Ma quale uovo di cioccolata! A miei tempi la Pasqua profumava di ingredienti sapientemente amalgamati dalle mani di mia madre. E ancor più di una sua sorella, la vera artista della famiglia. Era lei che preparava la pasta di mandorleclassica per gli amaretti e aromatizzata all’anice per i gueffus. Squisite palline confezionate a mo’ di caramelle che appena messe in bocca facevano emettere un sospiro. Da qui il nome col quale sono appunto conosciute fuori dall’isola.
Ma il pezzo forte era costituito da lui: su coccoi cun s’ou. Un pane unico nel suo genere. Non solo per gli ingredienti quanto per la preparazione dell’insieme. Che ogni mamma nonna o zia elaborava con mani esperte e con un pizzico di fantasia. La forma più gettonata era una sorta di cestino all’interno del quale mettere un uovo, su coccoi cun s’ou.
Il coccò con l’uovo. Una vera prelibatezza per la merenda di pasquetta. Si partiva verso le tre del pomeriggio in fila con le ‘maestre’ dell’oratorio. Si andava in pineta o in un’altra zona di campagna. Si cantava si giocava si rideva tanto.
Ci bastava poco per essere felici. Fare merenda con su coccoi era uno di quei momenti. O giocare con le amiche in mezzo al prato a ‘regina reginella’ quando l’unica ‘corona’ che allora conoscevamo era quella di cartone che passando di testa in testa ci incoronava regine per qualche minuto.
Non c’era il divieto di assembramento come oggi né si doveva rispettare la distanza sociale. Eravamo felici ma forse non lo sapevamo. E se lo sapevamo, quando e perché abbiamo smesso di esserlo?
5 aprile 1972. Piovigginava quel mercoledi e questo non poteva essere che di buon auspicio per quel matrimonio che si sarebbe celebrato di lì a poco. C’era gran fervore in casa, sebbene tutto fosse stato pianificato fin nei minimi dettagli. ‘Ancora un attimo’ , pensò Agnese mentre annusava il bouquet di ciclamini di campo che aveva avvolto nel tulle. In quell’attimo i pensieri si divertirono a tornare indietro nel tempo, quando tutto ebbe inizio.
Un anno e mezzo prima …
Sorrise Nicola alle raccomandazioni di sua madre: ‘Stai attento ai banditi e… vedi di non innamorarti di una sarda: sono tutte piccole, bruttine e pure pelose (!). E scrivi a mammà appena arrivi‘.
Continuò a sorridere anche sulla nave che lo portava nell’isola, l’unica Regione in cui non era mai stato neanche per una breve vacanza. E che desiderava conoscere a fondo. Ci andava per insegnare, ma anche per mettere una distanza con un amore finito che però bruciava ancora. Un anno, solo un anno, poi avrebbe chiesto il trasferimento e sarebbe tornato nella sua Campania. Dalla sua famiglia e dai suoi amici.
Ci restò 9 nove anni e ci sarebbe rimasto a vita se … c’è sempre un se che scombina programmi e progetti di vita. Ma il cordone ombelicale con l’isola non è stato mai reciso. Impossibile farlo. In quell’anno, in quell’unico anno in cui avrebbe dovuto fare il docente e il turista, il destino, o chi per lui, si divertì a rimescolare le carte.
Fin dal suo arrivo. Con la scelta della sede: Oristano o Norbio? Optò per il 2°. Quanto lesse su ‘I Comuni d’Italia’ lo convinse che il paese, ai piedi di una splendida pineta dovesse essere delizioso. Non era preparato a quel vento frizzantino che scompigliava la sua chioma che già da un po’ gli dava qualche grattacapo. Trovò curiosi quegli alberi piegati, resi curvi dal costante soffiare del maestrale nell’isola. E quel modo di parlare così caratteristico, musicale, latineggiante, unico. Odori e colori nuovi, una natura selvaggia da esplorare, chilometri di mare incontaminato da vivere. In una parola, un continente. Diverso e tutto da scoprire.
Una mattina di ottobre suonò dai sig.ri Sirigu. Il bidello della scuola, al quale si era rivolto per cercare casa gli disse che, se fosse stata libera, avrebbe fatto bingo. E aveva ragione. La casa, situata nella parte alta del paese aveva due camere con bagno libere. Ed un’ampia terrazza con una vista panoramicissima. Ma i padroni di casa erano titubanti. Avevano già ospitato, tempo addietro, una famiglia di milanesi, non erano intenzionati ad accollarsi un nuovo inquilino. Nonostante un’altra entrata facesse comodo in quella casa a monoreddito.
