il blog di chiarafarigu

giovedì 15 aprile 2021

Formigoni ultimo atto: ritorna il vitalizio. Oltre il danno la beffa

 Siamo arrivati ad un nuovo e, al momento, ultimo atto nella vicenda Formigoni: la Commissione Contenziosa del Senato ha annullato la delibera, istituita nel 2015 dall’allora presidente Pietro Grasso, che prevedeva la sospensione del vitalizio in base alle sue condanne accogliendo il ricorso dell’ex governatore. E com’era prevedibile, sui social, e non solo, infuria la polemica poiché al danno si aggiunge la beffa.

Per comprendere la più che motivata indignazione di chi sostiene che ancora una volta ‘la casta’,   riabilitando corrotti e condannati, non fa altro che proteggere se stessa, occorre fare un passo indietro e tornare al 21 febbraio del 2019. Giorno della sua condanna definitiva.

“Mi hanno condannato al rogo e alla damnatio memoriae”, commentò il Celeste quando la Cassazione confermò la condanna d’Appello e gli aprì le porte del carcere.

Per lui, Roberto Formigoni, l’ex numero uno del Pirellone, che si era sempre professato innocente nel processo Maugeri, fu un duro colpo. Roba da “fantascienza”. Per i giudici, tutti, dal primo grado e poi in Appello nessuna incertezza: ‘Corrotto e spregiudicato’, scrissero nella motivazione di condanna, “con capacità a delinquere altissima”. In sintesi, Formigoni, secondo i togati aveva favorito sistematicamente le due aziende leader della sanità privata, causando un “danno enorme” alla sanità pubblica, prosciugando risorse regionali per oltre 70 milioni di euro e depredando le stesse aziende private.

Ricevendone in cambio vantaggi e benefit di ogni genere.

Accuse di corruzione confermate poi in Cassazione anche se con una riduzione di pena (poiché alcune erano cadute in prescrizione) rispetto all’Appello: 5 anni e 10 mesi di carcere. Oltre alla confisca dei beni per un valore di sei milioni e mezzo e il blocco della pensione da parte della Corte dei Conti. Nessun vitalizio, per l’ex senatore, pena questa già comminata in Appello.

Quel giorno, il 21 febbraio del 2019,  cala il sipario su una vicenda intricata durata parecchi anni. Il giorno dopo di primo mattino si costituisce spontaneamente. L’immagine del Celeste che varca i cancelli del carcere di Bollate in pochi minuti diventa virale. Lui, noto alle cronache per il look stravagante e per lo stile di vita da nababbo, costretto ad inventarsi una nuova quotidianità. Fatta di rinunce e consumata in spazi delimitati. Alla bella età di 71 anni per 5 anni e 10 mesi. Un’eternità per l’ex pluri-governatore lombardo, ex senatore ed ex di tante presidenze ed incarichi rivestiti nella sua lunga carriera politica iniziata che era poco più che ventenne.

Il 22 luglio del 2019 un nuovo atto: il Tribunale di sorveglianza accoglie la richiesta inoltrata dai legali di scontare la pena ai domiciliari: ‘Ha compreso gli sbagli’, motivano i giudici.

Così Formigoni, dopo appena cinque mesi, varca nuovamente le porte del carcere ma in senso opposto: verso casa. Verso la libertà.  A rendere possibile tutto ciò il fatto che per la prima volta, dopo ben sette anni, avesse ammesso le proprie responsabilità: ‘comprendo il disvalore dei miei comportamenti’.

Un ‘mea culpa’ che seppur tardivo lo  riportò fuori dal carcere. Dove continua a scontare la sua pena mitigata da mura e compagnie amiche.

Oggi un nuovo atto: il ripristino di un ‘diritto’,  perché nessuno può essere condannato a morire di stenti, replica il Celeste a chi giudica una ‘vergogna inaudita’ l’accoglimento del suo ricorso.

Un precedente pericoloso. Uno schiaffo in pieno volto a quanti, in quest’anno di pandemia hanno perso il lavoro o tenuto chiuse le loro attività e aspettano i cosiddetti ristori che tardano ad arrivare. Briciole, rispetto alle perdite subite.  Per tanti la quasi certezza di non poter più rialzare la loro saracinesca.  Mentre, udite udite, all’ex governatore, per far fronte alla sua ‘indigenza’ verranno corrisposti 7000 euro mensili oltre a tutti gli arretrati. La beffa oltre il danno, appunto.

