il blog di chiarafarigu

domenica 30 maggio 2021

‘Io posso’: due donne sole contro la mafia. Storia surreale delle sorelle Pilliu

 La storia di Savina e Rosa Pilliu, le ‘sorelle coraggio’ che hanno vinto e sconfitto la mafia, andrebbe non solo raccontata ma urlata in tutti i luoghi e in tutte le lingue. A cominciare dalle scuole passando poi per tutte le associazioni deputate a insegnare la legalità e a non farsi sopraffare dai soprusi dei malavitosi.

È una storia di periferia/È una storia da una botta e via
È una storia sconclusionata/Una storia sbagliata, direbbe De Andrè sul ‘caso’ delle due sorelle divenute oggi un simbolo, loro malgrado.

È una storia che parte da lontano, dalla fine degli anni ’80. Tornata alla ribalta grazie al libro ‘Io posso: due donne sole contro la mafia’, scritto a quattro mai da Pif e dal giornalista Marco Lillo e già in cima alle classifiche a pochi giorni dalla sua uscita. E il cui scopo non è solo voler raccontare l’incredibile storia fatta di soprusi e di rivincita quanto di volerne cambiare il finale.

Perché, a distanza di anni, ora è lo Stato che avanza pretese e presenta il conto.

Ma andiamo con ordine. E torniamo nella Palermo degli anni ’90, quando Pietro Lo Sicco, un costruttore legato alla mafia, decide di costruire un palazzo di sette piani (diventato poi di nove piani) in via del Bersagliere, a due passi dal parco della Favorita.

Per portar a compimento la sua opera deve però acquistare il terreno e buttar giù le costruzioni esistenti. Con mezzi leciti e ancor più illeciti, ricorrendo a minacce e soprusi di ogni genere, riesce ad abbatterle tutte, tranne due, quelle delle sorelle Pilliu.

Maria Rosa e Savina, di origine sarda (il padre, sergente maggiore di Lanusei, ridente centro del nuorese, si trasferisce a Palermo per lavoro e lì mette su famiglia con Giovanna Arresu, anch’essa di origine sarda), non ci stanno. Non si piegano e anzi decidono di far valere la legge.

La loro casa e il loro negozio di dolci e prodotti tipici sardi non si tocca.  È un bene di famiglia e tale deve restare.

Dinanzi alla schiena dritta delle due sorelle, Lo Sicco, una volta sconfitto dirà: ‘Se avessi saputo che due femmine mi avrebbero fatto tutto questo danno…’. Già. Non sapeva allora di che pasta fossero forgiate le due sorelle, quando incautamente riuscì a farsi certificare, grazie all’appoggio di un assessore corrotto, l’intera proprietà del terreno.

Erano le 11,45 del 27 settembre del 1991 quando Savina e Maria Rosa decidono di passare al contrattacco, dopo anni di minacce e di tentativi piuttosto spicci messi in atto dall’imprenditore per farle sloggiare dalla loro casa.

Lo Sicco non è un malavitoso qualunque: Lui ‘è uno che può’ (loro, no)Ha le spalle ben coperte da chi può molto più di lui, può contare sul sostegno delle ‘famiglie’ di spicco di allora, inoltre possiede uno stuolo di avvocati pronti a documentare intimorire confondere. Davide contro Golia.

 Scrive Pif: ‘Immaginate queste due donne di origine sarda, rimaste sole con la madre, a Palermo, senza padre e senza nonno, senza conoscenze che girano le spalle a Lo Sicco’  e si incamminano sotto il sole’,  verso quello che un tempo si chiamava ‘il palazzo del governo’,  per denunciare le malefatte del costruttore palermitano.

Il funzionario preposto ad accogliere la denuncia dopo averle ascoltate  chiede di visionare le carte. Non ci sono dubbi: la concessione n.120 del 3 maggio 1990 rilasciata dal comune a Pietro Lo Sicco è illegale perché basata sulla falsa dichiarazione della titolarità di quei terreni che, per una quota, appartengono alla famiglia Aresu-Pilliu.

Fu l’inizio della fine per il costruttore palermitano. Una battaglia legale durata la bellezza di trenta anni. Quarantaquattro le denunce fatte, oltre 120 i milioni versati per le spese legali. Diversi i processi fatti, tanti troppi i funzionari delle istituzioni che hanno sottovalutato, finto di non vedere, ignorato il problema e ancor più vergognosamente avallato un sistema corruttivo/malavitoso.

Quando la situazione precipita e gli scavi rendono pericolanti le due casette, le Pilliu si recano in Procura. Lì incontrano un uomo che è parte della storia di questo Paese: Paolo Borsellino. Tra giugno e luglio del 1992 lo incontrano ben 4 volte.

È un anno ‘caldo’ in Sicilia. La mafia alza il tiro. In reazione al maxiprocesso, dopo che la Cassazione conferma le condanne all’ergastolo di molti mafiosi, Totò Riina incluso. Il 23 maggio nella strage di Capaci viene ucciso Giovanni Falcone. Borsellino sa bene che il prossimo sarà lui. Eppure continua a vivere la vita come prima. Sempre alla ricerca della verità. Anche con le sorelle Pilliu, uno dei pochi se non l’unico che abbia avuto la pazienza e la volontà di ascoltarle. Il quinto incontro non avverrà mai, Borsellino verrà ucciso nell’attentato di via D’Amelio.