Tornò a scuola sconfortato. Quel “Le faremo sapere” non lasciava presagire niente di buono. Non dovette aspettare molto. La mattina seguente il signor Luigi si presentò a scuola “Va bene, la casa è sua, se vuole”. La valigia era pronta, i libri pure. Al termine delle lezioni andò spedito a prendere possesso di quello spazio che sentiva già suo.
Fu in quell’istante che vide Agnese per la prima volta. Sorrise nel stringerle la mano mentre gli occhi, con un sguardo compiaciuto appurarono quanto fossero lontano dal vero le raccomandazioni di sua madre: 18 anni, capelli biondi, studentessa liceale, ” ‘nu babà“, pensò, altro che bruttine e pelose le sarde! Piccoletta sì, ma decisamente graziosa.
Continuò a sorridere mentre dava una sistemata ai suoi bagagli. Un tepore insolito e sconosciuto avvolse i suoi pensieri. Ancora non lo sapeva ma il ricordo di quell’amore finito lo stava già abbandonando.
Quella notte anche Agnese sorrise e fantasticò a lungo sullo “straniero” che per un po’ avrebbe condiviso parte della casa dei suoi genitori.
Nessuno dei due sapeva che Cupido aveva sganciato uno dei suoi dardi micidiali.
Nessuno dei due poteva neanche lontanamente immaginare che in quella stretta di mano c’era già scritto tutto.
L’inizio di una vita a due che dura da ben 49 anni.
Forse fu il caso o forse fu il destino a scrivere il canovaccio di questa storia d’amore lunga quasi mezzo secolo. Quel che è certo è che Nicola e Agnese (i nomi sono di ‘fantasia’) ci hanno messo del loro. E continuano a farlo. Oggi più di ieri e meno di domani, come recita il poeta.
E’ bufera sulla sanità regionale siciliana.Secondo la Procura di Trapanialcuni funzionari avrebbero alterato i dati sulla pandemia,modificando il numero dei contagi e dei decessi da inviare all’Istituto Superiore di Sanità, onde evitare di finire in zona rossa e le conseguenti restrizioni.
I carabinieri del comando provinciale e del Nas hanno notificato tre provvedimenti di arresti domiciliari a una dirigente generale della Regione e a due suoi collaboratori, con l’accusa di falso materiale ed ideologico in concorso.
Indagato anche l’assessore alla Salute Ruggero Razza sul quale sarebbe emerso ‘un parziale coinvolgimento nelle attività delittuose del Dasoe’ e per il quale l’opposizione chiede ora le immediate dimissioni.
Intervenendo su La7, il presidente Musumeci si dice sconcertato e sorpreso per i fatti emersi dall’indagine della Procura: ‘Noi le zone rosse le abbiamo anticipate non nascoste, è storia. Ma bisogna avere rispetto per la magistratura, ho fiducia nell’assessore Razza, se fosse responsabile da solo adotterebbe le decisioni consequenziali. Bisogna essere sereni e fiduciosi, sono convinto che la verità emergerà prestissimo’.
‘I dati falsi e truccati emersi dalle indagini sono la punta di un iceberg di un sistema marcio e malato’, ha dichiarato il segretario regionale Barbagallo.
A dir poco scioccanti sarebbero le intercettazioni in mano agli inquirenti in cui gli indagati parlano di numero di decessi da ‘spalmare’ un poco alla volta nel conteggio dei dati da inviare.
Accuse che pesano come macigni. Che se confermate sarebbero di una gravità inaudita. Accuse davanti alle quali non si può restare inermi né indifferenti, incalzano molti politici che da tempo chiedono che la Sanità venga tolta alla regioni e torni di stretta competenza allo Stato.
Scendono nuovamente in piazza i ciclofattorini, meglio noti come rider.Le motivazioni, sempre le stesse: essere assunti come lavoratori subordinati, superare il cottimo ottenendo una paga oraria garantita evedere riconosciuti i propri diritti e tutele come ferie, maternità, malattia e l’accesso agli ammortizzatori sociali.
