontane anni luce dalle didattiche ‘personalizzate’ che invece devono tener conto di modalità e tempi di apprendimento di ciascun alunno/studente.
Più semplice e sbrigativo è puntare il dito sui docenti o sulla didattica da remoto se le carenze formative si dilatano e la dispersione scolastica aumenta. Piuttosto complicato, e soprattutto costoso, è intervenire sui tanti provvedimenti che da almeno tre decenni stanno smantellando la scuola pubblica.
Non farà eccezione neanche la #riaperturainsicurezza del prossimo anno scolastico, spina nel fianco in questo periodo periodo di politici e tecnici e con settembre alle porte.
Puntare sul provvedimento più semplice e sbrigativo e naturalmente meno costoso, ovvero la vaccinazione per tutti, docenti studenti e personale Ata, sembra l’opzione più accreditata.
E, purtroppo, anche l’unica.
Con l’obbligo per i primi. Come vorrebbe il disegno di legge presentato ieri dalla senatrice di FI, Licia Ronzulli, presidente della Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza, che chiama in causa il Governo e invoca il coinvolgimento dei ministri, in particolare quello all’Istruzione Patrizio Bianchi, affinché venga approvato in un arco di tempo brevissimo. Il docente che non si vaccina o non ha completato l’iter vaccinale, sarà sospeso dal servizio e non potrà essere impiegato in altre mansioni, come le biblioteche. Nè percepirà alcuna retribuzione, recita il ddl su citato. Previste deroghe solo in caso di patologie che sconsigliano la vaccinazione.
Le polemiche, manco a dirlo, impazzano tra chi è a favore e chi da sempre è contrario a qualsiasi forma di obbligatorietà.
Vaccinazione, dunque. Fortemente raccomandata, sarebbe questo l’orientamento del CtS, o resa obbligatoria, se il ddl a firma Ronzulli venisse convertito in legge, è la via maestra al vaglio del governo. La sola ed unica soluzione per una #riaperturainsicurezza.
Con buona pace di quel che sarebbe potuto essere, ovvero una straordinaria opportunità per un radicale rinnovamento della più importante agenzia di formazione.
Un’occasione persa. L’ennesima.
#scuola #riaprireinsicurezza
Chiara Farigu
La nonna paterna? Una nonna a metà (con poche eccezioni)
Essere nonne è un dono meraviglioso che la vita riserva a chi ha avuto la gioia di essere prima mamma. E’ come diventare madri una seconda...
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L’ otto giugno dello scorso anno Grazianeddu, ex Primula Rossa del banditismo sardo, veniva rimesso in libertà . Do...
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Ricorre oggi il dodicesimo anniversario di quel terribile sisma che mise in ginocchio L’Aquila. Erano le 3,32 del 6 aprile 2009 quando un...