A confermare quanto più volte ribadito e raccontato in tutti i modi e in tutte le salse dai diversi istituti di statistica, il report della Corte dei Conti sul sistema universitario 2021: in otto anni il fenomeno dei cosiddetti ‘cervelli in fuga’ è aumentato del 41,8%.
Due le cause principali: le persistenti difficoltà a entrare nel mercato del lavoro e il fatto che il possesso della laurea non offre, come invece avviene in area Ocse, migliori possibilità di impiego. A queste si aggiungono le limitate prospettive occupazionali che spingono sempre più laureati a lasciare il Paese.
Che l’Italia non sia un paese per giovani lo si scrive e lo si denuncia da tempo. Basta guardarsi attorno. Non servono studi di settore per confermare quanto è già evidente nelle nostre case, nelle nostre città da nord a sud, isole comprese. E se non è appetibile per i giovani in generale, figuriamoci per chi ha completato un percorso formativo universitario.
Sono tanti, troppi, i Marcello, Tiziana, Valerio, Francesca, Davide e Maria che, terminati gli studi accademici, dopo essersi guardati intorno, inviato centinaia di mail e di CV, sostenuto innumerevoli colloqui conclusosi con il classico “le faremo sapere”, che si traduce poi con un nulla di fatto, hanno deciso di spiccare il volo. Dapprima in numero contenuto, poi sempre di più. Fino a perderne il conto. Tanto che più che fuga lo si dovrebbe definire esodo quella dei ‘cervelli’ oltre i confini.
Non c’è agenzia o istituto di ricerca che non rimarchi, periodicamente, questo trend negativo oltre che inarrestabile. Tutte concordi nel puntare il dito sulla scarsa capacità del nostro Paese di trattenere in suolo patrio i propri talenti.
Nel 2016, oltre 10000 laureati hanno oltrepassato i confini, il doppio di quanto registrato nel 2012. Una forbice che si è ulteriormente allargata, fino a raggiungere i numeri denunciati dalla Corte dei Conti: il 41,8% in più rispetto al 2013.
Una perdita inestimabile per il nostro Paese. Un potenziale umano, che si è formato in Italia ma che andrà a fare grandi quei Paesi dove la cultura, a differenza del nostro, la promuovono, la incentivano, la finanziano e la retribuiscono adeguatamente.
Siamo il Paese dei paradossi. Veniamo costantemente bacchettati per essere la maglia nera in Europa per numero di diplomati e laureati e poi quando possiamo contare su queste eccellenze ce le facciamo sfuggire. Incapaci come siamo di trattenerle con opportunità lavorative adeguate.
Non c’è Regione esente da questa fuga, anche se il picco più considerevole come sempre spetta al Sud e alle isole dove la disoccupazione giovanile raggiunge cifre esponenziali.
Politiche inadeguate, scarse risorse (solo un risicato 4% del Pil rispetto al 5,2% della media Ocse, è destinato all’istruzione), lungimiranza pari a zero per il dopo percorso universitario.
Un cane che si morde la coda. Sono troppo pochi i laureati (elevati e, a carico delle famiglie, i costi per gli studi, carenti i sostegni economici per gli studenti meritevoli meno abbienti, sottolinea la Corte dei Conti), e troppi, tra quei laureati che mettono in valigia sogni e aspettative di un futuro vivibile per cercare all’estero nuove e migliori opportunità di lavoro e di vita: circa 3mila ogni anno.
Un’emorragia di talenti in fuga da un’Italia che non saprebbe cosa farne, una grave ferita economia e sociale. Quantificabile in oltre 14 miliardi, secondo uno studio di Confindustria di qualche tempo fa.
Inestimabile invece la perdita umana. La migliore perché la più giovane, la più istruita, la più vitale.
Un fenomeno da non sottovalutare, ammonisce la Corte. Che deve essere risolto con interventi normativi mirati alla valorizzazione del merito studentesco.
Ora o mai più, verrebbe da dire. Considerata anche l’opportunità della cosiddetta ‘ripartenza’ nell’era post-covid e dei fondi europei stanziati per dar vita a progetti di modernizzazione in tutti i settori sociali ed economici, nonché culturali del nostro Paese.
Saprà l’Italia accettare la sfida e mettersi al passo con gli altri Paesi Ocse?
Solo il tempo ci dirà se coi fondi stanziati nel Recovery Plan la politica è stata in grado invertire una rotta che, al momento, pare senza ritorno.
O se, ancora una volta, sarà stata una scommessa persa.
Chiara Farigu