il blog di chiarafarigu

martedì 14 giugno 2022

Napoli. Galeotta fu quella ‘scarpetta’ a via Toledo

 A volta basta poco per far riaffiorare un ricordo. Una vecchia foto ritrovata in un cassetto, il ritornello di una canzone, un profumo particolare. E quando si rimette a fuoco quel momento, tassello dopo tassello, l’unico desiderio è riviverlo come fosse la prima volta.

Ed eccomi qui, nuovamente a Napoli,  come tre anni fa, in un momento particolarmente felice della mia vita, grazie a questo scatto salvato nella memoria dello smartphone.
C’eravamo trovati bene e ci siamo tornati in quel ristorante di via Toledo. Nessun indugio sul menù, sapevamo già cosa ordinare. Il panorama tutto intorno era semplicemente stupendo, per la vista, già pregna di bellezza, colori e scenari unici, solo l’imbarazzo della scelta.

Accanto a noi, loro, padre madre e figlio, sicuramente stranieri. Forse tedeschi, ci siamo detti. Una bella coppia, lui sembrava un attore o uno sportivo, visto il fisico atletico. Lei, bionda e longilinea, si guardava attorno e sorrideva. Era chiaro che seduta a quel tavolo ci stava da dio. Il ragazzino si divertiva ad arrotolare (maldestramente) gli spaghetti e più ancora a ‘rubare’ dai piatti dei genitori cozze e vongole per divorarle con voracità.

Il cameriere faceva avanti e indietro con portate di ogni tipo. ‘Lui è un salutista’, ho azzardato, ha ordinato verdure ripassate in padella, al gratin e insalate di ogni tipo. Senza disdegnare fritture arrosti e guazzetti di pesce. Poi, come il più godurioso degli italiani inzuppa il pane nel sughetto del piatto del figlio. E nel farlo incrocia il mio sguardo: ‘scarpetta’, gli dico, mimando il gesto. ‘Scarpetta, good!’, ripete, mentre si alza e mi offre del vino.

Il ghiaccio ormai è rotto e cominciamo a raccontarci, più a gesti che a parole, qualcosa delle nostre vite. Si unisce anche il cameriere che spesso fa da interprete. Sono austriaci e festeggiano a Napoli il loro anniversario di matrimonio, ben 17, dice lui, facendo intendere che sono davvero tanti. ‘Noi trenta in più, ben 47’, gli dico io, certa di suscitare stupore e meraviglia per tanta longevità. E così è stato, infatti. Gli chiedo se è uno sportivo visto che ne ha tutta l’aria e la prestanza. ‘Sono uno chef’ mi dice e allora capisco perché abbia voluto assaggiare di tutto e di più: ‘per rubare qualche ‘segreto’ e farlo suo, gli rispondo.

Una piacevole compagnia. Un valore aggiunto a quella cornice meravigliosamente unica che mi accingevo a lasciare per fare rientro a casa. Al momento dei saluti, baci e abbracci come vecchi amici. E un baciamano come forse mai più nella vita.

Chiara Farigu

domenica 12 giugno 2022

Donna Francesca Sanna Sulcis, la signora dei gelsi

 La strada dell’emancipazione femminile in Sardegna parte da lontano. E, se escludiamo Eleonora d’Arborea, (giudicessa del 14° secolo che promulgò la famosa Carta de Logu,) ci porta direttamente alla ‘Signora dei gelsi’, ovvero a Francesca Sanna Sulcis, alla quale ieri Google ha dedicato il suo ‘Doodle’ (immagine rivisitata del suo classico logo) in occasione del suo 306° anno dalla nascita.

Sconosciuta ai più, anche agli stessi isolani, Donna Francesca è stata imprenditrice, educatrice, stilista e vera pioniera del settore tessile,  passata alla storia per la lungimiranza con la quale è riuscita ad istituire una nuova via della seta tutta sarda.

Procediamo per gradi, a cominciare dai suoi natali avvenuti a Muravera, nella splendida Costa Rey del Sud Sardegna,  nel 1716. Figlia di benestanti proprietari agricoli e di allevamenti di bestiame, a 19 anni si unisce in matrimonio con il giureconsulto Pietro Sanna col quale si trasferisce a Cagliari.

Seguiranno anni di grandi cambiamenti per la giovane neo-sposa. E di proficue intuizioni che contribuiranno ad ampliare l’attività di famiglia, che si troverà a gestire in seguito alla morte del padre, grazie alla coltivazione dei gelsi e alla coltura dei bachi da seta. In men che non si dica riuscì a convertire i depositi familiari preesistenti in veri e propri laboratori della seta.

Laboratori che attrezzò con telai modernissimi atti alla lavorazione del filato pregiato, riuscendo così a creare vestiti alla moda dalla lavorazione raffinata e perfetta.

Le sue creazioni hanno vestito le nobildonne di mezza Europa, compresa la zarina Caterina II di Russia, che, in un ritratto esposto all’Ermitage, indossa un suo abito.

Francesca da vera imprenditrice amava occuparsi di tutta la filiera produttiva: dal bozzolo al filo al tessuto e alla formazione di centinaia di giovani donne che istruiva personalmente in appositi corsi di formazione, che dava poi  titolo ad un’occupazione retribuita nei suoi laboratori.

