Custodi di memoria, di tradizioni e valori. Dispensatori di saggezza, anello di congiunzione tra generazioni, ponte tra passato e presente per affrontare con maggior consapevolezza il futuro.
Sono loro, i nostri anziani. I nostri nonni.
Un tempo querce della società, oggi fragili fuscelli quando non un peso perché ‘non più indispensabili allo sforzo produttivo del Paese”. Pertanto sacrificabili. Come abbiamo tristemente constatato in un anno e passa di pandemia. Sono stati loro a pagare il prezzo più alto in termini di decessi, di non accesso alle cure mediche e troppo spesso di indifferenza.
Eppure senza di loro quella ‘società produttrice’ che scalpita a dispetto di tutto e tutti andrebbe a fondo. Sono il miglior e più affidabile welfare familiare per figli e nipoti, babysitter a tempo pieno, autori di sogni profetici di questi ultimi. Non a caso Vito Dell’Aquila medaglia d’oro a Tokio di taekwondo, ha dedicato la vittoria al nonno, scomparso un mese fa perché ‘era certo che avrei vinto. Mi manca tantissimo’.
I nonni. Così preziosi eppure ‘tante, troppe volte, sono dimenticati’, ha detto Papa Francesco durante l’omelia della messa de ‘LA GIORNATA MONDIALE DEI NONNI E DEGLI ANZIANI’, giornata fortemente voluta dal Pontefice che la Chiesa festeggia oggi 25 luglio e negli anni prossimi si celebrerà nella quarta settimana di luglio. E’ grave dimenticarli o abbandonarli quando hanno più bisogno di amore e cure, è un male per tutta la società, ha aggiunto Bergoglio ‘non sono degli avanzi di vita, degli scarti da buttare’.
Ripropongo oggi quanto ho scritto tempo addietro, ricordando il mio nonno speciale
Come tutti i bambini anche io ho avuto i miei nonni. Quello materno è stato davvero speciale. Almeno io l’ho vissuto come tale. A cominciare dal suo nome, Federico Barbarossa.
Lo ricordo perfettamente. Baffetti alla Hitler come si usava allora, basco sulla testa per coprire la calvizie anteriore, artigiano a tutto tondo. Calzolaio, nello specifico.
Ai suoi tempi il calzolaio non si limitava a risuolare, sostituire tacchi o ricucire qualche strappo.
Lui le faceva le scarpe, nel vero senso del termine. Da cima a fondo. Scarponi per il lavoro nei campi, scarpe per la casa, per uomo donna e bambini, scarpe eleganti per cerimonia.
La ricordo molto bene la sua bottega, nel cortile della sua casa.
Sulle pareti suole di tutte le misure, tomaie, spago e fili per cucire. E quel banco, al centro, pieno zeppo di attrezzi. Lesine, aghi, punteruoli, martelli, trincetti, raspe, vernici, colle e il piede di ferro sul quale battere, provare, mettere in forma le scarpe da costruire ex novo, da allargare o da sistemare, ancora una volta.
La società del consumismo, dell’usa e getta, non aveva ancora fatto capolino, disfarsi di un paio di scarpe era fuori da ogni immaginazione, allora.
La sua bottega, un luogo di incontro. Per fare quattro chiacchiere, farsi leggere o scrivere la lettera di un figlio partito per fare il militare, chiedere informazioni di ogni tipo.
E chi non poteva pagare, pagava in natura. Coi prodotti dell’orto o animali da allevamento.
Lo ricordo intento a lavorare nella sua bottega.
Mi insegnava i nomi degli attrezzi in italiano e in sardo e rideva quando ne sbagliavo la pronuncia o non ricordavo a cosa servissero.
Si divertiva a inventare storie. Le sue scarpe erano appartenute a principesse regine e principi azzurri. Uno dei quali sarebbe venuto un giorno a chiedere in sposa la sua nipotina, me, che negli ultimi tempi chiamava ‘Mercedina’, il diminutivo di Mercedes, mia madre.
Ricordo la sua mano. Calda e forte quando stringeva la mia.
Sì. E’ stato davvero un nonno speciale.
Il mio pensiero ieri, oggi e ancora domani è per lui. Ovunque egli sia
#papafrancesco #nonni
Chiara Farigu
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