 ‘Chiedere al potere di riformare il potere, che ingenuità’, scriveva il filosofo Giordano Bruno nel secolo del Rinascimento. Quant’è dannatamente attuale il suo pensiero!

Davvero non si poteva fare diversamente?

Chiara Farigu

By Bruno Cordioli - Flickr: IMG_9741, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=21163066

*Immagine Commons Wikimedia

lunedì 12 aprile 2021

‘La compagnia del cigno 2’: musica, talento, amicizia, gli ingredienti del suo successo

 Oltre 4  milioni di telespettatori hanno tenuto a battesimo “La compagnia del cigno2 ”,  fiction di grande successo fin dalla prima stagione andata in onda poco più di due anni fa, con Anna Valle e Alessio Boni che sostiene di aver ammorbidito, in questa serie, certe spigolosità del carattere pur mantenendo un certo piglio.

Musica, talento e amicizia, gli ingredienti che faranno da collante alle sei puntate ideate e dirette da Ivan Cotroneo. Sullo sfondo le vicende di Matteo, Sara, Barbara, Domenico, Robbo, Sofia, Rosario, i sette ragazzi che si barcamenano con i propri  tormenti,  le proprie fragilità e la passione per la musica che continua a fare da amalgama alla loro amicizia.

Un legame fortissimo il loro, divenuto tale grazie al temutissimo Maestro Marioni, soprannominato ‘il bastardo’ per via del suo temperamento intransigente,  collerico e severo all’inverosimile, che intravedendo il loro talento, li obbliga a formare un gruppo affinché le loro voci, tutte bellissime ma individuali, possano fondersi e andare all’unisono. ‘La compagnia del cigno’, in onore di Giuseppe Verdi, che era soprannominato il Cigno di Bussetto, è il nome che decidono di dare alla loro chat utilizzata per programmare i loro incontri e le  strategie d’azione.

I giovani musicisti, alle soglie dell’ingresso nel mondo accademico del Conservatorio in questa nuova stagione dovranno fare i conti anche con la competitività che giocoforza si farà alquanto serrata.

A turbare gli equilibri preesistenti sarà l’arrivo di un nuovo Maestro, Teoman Kayà, vecchio amico di Marioni e sua moglie Irene, divenuto un direttore d’orchestra di fama internazionale, che avrà l’onore di dirigere l’orchestra messa su dal ‘bastardo’ ma anche l’ingrato compito di riaprire vecchie ferire.

Domenica prossima la seconda imperdibile puntata.

Chiara Farigu

venerdì 9 aprile 2021

GB in lutto: Addio al principe Filippo. A giugno avrebbe compiuto 100 cento

 E’ lutto nel Regno Unito per la scomparsa del principe Filippo, deceduto ‘serenamente’ stamattina nel Castello di Windsor.  A darne l’annuncio una nota di Buckingham Palace: ‘È con profondo dolore che Sua Maestà la Regina ha annunciato la morte del suo amato marito’.

Il duca di Edimburgo, che avrebbe compiuto 100 anni a giugno, era malato da tempo, recentemente era stato ricoverato per alcune complicanze cardiache.

Sposato da 73 con Elisabetta, era considerato da tutti, il supporter n° uno della regina, la sua roccia, l’unico che sapesse consigliarla quando ne aveva bisogno e al contempo criticarla quando era necessario. Un temperamento non facile il suo, concordano i diversi biografi che hanno raccontato la sua lunga vita. Senza peli sulla lingua, alquanto irascibile, ne sa qualcosa la stampa spesso oggetto della sua intolleranza, a volte protagonista di ‘inconsapevoli’ gaffes, sono sono alcune caratteristiche che  hanno contribuito a farne un personaggio unico e mai scontato.

Nel 2017, all’età di 96 anni, il ritiro dalla vita pubblica.

Sempre ligio all’etichetta che il protocollo reale imponeva, non amava offrire un’immagine di un uomo ormai piegato dall’età e provato dagli acciacchi sempre più evidenti e invalidanti.

