Un fatto storico sconosciuto ai più, la strage dei sardi avvenuta a Itri il 12 luglio del 1911.
Nei libri di storia non ve n’è traccia e i fatti di cronaca risalenti ad un secolo fa vengono dimenticati se nessuno si cura di mantenerli vivi.
Ma se conosciuti ci aiutano a riflettere. E a sconfiggere quei pregiudizi, di cui siamo stati vittime e che ora riversiamo sugli altri, sugli “ultimi”, dimenticando che ultimi lo siamo stati anche noi sino a non molto tempo fa. E che forse, per i Paesi più evoluti e civili del nostro, continuiamo ad esserlo.
Conoscere il passato, fatto di miseria, di sacrifici, di pregiudizi, di paure verso l’altro contribuisce, o perlomeno dovrebbe contribuire, a renderci migliori. A non ripetere gli stessi errori. E’ questa la funzione della storia. Mantenere viva la memoria per evitare che quanto di più tragico abbiamo subito possa ripetersi. E con maggiore atrocità.
Itri 1911. Allora in provincia di Caserta (oggi di Latina) era ed è nota come il paese di Frà Diavolo, al secolo Michele Pezza, il temibile brigante che si macchiò di numerosi omicidi, ma che ebbe la grazia, arruolandosi come colonnello nelle truppe di re Ferdinado IV per difendere la corona borbonica. Per quei meriti, successivamente ottenne il titolo di duca di Cassano.
A Itri, in un torrido luglio del 1911, arrivarono, perché ingaggiati regolarmente, un migliaio di giovani sardi per la costruzione del quinto tronco della ferrovia Roma-Napoli.
Giovani carichi di speranze, con alle spalle un passato di fame e di stenti. Giovani completamenti differenti dagli itrani, per cultura, lingua e orgoglio. Il loro arrivo fu preceduto da un ingombrante e fastidioso venticello che col passare dei giorni si fece più intenso e forte, un vero turbine. Il suo nome non rientra nella rosa dei venti, ma nel più vergognoso dei sentimenti che possiamo provare verso un nostro fratello: PRE-GIUDIZIO, cioè un giudizio “prematuro” o parziale perché basato sulla non conoscenza e naturalmente carico di tutta quella valenza negativa insita nel termine.
La gente del posto li guardava con sospetto mista a ostilità. Quei “sardagnoli” erano anomali, diversi, sicuramente cattivi. Forse banditi, anzi certamente banditi.
In quegli anni imperavano le teorie di Cesare Lombroso, il padre della criminologia, che aveva eretto l’anomalia fisica a segno distintivo del destino dell’uomo delinquente. E secondo la fisiognomica lombrosiana nelle vene dei Sardi, soprattutto delle “zone delinqueziali” scorreva un sangue irrimediabilmente infetto dal virus della violenza.
Teorie, fortunatamente sconfessate e rimosse dalla scienza moderna, ma sostenute con forza ai quei tempi senza che contro di loro si fossero levate voci di protesta da parte di intellettuali qualificati. Al punto che sorprese che perfino la grande scrittrice sarda, e premio Nobel per la letteratura, Grazia Deledda, avesse in qualche modo dato credito a certe ipotesi, accompagnando Lombroso attraverso le regioni della Barbagia e dell’Ogliastra, ben sapendo quali fossero gli obiettivi che le misurazioni di visi e di crani che lo studioso andava meticolosamente prendendo, si prefiggevano e quale fosse il teorema che intendeva dimostrare.
Sospetto, diffidenza, paura, ostilità. Erano questi i sentimenti degli itrani verso quei giovani sardi che cercavano un riscatto sociale attraverso un lavoro per il quale erano stati regolarmente reclutati. Un vero clima d’odio alimentato dai politici locali, nei loro comizi, tendente a far credere agli itrani che i sardi gli stessero rubando il lavoro e contribuissero all’incremento della criminalità.
Ma la cosa veramente insopportabile e che non mandavano giù era che quei giovani Sardi non si piegavano al pagamento del pizzo, imposto dalla camorra.
Bastò una scintilla a far scoppiare l’incendio quel 12 luglio del 1911. Una provocazione, un insulto fuori luogo “sardagnolo” (corrispondente all’odierno “scimmia africana”), da parte degli “italiani”, poi la rissa e il linciaggio. Decine di morti e di feriti. Altrettanti gli arrestati e gli espulsi. Colpevoli di non essersi piegati alla malavita organizzata.
Una brutta pagina. Rimossa dai libri di storia. Come i nomi delle vittime, dimenticati troppo in fretta, che simboleggiano la determinazione di un popolo che non si fa mettere i piedi in testa da niente e nessuno.
Una storia intrisa di #pregiudizio e di #razzismo. Non molto diversa da quanto accade ancora oggi in diverse città protagoniste di fatti spregevoli.
La #memoria storica va tramandata, tenuta viva, sempre. Solo ricordando le sofferenze patite in prima persona c’è la speranza che si possa evitare di commetterne a nostra volta.
Altrimenti dalla storia non s’impara niente.
E il ciclo continua, cambiano gli scenari ma non gli uomini. E neppure gli errori
#accaddeoggi #sardegna #razzismo
Chiara Farigu
*Immagine web