Dopo mille peripezie giudiziarie, finalmente la luce in fondo al tunnel.

Le sorelle Pilliu ottengono l’arretramento del palazzo di alcuni metri (la cui stretta vicinanza aveva indebolito e semidistrutto la loro casa e il loro negozio) e non solo. Lo Sicco viene condannato a 7 anni per il reato di associazione mafiosa e ad un risarcimento civile pari a 750mila euro.

Fin qui tutto bene. Giustizia è fatta, verrebbe da dire. Eh, no, manco per niente. Rosa e Savina infatti non hanno ancora visto  il becco di un quattrino in quanto, dopo la condanna, all’imprenditore è stato espropriato ogni bene di sua proprietà.

Ma c’è di più. Perché dopo il danno, arriva puntuale la beffa.

Perché a presentare il conto ora è lo Stato.

Le due sorelle si sono viste recapitare una cartella esattoriale da quasi 23mila euro, pari al 3% di tasse su un risarcimento che non hanno mai ricevuto e che certamente non riceveranno mai.

E qui torniamo allo scopo del libro e alla volontà di voler cambiare il finale di questa incredibile storia. L’intero ricavato di ‘Io posso: due donne sole contro la mafia’sarà, infatti, interamente devoluto alle sorelle Pilliu, per aiutarle ad affrontare l’ennesima battaglia, chiedendo anche il godimento del fondo vittime di mafia. Sperando, dice Pif, che questa volta, la battaglia possa concludersi con un degno finale.  Anche e soprattutto per ribaltare l’ennesima richiesta percepita ancora una volta come  ‘Io posso e tu no perché io sono lo Stato e tu no’.

Lodevole iniziativa. Nulla da ridire. Tuttavia sorge spontanea una domanda: come può lo Stato avanzare pretese ben sapendo che nessun risarcimento è stato mai accreditato?

E come può sperare che domani altre Maria Rosa e Savina possano al grido di ‘Io posso, ti combatto perché tu ‘mafia sei una montagna di merda’ se poi chi dovrebbe premiarti arriva con mano rapace ad affossarti a sua volta, rendendoti vittima 2 volte?

Il degno finale dovrebbe essere lo Stato a riscriverlo e non i due autori che hanno avuto il merito di riportare alla ribalta questa storia surreale. Con al centro due donne sole. Esili ma tenaci come le canne della loro terra. Che non si spezzano benché battute dalla furia incessante del maestrale. Che a Palermo ha preso le sembianze di un costruttore legato alla mafia.

Hanno avuto la meglio loro, le 2 canne. E questo è l’insegnamento più grande. La vittoria più bella.  Col senno di poi ‘forse un solo rimpianto: non aver accettato di entrare in un programma di protezione. È lui, lo Sicco che deve andare in esilio, non noi’. Se avessimo accettato avremmo provato che lo Stato riconosceva il pericolo e le nostre difficoltà. Oggi forse sarebbe servito a dimostrare di essere vittime di mafia’, racconta Savina.

Già. Perché ora il ‘nemico’ da battere è un altro, lo Stato. Parco quando c’è da dare, avido e pressante quando c’è da prendere. Un brutto colpo per Savina. Già fiaccata nello spirito e anche nel fisico, vista la sua non più giovane età.  Maria Rosa è malata, toccherà a lei, scrivere la parola fine a questa lunga e drammatica storia. Ma stavolta non è sola. 

Chiara Farigu 

*Immagine tratta da un servizio de Le Iene

giovedì 27 maggio 2021

Corte dei Conti. Fuga di cervelli in aumento: in otto anni cresciuta quasi del 42%

 A confermare quanto più volte ribadito e raccontato in tutti i modi e in tutte le salse dai diversi istituti di statistica, il report della Corte dei Conti sul sistema universitario 2021: in otto anni il fenomeno dei cosiddetti ‘cervelli in fuga’ è aumentato del 41,8%.

Due le cause principali: le persistenti difficoltà a entrare nel mercato del lavoro e il fatto che il possesso della laurea non offre, come invece avviene in area Ocse, migliori possibilità di impiego. A queste si aggiungono le limitate prospettive occupazionali che spingono sempre più laureati a lasciare il Paese.

Che l’Italia non sia un paese per giovani lo si scrive e lo si denuncia da tempo. Basta guardarsi attorno. Non servono studi di settore per confermare quanto è già evidente nelle nostre case, nelle nostre città da nord a sud, isole comprese. E se non è appetibile per i giovani in generale, figuriamoci per chi ha completato un percorso formativo universitario.

Sono tanti, troppi, i Marcello, Tiziana, Valerio, Francesca, Davide e Maria che, terminati gli studi accademici, dopo essersi guardati intorno, inviato centinaia di mail e di CV, sostenuto innumerevoli colloqui conclusosi con il classico “le faremo sapere”, che si traduce poi con un nulla di fatto, hanno deciso di spiccare il volo. Dapprima in numero contenuto, poi sempre di più. Fino a perderne il conto. Tanto che più che fuga lo si dovrebbe definire esodo quella dei ‘cervelli’ oltre i confini.

Non c’è agenzia o istituto di ricerca che non rimarchi, periodicamente, questo trend negativo oltre che inarrestabile. Tutte concordi nel puntare il dito sulla scarsa capacità del nostro Paese di trattenere in suolo patrio i propri talenti.

