La storia di Savina e Rosa Pilliu, le ‘sorelle coraggio’ che hanno vinto e sconfitto la mafia, andrebbe non solo raccontata ma urlata in tutti i luoghi e in tutte le lingue. A cominciare dalle scuole passando poi per tutte le associazioni deputate a insegnare la legalità e a non farsi sopraffare dai soprusi dei malavitosi.
È una storia di periferia/È una storia da una botta e via
È una storia sconclusionata/Una storia sbagliata, direbbe De Andrè sul ‘caso’ delle due sorelle divenute oggi un simbolo, loro malgrado.
È una storia che parte da lontano, dalla fine degli anni ’80. Tornata alla ribalta grazie al libro ‘Io posso: due donne sole contro la mafia’, scritto a quattro mai da Pif e dal giornalista Marco Lillo e già in cima alle classifiche a pochi giorni dalla sua uscita. E il cui scopo non è solo voler raccontare l’incredibile storia fatta di soprusi e di rivincita quanto di volerne cambiare il finale.
Perché, a distanza di anni, ora è lo Stato che avanza pretese e presenta il conto.
Ma andiamo con ordine. E torniamo nella Palermo degli anni ’90, quando Pietro Lo Sicco, un costruttore legato alla mafia, decide di costruire un palazzo di sette piani (diventato poi di nove piani) in via del Bersagliere, a due passi dal parco della Favorita.
Per portar a compimento la sua opera deve però acquistare il terreno e buttar giù le costruzioni esistenti. Con mezzi leciti e ancor più illeciti, ricorrendo a minacce e soprusi di ogni genere, riesce ad abbatterle tutte, tranne due, quelle delle sorelle Pilliu.
Maria Rosa e Savina, di origine sarda (il padre, sergente maggiore di Lanusei, ridente centro del nuorese, si trasferisce a Palermo per lavoro e lì mette su famiglia con Giovanna Arresu, anch’essa di origine sarda), non ci stanno. Non si piegano e anzi decidono di far valere la legge.
La loro casa e il loro negozio di dolci e prodotti tipici sardi non si tocca. È un bene di famiglia e tale deve restare.
Dinanzi alla schiena dritta delle due sorelle, Lo Sicco, una volta sconfitto dirà: ‘Se avessi saputo che due femmine mi avrebbero fatto tutto questo danno…’. Già. Non sapeva allora di che pasta fossero forgiate le due sorelle, quando incautamente riuscì a farsi certificare, grazie all’appoggio di un assessore corrotto, l’intera proprietà del terreno.
Erano le 11,45 del 27 settembre del 1991 quando Savina e Maria Rosa decidono di passare al contrattacco, dopo anni di minacce e di tentativi piuttosto spicci messi in atto dall’imprenditore per farle sloggiare dalla loro casa.
Lo Sicco non è un malavitoso qualunque: Lui ‘è uno che può’ (loro, no). Ha le spalle ben coperte da chi può molto più di lui, può contare sul sostegno delle ‘famiglie’ di spicco di allora, inoltre possiede uno stuolo di avvocati pronti a documentare intimorire confondere. Davide contro Golia.
Scrive Pif: ‘Immaginate queste due donne di origine sarda, rimaste sole con la madre, a Palermo, senza padre e senza nonno, senza conoscenze che girano le spalle a Lo Sicco’ e si incamminano sotto il sole’, verso quello che un tempo si chiamava ‘il palazzo del governo’, per denunciare le malefatte del costruttore palermitano.
Il funzionario preposto ad accogliere la denuncia dopo averle ascoltate chiede di visionare le carte. Non ci sono dubbi: la concessione n.120 del 3 maggio 1990 rilasciata dal comune a Pietro Lo Sicco è illegale perché basata sulla falsa dichiarazione della titolarità di quei terreni che, per una quota, appartengono alla famiglia Aresu-Pilliu.
Fu l’inizio della fine per il costruttore palermitano. Una battaglia legale durata la bellezza di trenta anni. Quarantaquattro le denunce fatte, oltre 120 i milioni versati per le spese legali. Diversi i processi fatti, tanti troppi i funzionari delle istituzioni che hanno sottovalutato, finto di non vedere, ignorato il problema e ancor più vergognosamente avallato un sistema corruttivo/malavitoso.