Tra i primi a esprimere cordoglio, il premier  Boris Johnson: ‘Ricorderemo il duca di Edimburgo per il suo contributo alla nazione e per il suo solido supporto alla regina. Come nazione e come regno ringraziamo la straordinaria e figura e il lavoro del principe Filippo’, ha detto il premier, definendo il duca “un amorevole marito, un padre e un nonno affettuoso”.

Chiara Farigu

*Immagina La Stampa

martedì 6 aprile 2021

L’Aquila: 12 anni fa il terremoto. Un fascio di luci blu per ricordare le 309 vittime

 Ricorre oggi il dodicesimo anniversario di quel terribile sisma che mise in ginocchio L’Aquila. Erano le 3,32 del 6 aprile 2009 quando un boato della magnitudo 6.3 rase al suolo gran parte della città e zone limitrofe. Il bilancio fu terribile: 309 morti, 1600 i feriti, 80 mila e più gli sfollati. Interi borghi ridotti in macerie.

Una scossa durata 23 secondi, un’eternità che ha segnato il prima e il dopo di un’intera comunità. Drammatiche le immagini che tennero incollati davanti alla tv milioni di telespettatori sul lavoro incessante dei soccorritori che scavavano senza sosta per estrarre dalle macerie più corpi possibile con la speranze che fossero ancora vivi.

Poi quelle bare, in fila, una appresso all’altra. La morte, il silenzio, il dolore. E la paura per quello sciame sismico che ad intervalli, con i tremori della terra, riapriva ferite e drammi personali.

I danni, oltre 10 miliardi di euro. Il dito accusatore, allora come in altri eventi sismici, fu puntato solo ed esclusivamente sull’incuria dell’uomo, che a vario titolo, ha eretto, nel tempo, costruzioni non adeguate a reggere i movimenti tellurici. Eludendo norme e vincoli paesaggistici.

In quei giorni numerose furono le passerelle dei politici che promettevano interventi immediati e risorse per riportare la vita quanto prima in quelle popolazioni private di tutto dalla furia distruttrice della natura. Molte di quelle promesse, fatte sull’onda della commozione davanti a tanto dolore, sono rimaste tali. A cominciare dalle scuole. Sembra incredibile, eppure dopo dodici lunghi anni gli alunni aquilani continuano a frequentare le lezioni nei cosiddetti MUSP, vale a dire i Moduli a Uso Scolastico Provvisorio. Così non è stato. Allestiti dopo il sisma per sopperire all’emergenza hanno finito per diventare stabili e definitivi. Le uniche  scuole rimesse in sesto sono private. 

Così com’è opera di privati il ritorno alla vita di diversi simboli cittadini, la memoria storica della città, altri, troppi restano nell’elenco delle opere incompiute e non sempre per mancanza di fondi, com’è il caso delle scuole, per le quali fu istituito un fondo di 44 milioni.

Dodici anni da allora, da quel giorno di morte e distruzione. Dodici anni in cui molto è stato fatto ma troppo è ancora da fare. Dodici anni di promesse, di progetti e lavori in parte portati a termine e altri mai cominciati, di chiese restaurate e tornate all’antico splendore e altre da rimettere in sesto così come case palazzi e interi rioni ancora pregni di detriti e macerie.

Troppe ancora le ferite da rimarginare nei corpi delle persone di chi è rimasto e di chi è andato via, ognuno con la propria storia, ognuno con il proprio dramma. Troppi ancora i cittadini che vivono nelle casette d’emergenza, mentre molti sono quelli che hanno fissato altrove la loro residenza.

Gli aquilani non si arrendono, abituati da sempre a rimboccarsi le maniche. Fin da subito hanno cercato di riportare in vita quanto possibile per riappropriarsi del loro quotidiano e guardare con ottimismo al futuro. Molto è stato fatto. Tanto è ancora da fare in una città che vanta un patrimonio artistico e culturale di valore inestimabile. La strada è quella giusta, dicono gli esperti, per riportare L’Aquila da città fantasma dopo il sisma agli antichi splendori di un tempo.