Nel 2016, oltre 10000 laureati hanno oltrepassato i confini, il doppio di quanto registrato nel 2012. Una forbice che si è ulteriormente allargata, fino a raggiungere i numeri denunciati dalla Corte dei Conti: il 41,8% in più rispetto al 2013.

Una perdita inestimabile per il nostro Paese. Un potenziale umano, che si è formato in Italia ma che andrà a fare grandi quei Paesi dove la cultura, a differenza del nostro, la promuovono, la incentivano, la finanziano e la retribuiscono adeguatamente.

Siamo il Paese dei paradossi. Veniamo costantemente bacchettati per essere la maglia nera in Europa per numero di diplomati e laureati e poi quando possiamo contare su queste eccellenze ce le facciamo sfuggire. Incapaci come siamo di trattenerle con opportunità lavorative adeguate.

Non c’è Regione esente da questa fuga, anche se il picco più considerevole come sempre spetta al Sud e alle isole dove la disoccupazione giovanile raggiunge cifre esponenziali.

Politiche inadeguate, scarse risorse (solo un risicato 4% del Pil rispetto al 5,2% della media Ocse, è destinato all’istruzione), lungimiranza pari a zero per il dopo percorso universitario.

Un cane che si morde la coda. Sono troppo pochi i laureati (elevati e, a carico delle famiglie, i costi per gli studi, carenti i sostegni economici per gli studenti meritevoli meno abbienti, sottolinea la Corte dei Conti), e troppi, tra quei laureati che mettono in valigia sogni e aspettative di un futuro vivibile per cercare all’estero nuove e migliori opportunità di lavoro e di vita: circa 3mila ogni anno.

Un’emorragia di talenti in fuga da un’Italia che non saprebbe cosa farne, una grave ferita economia e sociale. Quantificabile in oltre 14 miliardi, secondo uno studio di Confindustria di qualche tempo fa.

 Inestimabile invece la perdita umana. La migliore perché la più giovane, la più istruita, la più vitale.

Un fenomeno da non sottovalutare, ammonisce la Corte. Che deve essere risolto con interventi normativi mirati alla valorizzazione del merito studentesco.

Ora o mai più, verrebbe da dire. Considerata anche l’opportunità della cosiddetta ‘ripartenza’  nell’era post-covid e dei fondi europei stanziati per dar vita a  progetti di modernizzazione in tutti i settori sociali ed economici, nonché culturali del nostro Paese.

Saprà l’Italia accettare la sfida e mettersi al passo con gli altri Paesi Ocse? 

Solo il tempo ci dirà se coi fondi stanziati nel Recovery Plan la politica è stata in grado  invertire una rotta che, al momento, pare senza ritorno.

O se, ancora una volta, sarà stata una scommessa persa.

Chiara Farigu 

martedì 25 maggio 2021

Stintino, estate 2021: numero chiuso e biglietto d’ingresso per ‘La Pelosa’

 ‘La Pelosa’, vero paradiso terrestre ubicato nel comune di Stintino (estrema punta nord occidentale della Sardegna), è pronta ad accogliere turisti e bagnanti in questa estate ormai alle porte.

E per salvaguardare sia il tratto di mare “caraibico” incastonato tra i colori e i profumi della macchia mediterranea, sia la sua spiaggia, riconosciuta universalmente come una delle più belle d’Europa, ha fissato, come lo scorso anno, alcuni provvedimenti per la gestione dell’arenile e dell’ambiente circostante.

  • Questo, nel dettaglio, quanto disposto dall’amministrazione comunale in vigore dal 1à giugno.

La sabbia bianchissima di questa incantevole oasi sarda è da tutelare. Perché a rischio sia per le continue erosioni dovute all’azione del mare e sia per il continuo calpestio dei troppi bagnanti che d’estate la prendono d’assalto. Spiaggia che anno dopo anno si sta inesorabilmente assottigliando.

Diversi, ma non sufficienti, sono stati i provvedimenti messi in atto dall’amministrazione comunale nelle passate stagioni estive.  Come la sostituzione dei classici teli da mare con stuoie di paglia o materiali simili per evitare di trattenere i preziosi granelli di sabbia e scongiurare così il depauperamento dell’arenile.

Pertanto si è provveduto a varare ulteriori misure a partire dallo scorso giugno che verranno estesi anche all’estate 2021: accessi limitati, automobili off-limits e ingressi a pagamento.

Spiaggia a numero chiuso. Non più di 1500 bagnanti, a fronte degli oltre 5000 delle stagioni precedenti. E l’ingresso sarà a pagamento, al costo di 3euro e 50, incluso l’utilizzo dei servizi igienici e delle docce.  Ingresso gratuito per i bambini sino ai 12 anni.

Vietato però chiamarlo ‘ticket’ perché il costo del biglietto servirà esclusivamente per la manutenzione dell’arenile. Ai bagnanti sarà consegnato un braccialetto biodegradabile, di colore differente ogni giorno, come segno distintivo di chi è abilitato all’accesso.

La macchina, già rodata lo scorso lo anno, è ai nastri di partenza. Può essere solo integrata e perché no, perfezionata. Anche in concomitanza con le altre restrizioni anticontagio imposte per le strutture balneari.