Una vera antesignana della moderna datrice di lavoro femminile. Un’occasione per le donne di quel periodo di affrancarsi da una stato di povertà terrificante e di dipendenza della figura paterna o maschile in senso lato.

La seta filata e prodotta nei suoi laboratori, di qualità superiore rispetto alle altre in uso, trovò presto modo di farsi conoscere fuori dall’isola e nel resto d’Europa.

Nel 18° secolo Francesca inaugurò ‘l’alta moda’, i suoi abiti erano richiestissimi da dame e principesse per la manifattura confortevole ed elegante, la qualità eccelsa del filato e i colori brillanti, vere novità per l’epoca.

A lei si deve anche la creazione di un copricapo femminile, ornato da un ricco broccato, chiamato ‘su cuguddu’, che ancora oggi rappresenta un elemento fondamentale in alcuni abiti tradizionali del Campidano.

Una donna sui generis sia professionalmente che nella vita privata. Continuò la sua attività di imprenditrice anche dopo la morte del marito, cosa davvero inusuale per quei tempi che usava relegare le vedove tra le pareti domestiche a vivere in intimità il proprio lutto.

Muore a 94 anni, due anni prima, non avendo più eredi in vita, lascia tutti i suoi beni ai poveri di Muravera e alla Chiesa con il compito di amministrarli sapientemente. Unita alla promessa che alla sua morte avrebbero provveduto ad assicurarle un funerale semplice, privo di ogni atto celebrativo, com’era stata la sua vita tutta dedita al lavoro senza ostentazioni di sorta alcuna. Sebbene coraggiosa ed anticonformista.

Chi subentrò alla sua attività però non ha la stessa caratura morale e la lungimiranza imprenditoriale di Donna Francesca: le piantagioni di gelsi vennero sostituite da alberi da frutto e della lavorazione della seta non si sentì più parlare.

Tutto ebbe inizio e fine con la vita di colei che immaginò ideò costruì ed esportò nel mondo un’arte manifatturiera sconosciuta per quei tempi: innovativa, creativa moderna.

La sua morte lasciò un grande vuoto nella comunità sarda. La su avita e la storia è emersa dall’oblio grazie  all’opera scritta dal giornalista Lucio Spiga. E’ grazie alla sua penna se oggi abbiamo modo di conoscere un’imprenditrice ante litteram che grazie alla sua intuizione è riuscita ad imporsi in campo internazionale, creando lavoro femminile ed esportando più che abiti vere opere d’arte dai filati unici.

Il suo paese natale per omaggiarne la memoria le ha dedicato il Museo dell’Imprenditoria Femminile

Chiara Farigu

giovedì 9 giugno 2022

Papa Francesco dice no al mito dell’eterna giovinezza: ‘le rughe sono testimonianza dell’esperienza’

 Il monito di Papa Francesco contro l’ossessione di uomini e donne disposti a sottoporsi ad interventi chirurgici di ogni sorta pur di scongiurare gli effetti dell’età che avanza, mi giunge mentre, davanti allo specchio, noto un nuovo segno sul mio viso.  Un evidente ‘portato dell’età’, come viene definito in campo medico. O una ‘ruga di espressione’, quando invece si vuole addolcire la pillola a chi quell’età tenta di esorcizzarla.

Comunque sia, dopo averlo osservato in lungo e largo, ho fatto scorrere il dito indice su quel segno per misurarne la lunghezza, tastarne la profondità e per studiare la possibilità, attraverso qualche escamotage di renderlo meno evidente agli occhi degli altri.

L’esplorazione, a onor del vero, è durata pochi secondi, il ‘ma chi se ne frega’ è arrivato giusto in tempo per spazzare via ogni velleità di ritocco artificioso a suon di cipria e pennello.

Uno in più o in meno che sarà mai, mi son detta, pensiamo alle cose serie. Eppoi tutto sommato, a ben vedere, trova la sua ragion d’essere con il resto della fisionomia di ‘vecchia’ signora, quale appunto mi accingo ad essere.

Accettarsi per quello che si è e non struggersi per quello che non si è e non si sarà mai è la filosofia di pensiero che mi accompagna più o meno da sempre e che, fin dal primo lockdown, mi ha portata a dire basta tingere i capelli lasciando che il grigio e il bianco avessero il sopravvento su un biondo che di naturale non aveva più niente e men che meno senso alla mia veneranda età. Un taglio sbarazzino e fresco ha fatto, e senza rimpianto alcuno, il resto.

Accettarsi, appunto. E volersi bene, come dice Papa Francesco. A ogni età e a maggior ragione quando non si ha più la freschezza e la tonicità di un tempo. ‘Le rughe, ribadisce Francesco, sono testimonianza dell’esperienza, della maturità. E la saggezza è come il vino buono, tanto più invecchi, più è buono. Coltivare il mito dell’eterna giovinezza come un’ossessione è profondamente sbagliato: una cosa è il benessere, altra è l’alimentazione del mito’.

