Travolti dagli stessi tir che guidano, risucchiati o decapitati dai macchinari che utilizzano, precipitati dalle impalcature che montano, avvelenati da acidi e polveri che respirano: queste e molte altre le cause di quelle che le cronache chiama ‘morti bianche’.
Una strage senza fine.
Solo ieri i morti sul lavoro sono stati sei: due nel Milanese, una nell’hinterland di Torino, una a Capaci, in provincia di Palermo, un’altra nel Padovano, la sesta nel Pisano. Stamattina un’altra vittima. Un operaio è stato investito da un mezzo pesante tra Poggio Imperiale e San Severo, nel Foggiano, mentre lavorava sull ‘autostrada A14, durante la fase di installazione di un cantiere.
Un bilancio terrificante: nei primi 7 mesi del 2021 i morti sono 677 (fonte: il Manifesto). Un trend in continuo aumento, oltre 15.000 le vittime negli ultimi dieci anni.
E quel che è peggio è che si tratta di disgrazie prevedibili che si sarebbero potute evitare. La maggioranza degli infortuni, sostengono i sindacati di settore, sarebbe infatti causata dal mancato rispetto delle norme di sicurezza, dovuta, come raccontano le cronache all’indomani di ogni tragedia, dalla rincorsa da parte delle imprese al risparmio e all’abbattimento dei costi del lavoro.
Imprese che spesso e volentieri si avvalgono di sub-appalti e di personale precario, retribuito il più delle volte in nero, privato di ogni norma e strumento di sicurezza.
Servono leggi severe, maggiori controlli, protocolli di sicurezza che vanno applicati e non solo propagandati. Serve responsabilità, senso del dovere e rispetto delle regole: quante volte abbiamo sentito queste parole dopo ogni disgrazia?
Dinanzi a queste cifre non basta indignarsi. Le ‘morti bianche’, insieme ai femminicidi, costituiscono una priorità di interventi che la politica non può più rimandare. A cominciare dalla prevenzione, dalla formazione e dalla garanzia di tutele fisiche e contrattuali.
Il lavoro deve garantire opportunità e migliorare la vita. Deve assicurare un presente e un futuro.
Non può e non deve darci morti da piangere un giorno sì e l’altro pure. Non più.
Chiara Farigu