Basteranno queste misure a salvaguardare la preziosissima spiaggia che tutto il mondo ci invidia? Presto per dirlo. Ma il primo cittadino di Stintino e i residenti tutti se lo augurano davvero: la Pelosa e la sua spiaggia sono un bene prezioso. Unico. Da salvaguardare

Chiara Farigu

Risultato immagini per la pelosa

*Immagini tratte dal web

domenica 23 maggio 2021

Piemonte, incidente funivia Stresa-Mottarone: 14 le vittime. La procura indaga per omicidio colposo plurimo

 

Aggiornamenti in corso- 24/05/2021

Salgono a 14 le vittime dell’incidente avvenuto ieri lungo la linea della funivia Stresa-Alpino Mottarone: non ce l’ha fatta uno dei due bambini che era stato trasportato con l’eliambulanza, in gravissime condizioni, all’ospedale Regina Margherita di Torino, mentre si continua a sperare che possa farcela il più piccolo dei due.

Messa sotto sequestro la struttura. La procura indaga per omicidio colposo plurimo. 

Si cerca di capire perché si sia spezzato uno dei due cavi che sostengono la struttura e perché non sia entrato in funzione il sistema di sicurezza. Atteso in mattinata un tavolo tecnico con il ministro delle Infrastrutture Enrico Giovannini e il capo della Protezione Civile Fabrizio Curcio e altre autorità territoriali.

A Stresa oggi è lutto cittadino. 

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 23/05/2021

Una giornata di festa, di ritorno alla vita dopo un periodo buio segnato  dalla pandemia che si è trasformata in tragedia sulla montagna che domina il lago Maggiore: una cabina della funivia che collega Stresa con il Mottarone è precipitata.

L’incidente, secondo le prime ricostruzioni, sarebbe stato causato dal cedimento di una fune, nella parte più alta del tragitto che, partendo  dal lago Maggiore, arriva a quota 1491 metri.

Tragico il bilancio del disastro: tredici le vittime, tre feriti gravi, due dei quali minorenni, un bambino di nove anni, l’altro di cinque, prontamente soccorsi e trasportati a bordo di due eliambulanze in codice rosso all’ospedale Regina Margherita di Torino.

Drammatico il reportage fotografico del soccorso alpino dei VV.FF. che ritrae la cabina bianca e rossa ai piedi del bosco, completamente accartocciata, dopo un volo, si suppone, da un’altezza di circa 80 metri.

‘Oggi è il giorno del dolore e dello sgomento. Non è il momento di addossare responsabilità a nessuno. E’ un lutto per tutta la comunità’, ha dichiarato la sindaca di Stresa Marcella Saverino, aggiungendo che saranno le indagini ad accertare le modalità dell’incidente.

Numerosi i messaggi di cordoglio alle famiglie delle vittime giunti in queste ore, compreso quello del presidente Draghi a nome di tutto il governo.

Chiara Farigu 

*Immagine soccorso alpino VV.FF.

martedì 18 maggio 2021

Coprifuoco e riaperture: date e regole nel nuovo decreto in vigore dal 18 maggio

 Il coprifuoco ha giorni contati. Spostato di un’ora, alle 23, dalla mezzanotte di oggi 18 maggio, subirà un ulteriore allungamento alle 24 dal 7 giugno per essere poi eliminato definitivamente dal 21 giugno in concomitanza con l’inizio della stagione estiva.

E’ questa una delle misure di allentamento delle restrizioni prese ieri all’unanimità dal Consiglio dei Ministri (già in Gazzetta Ufficiale) insieme al nuovo pacchetto delle riaperture a partire fin dalla prossima settimana.

Allentamento reso possibile dagli ultimi dati confortanti su contagi e vaccinazioni somministrate e dal parere favorevole degli esperti del CtS.

I punti chiave all’OdG:

  • coprifuoco e riaperture
  • ritorno alle zone bianche
  • nuovi parametri in arrivo

Il tutto sempre e solo gradualmente. Per scongiurare dolorose chiusure qualora i contagi tornassero a farla da padrone.

Queste le date stabilite per le riaperture:

  • 22 maggio: riapertura dei centri commerciali in zona gialla nelle giornate festive e prefestive;
  • 24 maggio: anticipata la riapertura delle palestre con le norme vigenti di distanziamento e sanificazione dei macchinari, divieto di utilizzo di docce e spogliatoi;
  • 1 giugno: potranno riaprire al chiuso, a pranzo e a cena, bar e ristoranti. Autorizzata anche la presenza di pubblico per tutti gli eventi e competizioni sportive all’aperto, spostata al 1 luglio, nei limiti già fissati (1000 all’aperto, 500 al chiuso), e non più e non solo per le competizioni di interesse nazionale;
  • 7 giugno: se il trend dei contagi si manterrà stabile e anzi migliorerà diverse regioni potrebbero tornare in zona bianca, Sardegna, Molise e Friuli Venezia Giulia potrebbero fare da apripista ad altre in dirittura d’arrivo;
  • 15 giugno: ok a matrimoni, (con green-pass), convegni e congressi anche al chiuso e alla riapertura di parchi divertimento;
  • 1 luglio: potranno riaprire tutte le attività di sale giochi, sale scommesse, bingo e casinò. Così come i centri culturali, sociali e ricreativi, corsi di formazione pubblici e privati;

Ok anche alla riapertura delle piscine al chiuso.