‘Ancora una volta, dopo il 6 aprile di 12 anni fa, oggi dobbiamo fare ricorso alla nostra forza interiore di gente di montagna, dobbiamo reimparare a vivere nella normalità. Sono 12 anni che abbiamo ritualizzato il lutto per curare le nostre anime. Ed è da due anni, che questo rito del dolore e della speranza è stato trasformato, dall’emergenza sanitaria, da cerimonia corale a evento in solitudine’, ha dichiarato il sindaco Biondi, in occasione del giorno della commemorazione.

A causa delle restrizioni anticontagio non si è svolta la fiaccolata ma un fascio di luce azzurra è stato proiettato da piazza Duomo e 309 rintocchi sono stati suonati in memoria delle vittime: un gesto simbolico che ricalca quello dello scorso anno. Il dispositivo è restato acceso sino alle ore 3:32, ora della devastante scossa di terremoto che fu registrata in quella drammatica notte di dodici anni fa.  Per non dimenticare.

Chiara Farigu 

lunedì 5 aprile 2021

Le pasquette dei tempi felici

 Ma quale uovo di cioccolata! A miei tempi la Pasqua profumava di ingredienti sapientemente amalgamati dalle mani di mia madre. E ancor più di una sua sorella, la vera artista della famiglia. Era lei che preparava la pasta di mandorle classica per gli amaretti e aromatizzata all’anice per i gueffus. Squisite palline confezionate a mo’ di caramelle che appena messe in bocca facevano emettere un sospiro. Da qui il nome col quale sono appunto conosciute fuori dall’isola.

Ma il pezzo forte era costituito da lui: su coccoi cun s’ou. Un pane unico nel suo genere. Non solo per gli ingredienti quanto per la preparazione dell’insieme. Che ogni mamma nonna o zia elaborava con mani esperte e con un pizzico di fantasia. La forma più gettonata era una sorta di cestino all’interno del quale mettere un uovo, su coccoi cun s’ou.

Il coccò con l’uovo. Una vera prelibatezza per la merenda  di pasquetta. Si partiva verso le tre del pomeriggio in fila con le ‘maestre’ dell’oratorio.
Si andava in pineta o in un’altra zona di campagna. Si cantava si giocava si rideva tanto.

Ci bastava poco per essere felici. Fare merenda con su coccoi era uno di quei momenti. O giocare con le amiche in mezzo al prato a ‘regina reginella’ quando l’unica ‘corona’ che allora conoscevamo era quella di cartone che passando di testa in testa ci incoronava regine per qualche minuto.

Non c’era il divieto di assembramento come oggi né si doveva rispettare la distanza sociale. Eravamo felici ma forse non lo sapevamo. E se lo sapevamo, quando e perché abbiamo smesso di esserlo?

Quanti ricordi in una sola foto!

Chiara Farigu 

In quella stretta di mano c’era già scritto tutto

 5 aprile 1972. Piovigginava quel mercoledi e questo non poteva essere che di buon auspicio per quel matrimonio che si sarebbe celebrato di lì a poco. C’era gran fervore in casa, sebbene tutto fosse stato pianificato fin nei minimi dettagli. ‘Ancora un attimo’ , pensò Agnese mentre annusava il bouquet di ciclamini di campo che aveva avvolto nel tulle. In quell’attimo i pensieri si divertirono a tornare indietro nel tempo,  quando tutto ebbe inizio.

Un anno e mezzo prima …

Sorrise Nicola alle raccomandazioni di sua madre: ‘Stai attento ai banditi e… vedi di non innamorarti di una sarda: sono tutte piccole, bruttine e pure pelose (!). E scrivi a mammà appena arrivi‘.

Continuò a sorridere anche sulla nave che lo portava nell’isola, l’unica Regione in cui non era mai stato neanche per una breve vacanza. E che desiderava conoscere a fondo. Ci andava per insegnare, ma anche per mettere una distanza con un amore finito che però bruciava ancora. Un anno, solo un anno, poi avrebbe chiesto il trasferimento e sarebbe tornato nella sua Campania. Dalla sua famiglia e dai suoi amici.

Ci restò 9 nove anni e ci sarebbe rimasto a vita se … c’è sempre un se che scombina programmi e progetti di vita. Ma il cordone ombelicale con l’isola non è stato mai reciso. Impossibile farlo. In quell’anno, in quell’unico anno in cui avrebbe dovuto fare il docente e il turista, il destino, o chi per lui, si divertì a rimescolare le carte.