Quando la situazione precipita e gli scavi rendono pericolanti le due casette, le Pilliu si recano in Procura. Lì incontrano un uomo che è parte della storia di questo Paese: Paolo Borsellino. Tra giugno e luglio del 1992 lo incontrano ben 4 volte.
È un anno ‘caldo’ in Sicilia. La mafia alza il tiro. In reazione al maxiprocesso, dopo che la Cassazione conferma le condanne all’ergastolo di molti mafiosi, Totò Riina incluso. Il 23 maggio nella strage di Capaci viene ucciso Giovanni Falcone. Borsellino sa bene che il prossimo sarà lui. Eppure continua a vivere la vita come prima. Sempre alla ricerca della verità. Anche con le sorelle Pilliu, uno dei pochi se non l’unico che abbia avuto la pazienza e la volontà di ascoltarle. Il quinto incontro non avverrà mai, Borsellino verrà ucciso nell’attentato di via D’Amelio.
Dopo mille peripezie giudiziarie, finalmente la luce in fondo al tunnel.
Le sorelle Pilliu ottengono l’arretramento del palazzo di alcuni metri (la cui stretta vicinanza aveva indebolito e semidistrutto la loro casa e il loro negozio) e non solo. Lo Sicco viene condannato a 7 anni per il reato di associazione mafiosa e ad un risarcimento civile pari a 750mila euro.
Fin qui tutto bene. Giustizia è fatta, verrebbe da dire. Eh, no, manco per niente. Rosa e Savina infatti non hanno ancora visto il becco di un quattrino in quanto, dopo la condanna, all’imprenditore è stato espropriato ogni bene di sua proprietà.
Ma c’è di più. Perché dopo il danno, arriva puntuale la beffa.
Perché a presentare il conto ora è lo Stato.
Le due sorelle si sono viste recapitare una cartella esattoriale da quasi 23mila euro, pari al 3% di tasse su un risarcimento che non hanno mai ricevuto e che certamente non riceveranno mai.
E qui torniamo allo scopo del libro e alla volontà di voler cambiare il finale di questa incredibile storia. L’intero ricavato di ‘Io posso: due donne sole contro la mafia’, sarà, infatti, interamente devoluto alle sorelle Pilliu, per aiutarle ad affrontare l’ennesima battaglia, chiedendo anche il godimento del fondo vittime di mafia. Sperando, dice Pif, che questa volta, la battaglia possa concludersi con un degno finale. Anche e soprattutto per ribaltare l’ennesima richiesta percepita ancora una volta come ‘Io posso e tu no perché io sono lo Stato e tu no’.
Lodevole iniziativa. Nulla da ridire. Tuttavia sorge spontanea una domanda: come può lo Stato avanzare pretese ben sapendo che nessun risarcimento è stato mai accreditato?
E come può sperare che domani altre Maria Rosa e Savina possano al grido di ‘Io posso, ti combatto perché tu ‘mafia sei una montagna di merda’ se poi chi dovrebbe premiarti arriva con mano rapace ad affossarti a sua volta, rendendoti vittima 2 volte?
Il degno finale dovrebbe essere lo Stato a riscriverlo e non i due autori che hanno avuto il merito di riportare alla ribalta questa storia surreale. Con al centro due donne sole. Esili ma tenaci come le canne della loro terra. Che non si spezzano benché battute dalla furia incessante del maestrale. Che a Palermo ha preso le sembianze di un costruttore legato alla mafia.
Hanno avuto la meglio loro, le 2 canne. E questo è l’insegnamento più grande. La vittoria più bella. Col senno di poi ‘forse un solo rimpianto: non aver accettato di entrare in un programma di protezione. ‘È lui, lo Sicco che deve andare in esilio, non noi’. Se avessimo accettato avremmo provato che lo Stato riconosceva il pericolo e le nostre difficoltà. Oggi forse sarebbe servito a dimostrare di essere vittime di mafia’, racconta Savina.
Già. Perché ora il ‘nemico’ da battere è un altro, lo Stato. Parco quando c’è da dare, avido e pressante quando c’è da prendere. Un brutto colpo per Savina. Già fiaccata nello spirito e anche nel fisico, vista la sua non più giovane età. Maria Rosa è malata, toccherà a lei, scrivere la parola fine a questa lunga e drammatica storia. Ma stavolta non è sola.
Chiara Farigu
*Immagine tratta da un servizio de Le Iene