 

Nessuna autorizzazione in questo decreto invece per la ripartenza di sale da ballo, discoteche e simili, sia al chiuso che all’aperto.

 

Cambiano i parametri delle zone rosse arancioni e gialli. Il famigerato Rt verrà sostituito da altri fattori: a contare sarà l’incidenza dei nuovi casi su 100mila abitanti, il tasso di ospedalizzazione e il numero di terapia intensiva in area medica. Dei 21 parametri precedenti ne rimangono solamente 12, si torna in zona bianca con casi inferiori al numero 50.

Insomma si torna alla normalità. Con gradualità e prudenza. A fare la differenza sarà l’avanzamento della campagna vaccinale e l’arrivo della stagione estiva, due ottimi antidoti contro un virus che con le sue varianti è un nemico davvero duro da sconfiggere.

Chiara Farigu

*Immagine di copertina tratta dal web

Franco Battiato. Addio al Maestro della musica italiana

 Se n’è andato stamattina nella sua casa di Milo Franco Battiato. Un gigante della musica. Un genio assoluto. Per decenni ha ‘danzato col tempo, come un filo d’erba’, intrecciando sogni culture e linguaggi, portandoci, con la sua musica, in quei mondi sconosciuti misteriosi ma sempre affascinanti.

Definirlo semplicemente cantautore significa fare torto alla sua arte: è stato compositore, arrangiatore, musicista a 360° gradi, regista e pittore.

Ha cantato l’amore, i sentimenti, la sua visione onirica della vita. Ha sperimentato e amalgamato diversi generi musicali spaziando nel tempo e nelle culture come solo lui sapeva fare. Colto, visionario, mistico, melodico, Battiato ha rappresentato per decenni qualcosa di unico nella musica italiana. Non è superfluo né retorico dire che la sua scomparsa lascia un grande vuoto nel panorama musicale e culturale italiano e internazionale.

Vasta e imponente la sua discografia‘La cura’ è uno dei suoi successi maggiori, il cui testo e stato considerato dai critici il più bello e commovente di tutta la canzone italiana. Il tema centrale della canzone è il tempo e il fatto che tutto, anche le relazioni umane, siano condizionate da questo fattore. Indimenticabile l’album ‘Centro di gravità permanente’ che gli ha dato la popolarità, pubblicato nel 1981, da cui sono stati tratti diversi singoli tutti di grande impatto e successo. Un testo che a prima vista appare visionario e strampalato ma che racconta il senso di smarrimento che lo attraversa e della necessità di trovare un punto stabile.

Con lui oggi se va un grande.

Ci resta la sua musica a fare da colonna sonora a questi tempi incerti,  pregni di grandi preoccupazioni. Ancora una volta è lui, il Maestro Battiato a ricordarci  che benché ‘la primavera tardi ad arrivare’, si può sempre sperare che ‘il mondi torni a quote più normali’.

Povera patria

Schiacciata dagli abusi del potere

Di gente infame, che non sa cos’è il pudore

Si credono potenti e gli va bene quello che fanno

E tutto gli appartiene

Tra i governanti

Quanti perfetti e inutili buffoni

Questo paese devastato dal dolore

Ma non vi danno un po’ di dispiacere

Quei corpi in terra senza più calore?

Non cambierà, non cambierà

No cambierà, forse cambierà

Ma come scusare

Le iene negli stadi e quelle dei giornali?

Nel fango affonda lo stivale dei maiali

Me ne vergogno un poco e mi fa male

Vedere un uomo come un animale

Non cambierà, non cambierà

Sì che cambierà, vedrai che cambierà

Si può sperare

Che il mondo torni a quote più normali

Che possa contemplare il cielo e i fiori

Che non si parli più di dittature

Se avremo ancora un po’ da vivere

La primavera intanto tarda ad arrivare

Chiara Farigu 

*Immagine Ansa

domenica 16 maggio 2021

Claudio Baglioni: 70 anni di età e 50 di carriera ma ‘la vita è adesso’

 “E, per una volta tanto, fa davvero piacere essere ‘sbattuti su un muro’”, commenta così Claudio Baglioni dinanzi al murale che i suoi fan hanno realizzato a Centocelle, il quartiere romano dove il cantante è nato e cresciuto settant’anni fa.

Un omaggio che ha colto di sorpresa l’artista da sempre poco avvezzo a esternare stati d’animo sui social quanto a confezionarli superbamente con note musicali uniche nel loro genere. ‘L’avete pensata bella. Una gran cosa per una buona causa. Il mio apprezzamento e la mia gratitudine non hanno voce e parole sufficienti e adeguate. È una sensazione bizzarra e stupefacente’, scrive sul suo profilo FB nel ringraziare i tanti che, in occasione del suo compleanno, lo hanno letteralmente sommerso di messaggi d’auguri.

Un quartiere sui generis Centocelle, ricorda l’artista, ‘qui si diventava delinquenti o intellettuali. Io scelsi la seconda opzione e mi immedesimai a tal punto che fui soprannominato Agonia’.

Una scelta radicale per quel giovane spilungone con una cascata di capelli lunghi e vaporosi che già strimpellava per hobby la chitarra. Non pensava certo a quei tempi che la musica sarebbe stata non solo una passione da coltivare ma una carriera da costruire e perseguire.