Fin dal suo arrivo. Con la scelta della sede: Oristano o Norbio? Optò per il 2°. Quanto lesse su ‘I Comuni d’Italia’ lo convinse che il paese, ai piedi di una splendida pineta dovesse essere delizioso. Non era preparato a quel vento frizzantino che scompigliava la sua chioma che già da un po’ gli dava qualche grattacapo. Trovò curiosi quegli alberi piegati, resi curvi dal costante soffiare del maestrale nell’isola. E quel modo di parlare così caratteristico, musicale, latineggiante, unico. Odori e colori nuovi, una natura selvaggia da esplorare, chilometri di mare incontaminato da vivere. In una parola, un continente. Diverso e tutto da scoprire.

Una mattina di ottobre suonò dai sig.ri Sirigu. Il bidello della scuola, al quale si era rivolto per cercare casa gli disse che, se fosse stata libera, avrebbe fatto bingo. E aveva ragione. La casa, situata nella parte alta del paese aveva due camere con bagno libere. Ed un’ampia terrazza con una vista panoramicissima. Ma i padroni di casa erano titubanti. Avevano già ospitato, tempo addietro, una famiglia di milanesi, non erano intenzionati ad accollarsi un nuovo inquilino. Nonostante un’altra entrata facesse comodo in quella casa a monoreddito.

Tornò a scuola sconfortato. Quel “Le faremo sapere” non lasciava presagire niente di buono.
Non dovette aspettare molto. La mattina seguente il signor Luigi si presentò a scuola “Va bene, la casa è sua, se vuole”.
La valigia era pronta, i libri pure. Al termine delle lezioni andò spedito a prendere possesso di quello spazio che sentiva già suo.

Fu in quell’istante che vide Agnese per la prima volta. Sorrise nel stringerle la mano mentre gli occhi, con un sguardo compiaciuto appurarono quanto fossero lontano dal vero le raccomandazioni di sua madre: 18 anni, capelli biondi, studentessa liceale, ” ‘nu babà“, pensò, altro che bruttine e pelose le sarde! Piccoletta sì, ma decisamente graziosa.

Continuò a sorridere mentre dava una sistemata ai suoi bagagli. Un tepore insolito e sconosciuto avvolse i suoi pensieri. Ancora non lo sapeva ma il ricordo di quell’amore finito lo stava già abbandonando.

Quella notte anche Agnese sorrise e fantasticò a lungo sullo “straniero” che per un po’ avrebbe condiviso parte della casa dei suoi genitori.

Nessuno dei due sapeva che Cupido aveva sganciato uno dei suoi dardi micidiali.

Nessuno dei due poteva neanche lontanamente immaginare che in quella stretta di mano c’era già scritto tutto.

L’inizio di una vita a due che dura da ben 49 anni.

 

Forse fu il caso o forse fu il destino a scrivere il canovaccio di questa storia d’amore lunga quasi mezzo secolo. Quel che è certo è che Nicola e Agnese (i nomi sono di ‘fantasia’) ci hanno messo del loro.  E continuano a farlo. Oggi più di ieri e meno di domani, come recita il poeta.

Chiara Farigu

*Immagine freepik

martedì 30 marzo 2021

Covid19, Sicilia dati truccati: è bufera sulla sanità regionale

 E’ bufera sulla sanità regionale siciliana. Secondo la Procura di Trapani alcuni funzionari avrebbero alterato i dati sulla pandemia, modificando il numero dei contagi e dei decessi da inviare all’Istituto Superiore di Sanità, onde evitare di finire in zona rossa e le conseguenti restrizioni.

I carabinieri del comando provinciale e del Nas hanno notificato tre provvedimenti di arresti domiciliari a una dirigente generale della Regione e a due suoi collaboratori, con l’accusa di falso materiale ed ideologico in concorso.

Indagato anche l’assessore alla Salute Ruggero Razza sul quale sarebbe emerso ‘un parziale coinvolgimento nelle attività delittuose del Dasoe’ e per il quale l’opposizione chiede ora le immediate dimissioni.