Per poi arrivare, finalmente, ad ottenere un contratto collettivo nazionale.
E come i loro colleghi Amazon, che hanno incrociato le braccia qualche giorno fa, chiedono agli abituali acquirenti di pasti online di non fare ordinazioni sulle piattaforme digitali. In segno di solidarietà per una battaglia civile: ‘uniti possiamo fare la storia contro un regime di sfruttamento ottocentesco’, recita uno dei tanti loro appelli in questa giornata di sciopero.
Un’ anomalia da correggere quanto prima, sostengono i sindacati del settore, questa che caratterizza i rider: pur essendo ritenuti ‘essenziali’ per le mansioni svolte, soprattutto in questo periodo di pandemia (al classico cibo ordinato via click, è la spesa quotidiana e sempre più spesso quella di farmaci e dispositivi medici l’oggetto delle loro consegne), sono allo stesso tempo ‘invisibili’ dal punto di vista giuridico.
Lavoratori autonomi senza diritti.Che oggi dicono ‘Basta allo sfruttamento’in 30 città italiane. Insieme ai rider, in piazza anche i lavoratori dello spettacolo e della logistica, per portare avanti le loro rivendicazioni e convergenze in una battaglia comune.
Papa Francesco, durante l’omelia dello scorso venerdi, si è soffermato su un tema a lui molto caro:la scuola e gli studenti,che stanno pagando un duro prezzo a causa della pandemia:‘siate artefici del vostro futuro’,ha ribadito a più riprese.
Un invito a non abbattersi ancor più quando tutto sembra remare contro. E alle istituzioni affinché favoriscano la riaperture delle scuole perché ‘In una società che fatica a trovare punti di riferimento – avverte Bergoglio – è necessario che i giovani trovino nella scuola un riferimento positivo’.
Ma è soprattutto agli insegnati che rivolge un appello accorato, i quali mai come oggi sono chiamati a raccogliere le sfide sempre più difficili che concorrono alla formazione. “Vi chiedo di amare di più gli studenti ‘difficili’, quelli che non vogliono studiare, quelli che si trovano in condizioni di disagio, i disabili e gli stranieri, che oggi sono una grande sfida per la scuola. E ce ne sono di quelli che fanno perdere la pazienza.
Gesù direbbe: se amate solo quelli che studiano, che sono ben educati, che merito avete’?
Fare gli insegnanti, ha detto il Pontefice, è un po’ come essere genitori, almeno spiritualmente in quanto ‘consente di veder crescere giorno dopo giorno le persone che sono affidate alla nostra cura. Per trasmettere contenuti è sufficiente un computer, per capire come si ama, quali sono i valori, e quali le abitudini che creano armonia nella società ci vuole un buon insegnante’.
L’insegnamento è un lavoro bellissimo ma ‘sottopagato’, ha ribadito più volte il Papa durante i periodici incontri con studenti e docenti. Una anomalia tutta italiana che va corretta quanto prima. Poiché uno dei tanti problemi che attanagliano la scuola italiana passa proprio dalla scarsa remunerazione dei docenti. La funzione degli insegnanti ‘deve essere riconosciuta e sostenuta con tutti i mezzi possibili. È necessario che abbiano a disposizione risorse nazionali, internazionali provate e adeguate’.
Parole sante, verrebbe da dire. Che nessuno, purtroppo, farà proprie. Perché la Scuola (e gli Insegnanti) costituiscono la Priorità solo in campagna elettorale o appena si dà vita a un nuovo esecutivo per poi passare inesorabilmente in fondo all’agenda di governo. Il rinnovo del Contratto,le classi pollaio, la stabilizzazione dei precari, l’assunzione del personale docente e non, la messa in sicurezza degli edifici (la maggior parte fatiscenti e pericolanti), sono solo alcuni dei tanti problemi arcinoti che però giacciono lì in attesa di una Politica lungimirante con P maiuscola.
E’ l’intera filiera, da chi smista i pacchi a chi è incaricato a consegnarli a domicilio, a scioperare oggi tutta in Italia. Un fermo che coinvolge più di 40.000 lavoratori voluto dai sindacati del settore dei trasposti compresi quelli del settore interinale della logistica.
Un fermo che in qualche modo è già stato definito ‘storico’. Vuoi per le motivazioni che vanno dai turni massacranti ai carichi di lavoro spesso insostenibili che, oltre a ledere la dignità dei lavoratori, spesso ne mettono a repentaglio la sicurezza stessa e vuoi per la massiccia adesione in tutto il territorio nazionale.