Una carriera sempre in salita che dura da oltre cinquanta anni per il ‘cantautore dei sentimenti’, come viene comunemente definito dai suoi fan. Un mito. Elegante, carismatico, voce graffiante inconfondibile, oltre 60milioni di dischi venduti.

Questo piccolo grande amore, Lia, Avrai, Porta portese, Strada facendo, Poster, Io me ne andrei, Amore bello, Mille giorni di te e di me, La vita è adesso, sono solo titoli dei suoi brani più celebri, divenuti tutti degli evergreen per l’attualità e la freschezza dei testi. Canzoni che hanno fatto da colonna sonora a diverse generazioni, canzoni che hanno la storia della musica e del cantautorato italiano.

Non si è fatto mancare nulla il Claudio nazionale. Dai duetti con celebri artisti come Mia Martini, Morandi, Pino Daniele, tanto per citarne alcuni, alle esperienze televisive con Fazio i ‘Anima mia’, sino ad approdare nelle vesti di conduttore e direttore artistico alla guida di Sanremo nel 2018 e nel ’19.

Settant’anni e non sentirli: il 2 giugno sarà in concerto live streaming dal Teatro dell’Opera di Roma. Un ritorno dopo più di un anno di assenza dovuto alla pandemia che i fan aspettano con trepidazione.

Nello scorso dicembre  è uscito un nuovo album di inediti ‘In questa storia, che è la mia’, un ‘classico’, ovvero una sorta di ritorno alle origini di quella grande tradizione pop, racconta l’artista romano, nella quale si è sempre riconosciuto e continua a riconoscersi.

Per i suoi settant’anni il più gradito dei regali: un’agenda fitta di appuntamenti in giro per l’Italia per riportare la musica nelle piazze e nei teatri oltre che nei cuori di chi, ‘strada facendo’, lo segue da più di cinquant’anni.

Auguri Claudio!

Chiara Farigu 

*Immagine AdnKronos

sabato 15 maggio 2021

Stati Generali della Natalità: ‘Senza figli l’Italia è destinata a scomparire’

 Natalità: è unanime il grido d’allarme che giunge da Papa Francesco e dal presidente Draghi dall’Auditorium della Conciliazione di Roma in occasione degli Stati Generali dedicati appunto alla crisi demografica in Italia.

Un declino inarrestabile.

Solo 10 anni fa per ogni 100 residenti morti i neonati erano 96. Oggi se ne contano a malapena 67.
Si tratta ‘del più basso livello di ricambio naturale mai espresso dal Paese dal 1918’, recita il report dell’Istat sugli indicatori demografici nel 2020.

Un trend negativo che è stato accentuato ancor più dagli effetti dell’epidemia Covid-19. Il nuovo record di poche nascite (404 mila, dati Istat 2020) e l’elevato numero di decessi (746 mila), il più alto mai registrato in Italia dal secondo dopoguerra (attualmente sono 124mila) aggravano la dinamica naturale negativa che caratterizza il nostro Paese.

Calano le nascite e di conseguenza calano i residenti, al primo gennaio del 2020 si contano 60 milioni 317mila italiani: 116mila in meno su base annua.

Non solo.

Stiamo diventando un Paese di vecchi e per vecchi.

Le cause? Più o meno le stesse che ci portiamo appresso da oltre un decennio: una crisi dura a morire e politiche insufficienti a favore dei giovani i quali, sempre più spesso, mettono in valigia sogni e aspettative e oltrepassano i confini in cerca di nuove e più redditizie opportunità lavorative.

Difficile metter su famiglia in assenza di lavoro o con lavori precari e sottopagati. Ancora più difficile poi per le donne riuscire a conciliare lavoro e famiglia. Pochi e insufficienti gli investimenti sulle famiglie, quasi inesistente la flessibilità sul lavoro.

E questo per molte di loro comporta dover scegliere tra un figlio o il lavoro. Una scelta sofferta. Che porta a rimandare il desiderio di maternità, è di 32,1 anni l’età media della prima gravidanza, e a contenere il numero dei figli, sempre più spesso unico.

Le conseguenze, come confermano periodicamente gli istituti di statistica, è l’inevitabile fenomeno delle ‘culle vuote’. Vuote di speranze, vuote di ricambio generazionale, vuote di linfa vitale: ‘Senza figli l’Italia è destinata a scomparire’ ha ribadito Il Presidente del Consiglio.

‘Se le famiglie non sono al centro del presente, non ci sarà futuro; ma se le famiglie ripartono, tutto riparte’, queste le parole di Papa Francesco, da sempre fautore della natalità e del sostegno alle donne affinché possano decidere in tutta tranquillità e con l’assistenza necessaria di mettere al mondo i figli. Le prime, doveroso ricordarlo, a perdere il lavoro, quando ce l’hanno, in periodi di crisi, oltre il 70% nell’anno covid, sono loro, le donne. Così come ad essere sottopagate, a parità di orario e mansioni, rispetto ai loro colleghi uomini.

Occorre investire sulle famiglie, è stato ribadito più volte al forum de Gli Stati Generali. Un primo passo arriva con l’assegno unico che dal prossimo anno verrà esteso a tutti, ha annunciato Draghi. Una ‘misura epocale’, così l’ha definita, che ci sarà anche negli anni a venire, ‘su cui non ci si ripensa l’anno dopo’.