Intervenendo su La7, il presidente Musumeci si dice sconcertato e sorpreso per i fatti emersi dall’indagine della Procura: ‘Noi le zone rosse le abbiamo anticipate non nascoste, è storia. Ma bisogna avere rispetto per la magistratura, ho fiducia nell’assessore Razza, se fosse responsabile da solo adotterebbe le decisioni consequenziali. Bisogna essere sereni e fiduciosi, sono convinto che la verità emergerà prestissimo’.

‘I dati falsi e truccati emersi dalle indagini sono la punta di un iceberg di un sistema marcio e malato’, ha dichiarato il segretario regionale Barbagallo.

A dir poco scioccanti sarebbero le intercettazioni in mano agli inquirenti in cui gli indagati parlano di numero di decessi da ‘spalmare’ un poco alla volta nel conteggio dei dati da inviare.

Accuse che pesano come macigni. Che se confermate sarebbero di una gravità inaudita. Accuse davanti alle quali non si può restare inermi né indifferenti, incalzano molti politici che da tempo chiedono che la Sanità venga tolta alla regioni e torni di stretta competenza allo Stato.

Chiara Farigu

*Immagine web

venerdì 26 marzo 2021

Lo sciopero dei rider in 30 città italiane: ‘Non comprate cibo online, protestate con noi’

 Scendono nuovamente in piazza i ciclofattorini, meglio noti come rider. Le motivazioni, sempre le stesse: essere assunti come lavoratori subordinati, superare il cottimo ottenendo una paga oraria garantita e vedere riconosciuti i propri diritti e tutele come ferie, maternità, malattia e l’accesso agli ammortizzatori sociali. 

Per poi arrivare, finalmente, ad ottenere un contratto collettivo nazionale.

E come i loro colleghi Amazon, che hanno incrociato le braccia qualche giorno fa, chiedono agli abituali acquirenti di pasti online di non fare ordinazioni sulle piattaforme digitali. In segno di solidarietà per una battaglia civile: ‘uniti possiamo fare la storia contro un regime di sfruttamento ottocentesco’, recita uno dei tanti loro appelli in questa giornata di sciopero.

Un’ anomalia da correggere quanto prima, sostengono i sindacati del settore, questa che caratterizza i rider: pur essendo ritenuti ‘essenziali per le mansioni svolte, soprattutto in questo periodo di pandemia (al classico cibo ordinato via click, è la spesa quotidiana e sempre più spesso quella di farmaci e dispositivi medici l’oggetto delle loro consegne), sono allo stesso tempo ‘invisibili’ dal punto di vista giuridico.

Lavoratori autonomi senza diritti. Che oggi dicono ‘Basta allo sfruttamento’ in 30 città italiane. Insieme ai rider,  in piazza anche i lavoratori dello spettacolo e della logistica, per portare avanti le loro rivendicazioni e convergenze in una battaglia comune.

Chiara Farigu

*Immagine web

martedì 23 marzo 2021

Papa Francesco ai docenti: ‘amate gli studenti più difficili’

 Papa Francesco, durante l’omelia dello scorso venerdi, si è soffermato su un tema a lui molto caro: la scuola e gli studenti, che stanno pagando un duro prezzo a causa della pandemia: ‘siate artefici del vostro futuro’, ha ribadito a più riprese.

Un invito a non abbattersi ancor più quando tutto sembra remare contro. E alle istituzioni affinché favoriscano la riaperture delle scuole perché ‘In una società che fatica a trovare punti di riferimento – avverte Bergoglio – è necessario che i giovani trovino nella scuola un riferimento positivo’.

Ma è soprattutto agli insegnati che rivolge un appello accorato, i quali mai come oggi sono chiamati a raccogliere le sfide sempre più difficili che concorrono alla formazione. “Vi chiedo di amare di più gli studenti ‘difficili’, quelli che non vogliono studiare, quelli che si trovano in condizioni di disagio, i disabili e gli stranieri, che oggi sono una grande sfida per la scuola. E ce ne sono di quelli che fanno perdere la pazienza.

Gesù direbbe: se amate solo quelli che studiano, che sono ben educati, che merito avete’?