Un fermo che sindacati e dipendenti si augurano possa trasformarsi anche in sciopero degli acquisti. Dai qui l’appello rivolto ai cittadini per motivare lo stop del servizio per 24 ore: ‘Per vincere questa battaglia di giustizia e civiltà, abbiamo bisogno della solidarietà di tutte le clienti e di tutti i clienti di Amazon. Per un giorno ci vogliamo fermare, ci dobbiamo fermare’.
Dietro a quegli acquisti fatti con pochi clic e a quelle consegne rapide e veloci ci sono orari di servizi al limite dell’insostenibilità, come periodicamente denunciano i dipendenti, 44 ore settimanali per gli addetti ai trasporti, 8 ore con pausa di mezz’ora per il pranzo per gli addetti allo smistamento. ‘Nessuna contrattazione, nessun confronto con le organizzazioni di rappresentanza sui ritmi di lavoro imposti e per il riconoscimento dei diritti sindacali. Nessuna clausola sociale né continuità occupazionale, per i driver, in caso di cambio fornitore. Nessuna indennità contrattata per covid-19, in costanza di pandemia’, denunciano sindacati e lavoratori.
Accuse che Amazon respinge ai mittenti rivendicando, di contro, salari competitivi, sicurezza sul lavoro, garantite anche dalle più avanzate tecnologie, benefit e ‘ottime opportunità di crescita professionale’.
E come se bastasse nuove assunzioni. Con l’apertura di un nuovo grande centro di smistamento in provincia di Bergamo atto a garantire nuovi posti di lavoro a tempo indeterminato che di questi tempi, buttali via. Un annuncio strumentale, commentano i sindacati, guarda caso fatto in concomitanza con il primo sciopero che interessa tutta la filiera Amazon.
E’ stato approvato ieri dal CdM il cosiddetto ‘Decreto Sostegni’ che,come sottolineato dallo stesso premier Draghi in conferenza stampa,si avvale del fondo dei 32 miliardi già stanziato nel gennaio scorso dal governo Conte II.
‘Un decreto in risposta alle povertà, il massimo che si è potuto fare– ha ribadito il Presidente del Consiglio- un primo passo, ce ne sarà un secondo assolutamente necessario’. Già ad aprile, infatti, ha aggiunto il Presidente, occorrerà varare nuovo deficit per altri aiuti, i cui numeri saranno da calibrare in base all’andamento dell’epidemia, della campagna vaccinale e conseguentemente delle previsioni sulla crisi economica.
Queste in sintesi i punti principali del Decreto per ristorare imprese e famiglie:
11 miliardi per le imprese che hanno perso più del 30% del fatturato nel 2020;
8 miliardi per lavoro e lotta alla povertà, compreso il rifinanziamento del Reddito di cittadinanza per un miliardo ed il rinnovo del Rem per tre mesi;
5 miliardi per vaccini e logistica (di cui 2,8 per l’acquisto di vaccini e farmaci);
Enti decentrati: fondi finalizzati a compensare comuni, province ed enti territoriali per la perdita di gettito e per sostenere il trasporto pubblico locale (a cui vanno 800 milioni)
Istruzione (300 milioni, di cui 150 milioni per garantire da adesso fino a giugno la continuità in sicurezza dell’attività didattica in presenza, ed altri 150 milioni per consentire attività di potenziamento delle competenze ed il recupero della socialità dei ragazzi nel periodo successivo alla fine dell’anno scolastico.), cultura, sostegno alle filiere agricole, e altri settori con crisi particolari.
Ristori, o come si preferisce chiamarli ora ‘sostegni’, che arrivano dopo mesi di ritardi dovuti prima alla crisi di governo innescata da Italia Viva e successivamente alla formazione del governo attuale.
Un ritardo che quindi ora si dovrà recuperare perché la crisi avanza a passo spedito, ‘dare più soldi possibile il più velocemente possibile’è l’obiettivo che il governo intende mettere in atto: abbandonando i cosiddetti ‘codici Ateco’ che avevano lasciato fuori tante partite iva e garantendo una velocità nei pagamenti.