Un primo passo certo. Ma ancora insufficiente per invogliare a far figli senza una prospettiva futura che garantisca lavoro stabile e ben retribuito e un welfare familiare adeguato.

La strada da fare è ancora molto lunga per lasciarsi alle spalle ‘l’inverno grigio e freddo’.

Invertire la rotta non solo si può ma si deve.

Ma senza una politica lungimirante e investimenti seri ancora una volta, ahimè, incontri a tema come quest’ultimo resteranno solo buoni proponimenti e nulla più.

Chiara Farigu 

*Immagine pixabay

venerdì 14 maggio 2021

Un anno fa ci lasciava il Maestro Ezio Bosso

 Se ne andava esattamente un anno fa, a 47 anni, nella sua casa di Bologna Ezio Bosso. Lasciando un gran vuoto nel modo della musica e nella cultura in generale.

Una morte avvenuta in piena pandemia, quando era impossibile onorare i defunti con qualsiasi tipo di cerimonia. A distanza di un anno, il Maestro potrà essere salutato presso il Cimitero monumentale di Torino, dove è stata depositata l’urna con le sue ceneri.

In omaggio al suo ricordo e alla sua arte sono previsti, sempre nel rispetto delle restrizioni covid, diverse manifestazioni sia in presenza ma soprattutto in streaming, a breve verrà pubblicato un cofanetto con musica e testi inediti del Maestro.

Non conoscevo Ezio Bosso. Lo scoprii per caso, quando, ospite  a Sanremo nel 2016, illuminò a giorno il palco dell’Ariston con la sua musica. Una esibizione da standing ovation la sua, pianista, compositore e direttore d’orchestra di fama internazionale che riuscì fin dalle prime note di ‘Following a bird’  a commuovere anche il più esigente e impassibile spettatore dell’ultima fila in sala  o quello annoiato sul divano di casa.

Ricordo i brividi lungo la schiena durante la chiacchierata con Carlo Conti, padrone di casa di quell’edizione. Lui affetto da una malattia degenerativa che gli impediva di deambulare e parlare come i cosiddetti ‘normali’,  raccontò come l’imbarazzo per quella sua disabilità fosse  più degli altri, i cosiddetti ‘i sani cronici’, come li chiamava, che sua.

La musica una passione coltivata fin da piccolissimo, a quattro anni, quando ha iniziato a studiarla con una prozia pianista. Una formazione continua la sua, un amore infinito per quell’arte che deve unire, emozionare, far sognare. ‘La musica dovrebbe essere materia d’insegnamento in tutte le scuole a partire dall’infanzia’, amava ripetere nelle sue interviste, il Maestro. ‘La musica è dentro di noi, è la nostra stessa essenza’. 

‘Se mi volte bene, smettete di chiedermi di mettermi al pianoforte e suonare’, disse alla Fiera del Levante, a Bari due anni fa, dopo un’esibizione che mandò in visibilio il pubblico presente. ‘Non sapete la sofferenza che mi provoca questo, perché non posso, ho due dita che non rispondono più bene e non posso dare alla musica abbastanza. E quando saprò di non riuscire più a gestire un’orchestra, smetterò anche di dirigere’.

Un annuncio che fu interpretato dalla stampa come un probabile ritiro. Prontamente smentito dal Maestro nel suo profilo Facebook. Nessun ritiro, se non dai concerti. La musica lui avrebbe continuato a dirigerla.

‘La malattia mi ha allenato alla quarantena’, raccontò in un’intervista dalla sua casa di Bologna dove viveva la fase uno anti-covid. Un solo motivo di sconforto, in quella casa entrava poco sole. Pertanto ‘la prima cosa che farò sarà mettermi al sole. La seconda, abbracciare un albero’.

Ciao, Maestro.  La tua musica continuerà  a regalarci meravigliose emozioni!

Chiara Farigu 


lunedì 3 maggio 2021

Massimo Ranieri, i 70 anni dello ‘scugnizzo' della musica italiana

 Era solo un ragazzino quando si sentì intimare dal padre ‘smettila di cantare che ci servi a casa’. E lui, Gianni Calone, in arte Massimo Ranieri, quinto di otto figli, iniziò fin da allora a guadagnarsi la pagnotta. Lavoretti umili, strillone di giornali, garzone di una panetteria, fattorino, commesso, barista, per portare in famiglia qualcosa, ma quel consiglio paterno, come si suol dire quando c’è la passione, da un orecchio gli entrò e dall’altro gli uscì.

Nato a Napoli nel rione Pallonetto a Santa Lucia, Massimo compie oggi 70 anni. Il suo debutto avvenne che era ancora uno  ‘scugnizzo’, 13 anni appena. Cantava in un bar quando viene notato da un discografico che gli propone di partire per un tour americano al fianco di Sergio Bruni.

E’ l’ inizio di una carriera sfolgorante che non ha conosciuto scossoni o momenti bui. Perché Massimo non è solo un cantante ma un artista a tutto tondo: cantante, attore, conduttore televisivo, regista teatrale, showman, doppiatore e ballerino. Con oltre quattordici milioni di dischi al suo attivo, è tra gli artisti italiani che hanno venduto il maggior numero di dischi nel mondo.