Fare gli insegnanti, ha detto il Pontefice, è un po’ come essere genitori, almeno spiritualmente in quanto ‘consente di veder crescere giorno dopo giorno le persone che sono affidate alla nostra cura. Per trasmettere contenuti è sufficiente un computer, per capire come si ama, quali sono i valori, e quali le abitudini che creano armonia nella società ci vuole un buon insegnante’.

L’insegnamento è un lavoro bellissimo ma ‘sottopagato’, ha ribadito più volte il Papa durante i periodici  incontri con studenti e docenti. Una anomalia tutta italiana  che va corretta quanto prima. Poiché uno dei tanti problemi che attanagliano la scuola italiana passa proprio dalla scarsa remunerazione dei docenti. La funzione degli insegnanti  ‘deve essere riconosciuta e sostenuta con tutti i mezzi possibili. È necessario che abbiano a disposizione risorse nazionali, internazionali provate e adeguate’.

Parole sante, verrebbe da dire. Che nessuno, purtroppo, farà proprie. Perché la Scuola (e gli Insegnanti) costituiscono la Priorità solo in campagna elettorale o  appena si dà vita a un nuovo esecutivo per poi passare inesorabilmente in fondo all’agenda di governo. Il rinnovo del Contratto, le classi pollaio, la stabilizzazione dei precari, l’assunzione del personale docente e non, la messa in sicurezza degli edifici (la maggior parte fatiscenti e pericolanti), sono solo alcuni dei tanti problemi arcinoti che però giacciono lì in attesa di una Politica lungimirante con P maiuscola.

Chiara Farigu 

lunedì 22 marzo 2021

Amazon si ferma. Oggi niente consegne in tutta Italia

 E’ l’intera filiera, da chi smista i pacchi a chi è incaricato a consegnarli a domicilio,  a scioperare oggi tutta in Italia. Un fermo che coinvolge più di 40.000 lavoratori voluto dai sindacati del settore dei trasposti compresi quelli del settore interinale della logistica.

Un fermo che in qualche modo è già stato definito ‘storico’.   Vuoi per le motivazioni che vanno dai turni massacranti ai carichi di lavoro spesso insostenibili che, oltre a ledere la dignità dei lavoratori, spesso ne mettono a repentaglio la sicurezza stessa e vuoi per la massiccia adesione in tutto il territorio nazionale.

Un fermo che sindacati e dipendenti si augurano possa trasformarsi anche in sciopero degli acquisti. Dai qui l’appello rivolto ai cittadini per motivare lo stop del servizio per 24 ore: ‘Per vincere questa battaglia di giustizia e civiltà,  abbiamo bisogno della solidarietà di tutte le clienti e di tutti i clienti di Amazon. Per un giorno ci vogliamo fermare, ci dobbiamo fermare’.

Dietro a quegli acquisti fatti con pochi clic e a quelle consegne rapide e veloci ci sono orari di servizi al limite dell’insostenibilità, come periodicamente denunciano i dipendenti,  44 ore settimanali per gli addetti ai trasporti,  8 ore con pausa di mezz’ora per il pranzo per gli addetti allo smistamento. ‘Nessuna contrattazione, nessun confronto con le organizzazioni di rappresentanza sui ritmi di lavoro imposti e per il riconoscimento dei diritti sindacali. Nessuna clausola sociale né continuità occupazionale, per i driver, in caso di cambio fornitore. Nessuna indennità contrattata per covid-19, in costanza di pandemia’denunciano sindacati e lavoratori.

Accuse che Amazon respinge ai mittenti rivendicando, di contro, salari competitivi, sicurezza sul lavoro, garantite anche dalle più avanzate tecnologie,  benefit e ‘ottime opportunità di crescita professionale’.

E come se bastasse nuove assunzioni. Con l’apertura di un nuovo grande centro di smistamento in provincia di Bergamo atto a garantire nuovi posti di lavoro a tempo indeterminato che di questi tempi, buttali via. Un annuncio strumentale, commentano i sindacati, guarda caso fatto in concomitanza con il primo sciopero che interessa tutta la filiera Amazon.

Chiara Farigu

*Immagine web

La nonna paterna? Una nonna a metà (con poche eccezioni)

  Essere nonne è un dono meraviglioso che la vita riserva a chi ha avuto la gioia di essere prima mamma. E’ come diventare madri una seconda...