Per velocizzare i tempi di erogazione dei contributi, l’Agenzia delle Entrate ha messo a disposizione una piattaforma telematica, e i pagamenti inizieranno già dall’8 aprile prossimo.
In quanto al ‘condono fiscale’, tema di scontro all’interno del CdM e conseguente motivo della ritardata conferenza stampa, Draghi, nel rispondere ad una domanda della stampa ha precisato che in realtà si tratta di una misura che annulla crediti che lo Stato non è riuscito finora a recuperare. Ovvero delle cartelle esattoriali fino a 5 mila Euro relative al periodo 2000-2010 che saranno cancellate per quanti hanno un reddito inferiore alle 30 mila Euro annue. Aggiungendo che per evitare che in futuro continuino ad accumularsi milioni di cartelle per crediti fiscali dello Stato che non possono essere incassati, occorre una riforma del meccanismo di riscossione.
Naturalmente non è mancata la domanda relativa al MES, oggetto di accese diatribe nei mesi precedenti tra i partiti dei diversi schieramenti politici e causa principale anche della stessa caduta del governo precedente. Lapidaria la risposta: al momento il livello dei tassi di interesse è tale per cui non conviene prenderlo.
Perfettamente in linea, è bene ribadirlo, con quanto affermato più volte dallo stesso ex premier Conte, che stando alle parole di Draghi, pare avesse ragione a ritenerla una misura da valutare ma non necessaria in questo momento di pandemia.
Certo, considerate le diverse analogie tra le (insufficienti) misure messe in campo per ‘ristorare’ famiglie e imprese, ci si domanda che senso abbia avuto istituire un Governo tecnico per giunta detto ‘dei migliori’ quando il precedente esecutivo stava già facendo tutto ciò che era possibile fare, vista la pandemia?
Con 202 voti a favore, 141 contrari e due astenutila Spagna approva la legge sull’eutanasia attiva, che si avvale della somministrazione da parte di un medico di farmaci che inducono la morte.
La Spagna diviene così, dopo Canada, Colombia, Olanda, Belgio e Lussemburgo, il sesto Paese a consentire a chiunque abbia una malattia grave e incurabile o una condizione cronica e invalidante di chiedere aiuto per morire ed evitare così una sofferenza che non si riesce a sopportare.
‘Poder elegir el morir sin sufrir’, ovvero poter scegliere di morir senza soffrire, ha visto la luce dopo un iter parlamentare durato oltre un anno a causa della pandemia.
‘È un giorno importante per tutti i cittadini – ha detto il ministro per la Salute Carolina Darias – perché si va verso una società più umana e giusta. Ma soprattutto è un giorno importante per quanti si trovano in una situazione di grave sofferenza, così come per le loro famiglie e i loro cari’.
La normativa che entrerà in vigore tra tre mesi, prevede che il paziente dovrà essere pienamente informato delle alternative e delle cure palliative disponibili, e bisognerà accertarsi che la richiesta non sia frutto di pressioni esterne, prima che possa confermare, fino a 4 volte se ritenuto necessario, la volontà di morire.
La richiesta dovrà quindi essere approvata da due medici e una Commissione valutatrice: un iter che si stima dovrebbe durare attorno alle 5 settimane.
L’eutanasia sarà praticata in qualsiasi centro sanitario o a casa del paziente. Ogni operatore sanitario potrà inoltre invocare l’obiezione di coscienza e rifiutarsi di partecipare alla procedura.
‘Provo tristezza e non solo per la cattolicissima Spagna’– ha commentato l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della pontificia Accademia per la Vita- aggiungendo che la normativa non è altro che ‘una resa alla morte’. E che la sfida è essere davvero umani stando, in tutti i modi possibili, accanto alle persone malate, non anticipando la fine naturale della vita.
Un anno di pandemia sanitaria.Un anno di crisi economica senza precedenti. Un anno scandito da lockdown e zone cromatiche differenti. Un anno di chiusure e parziali riaperture.Un anno di paure, incertezze e sorrisi spenti.
Un anno di morti dal numero impressionante: oltre centomila. Mai così tanti in Italia dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi, evidenzia il quinto Rapporto sui decessi Istat-Iss.
Il 18 Marzo scorso, l’immagine più drammatica che segnerà per sempre il primo e il dopo pandemia: i camion dell’Esercito che trasportano via da Bergamo le bare delle vittime. Immagini che sconvolsero il mondo intero e che ci mise di fronte alla pericolosità di quel mostro invisibile di cui si sapeva poco o niente se non che stava mettendo a dura prova l’esistenza stessa della specie umana.