Pensiero tranchant, questo di Bergoglio sulla spasmodica rincorsa all’elisir dell’eterna giovinezza, costi che quel costi. Purché mantenga quanto promette: visi levigati, labbra turgide,  corpi scolpiti.

Sconfiggere la vecchiaia è la parola d’ordine in questa ‘società dello scarto’, come la chiama Francesco, pronta a sbarazzarsi del ‘vecchio’, un tempo dispensatore di conoscenze e saggezza, percepito oggi come un peso, una zavorra di cui liberarsi al più presto.

Diventare vecchi è un privilegio. E come tale va vissuto, raccomanda il Papa mentre assesta un duro colpo al mito della giovinezza artificiale.

E mentre le sue parole riecheggiano nella mia mente, con le mani ripasso quelle rughe sparse qua e là sul mio viso e mi domando se mai un giorno riuscirò ad esserne anche fiera, al pari di Anna Magnani, che dopo aver faticato  tanto per averle non intendeva in alcun modo né attenuarle né tanto meno nasconderle.

Tempo al tempo, dico tra me e me.  Intanto le accetto. Poi si vedrà.

*Immagine Ansa

giovedì 2 giugno 2022

Rino Gaetano dopo 41 anni è più vivo che mai

 C’è da scommetterci. Se Rino fosse ancora tra noi sarebbe l’anticonformista di allora. Lo stesso dissacratore di miti e celebrità che si credono tali.  Lo stesso fustigatore di costumi che metteva magistralmente in musica vizi e virtù di un’Italia poco avvezza ai cambiamenti quanto incline a mantenere un certo status quo.

Chissà quante ne avrebbe cantato di questi ultimi due anni e passa di pandemia. Chissà come avrebbe sbertucciato l’idea che  il virus ci avrebbe reso migliori facendoci riscoprire i veri valori della vita se manco abbiamo aspettato che finisse per riprendere a scannarci l’uno con l’altro più e meglio di prima.

E della crisi che aumenta ogni giorno di più? Dei governi che si susseguono senza la benedizione del popolo? Dei cannoni che son tornati a sparare per far valere insane voglie di supremazie espansionistiche?

Un talento senza tempo, quello di Salvatore Antonio Gaetano, per tutti Rino. Unico. Indimenticabile.

Attualissimo ancora oggi, a distanza di 41 anni dalla sua morte, avvenuta nella notte del 2 giugno del 1981 a Roma in un drammatico incidente stradale. Uno scontro frontale tra la sua macchina che aveva invaso la corsia opposta ed un camion.  Una morte assurda, sopraggiunta anche in seguito ai ritardi coi quali arrivò, ormai privo di vita al Gemelli, dopo essere stato respinto, a causa della mancanza di un’adeguata struttura di traumatologia cranica, da diversi ospedali.

Aveva appena 30 anni. Tanta musica alle spalle e tantissima altra ancora da regalare. Mio fratello è figlio unico, Gianna, Aida, Berta filava, A mano a mano, Sfiorivano le viole, Il cielo è sempre più blu, solo per citare alcuni brani fra i più famosi, sono un cult della canzone italiana.

Un mito assoluto. La sua ‘Nuntereggaepiù’ sembra scritta oggi. Cos’è cambiato 40 anni dopo da questi versi?

La castità
la verginità
la sposa in bianco il maschio forte
i ministri puliti i buffoni di corte
ladri di polli
super pensioni

ladri di stato e stupratori
il grasso ventre dei commendatori
diete politicizzate
evasori legalizzati
auto blu
sangue blu

cieli blu
amore blu
rock and blues
NUNTEREGGAEPIU’

Certo, cambierebbero i Cazzaniga, i Gianni Brera, i Gianni Agnelli citati nel testo ma non mancherebbero vip e politici di nuova generazione a prenderne il posto.

E’ stato, come i miti che rispettano, un anticipatore. Anche se ha faticato e non poco a farsi riconoscere come tale. La sua ironia, la voglia di dissacrare tutto e tutto, sempre pronto allo sberleffo non fu subito compresa da un’Italia ancora troppo bigotta e legata a certe tradizioni. E di certo non ne  ha avuto neanche il tempo.

Gran parte dei riconoscimenti sono avvenuti post mortem, la ristampa dei suoi album è incessante, è amatissimo dalle nuove generazioni. A conferma che il talento, quando c’è, è eterno e quello di Rino non è in  discussione.

Per ricordarne la memoria, dopo due anni online a causa dell’emergenza sanitaria, torna il Rino Gaetano Day, la manifestazione organizzata da Anna e Alessandro Gaetano, al Sessantotto Village di Roma, un grande evento musicale, una due giorni dove i diversi ospiti si alterneranno sul palco per ricordare e salutare l’artista attraverso i suoi puoi grandi successi entrati nel cuore del pubblico di tre generazioni.

Chiara Farigu

*Immagine Corriere.it *Immagine di copertina tratta da Il Messaggero

La nonna paterna? Una nonna a metà (con poche eccezioni)

  Essere nonne è un dono meraviglioso che la vita riserva a chi ha avuto la gioia di essere prima mamma. E’ come diventare madri una seconda...