A 17 anni debutta a Sanremo in coppia con i Giganti col brano Da bambino. Ci torna nel 1969 con Quando l’amore diventa poesia, insieme a Orietta Berti, e nello stesso anno partecipa al Cantagiro con una delle sue canzoni più famose: Rose rosse.

Numerosi i suoi successi canori che hanno fatto da colonna sonora a intere generazioni di giovani: Vent’anni, Erba di casa mia, Se bruciasse la città, Perdere l’amore, brano col quale si aggiudicò la vittoria di Sanremo nel 1988, sono solo alcuni tra i più celebri e ‘sempreverdi’. Così come numerosi, ma perché alimentati dalla stampa e dalle case discografiche di riferimento che li volevano rivali, i ‘duelli’ con Gianni Morandi, altro astro nascente dell’epoca o con Al Bano.

Il teatro, un’altra grande passione, così come il cinema. Indimenticabile protagonista di ‘Barnum’, musical di grande successo dove oltre a recitare, cantare e ballare, Massimo  imparò a camminare sul filo, istruito dagli acrobati del circo di Liana Orfei, o in ‘Metello’ diretto dal grande regista Mauro Bolognini.

A chi gli domanda se preferisca fare l’attore o il cantante, l’artista partenopeo risponde : ”Io cerco di fare l’uomo di spettacolo”. E lui Massimo, nomen omen, anche se d’arte, mai pseudonimo fu così azzeccato, lo ha fatto e continua a farlo alla grande. Emozionandoci sempre, da qualunque palco schermo o studio televisivo.

Auguri Massimo!

Chiara Farigu 

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Dal baule dei ricordi. Storie di vita e di morte

 Avevo partorito da qualche ora il mio secondogenito. Uno scricciolo di bimbo venuto al mondo con 3 giri di cordone ombelicale attorno al collo. Sembrava un piccolo marziano, ricoperto com’era di una melma verdastra e con un orecchio piegato. Ci volle un bel po’ per sentirlo piangere e più di qualche “sculacciata” terapeutica sul suo sederino rugoso. Era evidente che non aveva vissuto il periodo pre-natale in un habitat adeguatamente confortevole.

Non poteva essere altrimenti.

Veniva alla luce dopo una gravidanza a rischio ed un lento ma inarrestabile cambiamento del mio fisico minuto: aumento ponderale smisurato, valori pressori sballati, proteinuria e albuminuria fuori controllo con conseguenti edemi in diverse parti del corpo. I sintomi premonitori della pre-eclampsia c’erano tutti. Ma la giovane età, appena 24 anni, ebbe la meglio su quei segnali che i medici sottovalutarono ma che esplosero violenti  dopo qualche ora dal parto catapultandomi in uno stato comatoso per 48 interminabili ore.

Le mie condizioni erano davvero preoccupanti tanto che in paese si sparse la voce della mia prematura dipartita. Ma i medici dell’Ospedale Civile di Cagliari seppero riscattarsi alla grande e, dopo gli errori precedenti, far fronte alle conseguenti complicanze.

L’eclampsia, conseguenza di una gestosi gravidica portata all’estremo, generalmente culmina con la morte della gestante e/o anche del nascituro, ma è ancora più insidiosa se si manifesta dopo il parto e su donne non primipare. Ed io c’ero dentro con tutte le scarpe. Allo scadere delle 48 ore, con grande sollievo dei medici e ancor di più di mio marito che non si era allontanato un solo istante dal mio capezzale, cominciò il mio ritorno alla vita. Lento, sofferente ma determinato.

Un risveglio, il mio, concomitante col grande boato  che fece tremare le terre del Friuli che causò la morte di oltre 1000 persone e tanta distruzione. Quel sisma fu avvertito in quasi tutta l’Italia centro-settentrionale, fino oltre Roma. Un evento che suscitò un forte impatto sull’opinione pubblica; peraltro fu anche il primo terremoto in cui ‘la diretta’ televisiva portò le immagini del dolore e della distruzione in tutte le case italiane.  Furono 137 i Comuni colpiti dalla scossa. Tremila i feriti. Circa 80mila gli sfollati. Scattò subito la solidarietà. Ai   friulani si aggiunsero tanti giovani arrivati da ogni parte d’Italia per portare sostegno e salvare vite umane.

In ospedale le notizie giungevano filtrate dai parenti in visita.  A quei tempi i telefonini e i dispositivi digitali odierni, le tv commerciali e le pay-tv, non erano neanche contemplati, per il resoconto della tragedia bisognava aspettare i tg della Rai.

Quant’era stridente e doloroso il contrasto tra la sofferenza e la morte,  che arrivava da fuori, con l’atmosfera che si respirava in quel reparto ostetrico dove tutto inneggiava al miracolo della vita.

Le due facce del nostro destino si palesavano in contemporanea con immagini uniche, irripetibili e  reali, seppur drammatiche.

Immagini e sensazioni ancora saldamente impressi nella mente, pronti però a far capolino dinanzi ad un ricordo o ad un evento speciale, come può essere la ricorrenza odierna  data da questo compleanno.

Sembra ieri, ma succedeva esattamente 45 anni fa. Una vita fa

Chiara Farigu 

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La nonna paterna? Una nonna a metà (con poche eccezioni)

  Essere nonne è un dono meraviglioso che la vita riserva a chi ha avuto la gioia di essere prima mamma. E’ come diventare madri una seconda...