E’ passato un anno da allora ma la pandemia continua a farla da padrone. Con gli ospedali in affanno, le varianti che impazzano e il numero delle vittime che non accenna a diminuire.
A un anno da quella tragica data si celebra oggi ‘La prima Giornata Nazionale per le vittime del Covid’, in ricordo di chi ha perso la vita e non ha neppure ricevuto l’ultimo saluto dei familiari, come previsto dalle restrizioni anti-contagio messe in atto.
Bandiere a mezz’asta in tutta Italia e visita di Mario Draghi a Bergamo, divenuta suo malgrado città simbolo della provincia più funestata nel corso della prima ondata: ‘Lo Stato c’è e ci sarà. Siamo qui per celebrare il ricordo perché la memoria di ciò che è accaduto nella primavera dello scorso anno non si appanni’, ha detto il premier.
‘Grazie al comune sentire dei partiti rappresentati in Parlamento– ha sottolineato Giorgio Mulè- sottosegretario alla Difesa e primo firmatario del provvedimento, approvato ieri dalla Commissione Affari Costituzionali del Senato- l’Italia ricorderà ogni anno chi non ce l’ha fatta. Sarà un giorno simbolico per il Paese che attraverserà i confini del tempo e della memoria’.
‘Uniti ce la faremo’, ribadisce il Capo dello Stato, invitando i cittadini a non demordere, a non smettere mai di sperare, soprattutto adesso che i vaccini sono una realtà e anche l’unica via per riappropriarci delle nostre vite.
Decidemmo di fare shopping quel 16 marzo di 43 anni fa. Di buon mattino ci mettemmo in macchina, destinazione Cagliari. Avevo due bambini piccoli, uno di 6 anni, l’altro quasi di due. Si accodò pure mamma, le piaceva fare acquisti insieme a noi. Si respirava già aria di primavera, la natura era rigogliosa lungo il tragitto.
Prima tappa La Rinascente. Lì ci trovavi di tutto, ci potevi trascorrere l’intera mattinata girando da un piano all’altro. Insomma niente lasciava presagire quel che stava succedendo nella capitale.Improvvisamente l’annuncio: “Siete pregati di lasciare al più presto il negozio. Le saracinesche tra 15 minuti verranno chiuse. E’ stato rapito il presidente Aldo Moro. Si prega di mantenere la calma”.
Già, vai a sapere come. In men che non si dica, il panico. Un fuggi fuggi generale e la gara a chi scendeva prima le scale. Poi la vetrata d’uscita e, finalmente in strada. Caos totale: sirene di polizia spiegate, elicotteri in perlustrazione, gente che correva in cerca di un riparo.
La paura era palpabile.
Arrivammo in macchina tra spintoni, urla e i bambini in lacrime che non riuscivano a capire tutto quello scompiglio improvviso dopo aver assaporato aria di festa fino a qualche minuto prima. Non avevamo i cellulari a quei tempi. E l’autoradio in macchina faceva le bizze. Tornati a casa quelle immagini in tv, quella macchina crivellata di colpi, gli uomini della scorta uccisi, tante le ipotesi del rapimento e dei suoi risvolti fatte da analisti e politologi che si susseguivano senza sosta.
La rivendicazione del rapimento da parte delle Brigate Rosse, la lunga attesa dei comunicati. Le foto dalla prigionia e la trattativa con lo Stato.
Il dolore della famiglia, l’ambiguità della politica. Tra chi optava per l’intransigenza a prescindere e chi per trattare per la liberazione dello statista. Prevalse la linea dura, nessun accordo coi brigatisti, nessuno scambio con i terroristi prigionieri come chiesto.
Lungaggini errori caos: cinquantacinque giorni di terrore. Durante i quali Moro fu sottoposto a un processo da un improvvisato ‘tribunale del popolo’ istituto dai suoi rapitori. Processato e condannato a morte.
Infine il ritrovamento del corpo nel bagagliaio di quella Renault 4 in via Caetani. La fine di una tragedia. Ma non dei suoi misteri. Molti dei quali, oscuri ancora oggi. La verità forse non la sapremo mai.
A distanza di 43 anni, oggi lo stesso groppo in gola