Oggi, 28 aprile, in Sardegna è festa “nazionale”. Festa che, per il secondo anno consecutivo, a causa della pandemia ancora in corso, si festeggia nel chiuso delle proprie case, esponendo, chi vuole e chi può, fuori dai balconi la bandiera dei 4 mori.
E’ una ricorrenza della quale si parla poco e soprattutto si studia poco.
Sui libri di scuola non ve n’è traccia e se in qualche modo riesce a ritagliarsi uno spazio è grazie all’iniziativa personale di qualche insegnante che ne vuol tenere viva la memoria.
Perché conoscerne i fatti avvenuti in quella circostanza significa conoscere la storia delle proprie radici. E se è vero che la felicità di un popolo passa dalla conoscenza e dalla consapevolezza di ciò che ha subito e di quel che si è conquistato, col sangue dei propri avi, ricordare diventa un dovere. Da trasmettere alle nuove generazioni, anno dopo anno, giorno dopo giorno. Perché la ‘tirannia’ i soprusi le ingiustizie sono sempre dietro l’angolo. E non si è mai adeguatamente attrezzati per non farsi sopraffare.
La festività fu istituita il 14 settembre 1993, su iniziativa del cantautore Piero Marras (allora consigliere regionale eletto nelle file del Partito sardo d’Azione), e dal Consiglio Regionale che approvò la legge n° 44, nominandola “Sa die de sa Sardigna” (il giorno della Sardegna), ovvero la Festa del Popolo Sardo da celebrarsi il 28 aprile di ogni anno.
La data è stata scelta per ricordare “i vespri sardi” del 28 aprile 1974 che culminarono con la cacciata del viceré piemontese, Vincenzo Balbiano, accusato di rappresentare la tirannia del re sabaudo. Erano anni tormentati quelli, in Francia e in diverse città d’Europa e del mondo. E la Sardegna non era da meno. Anzi.
L’isola dal 1720, dopo un lungo periodo storico che la vide parte del Regno di Spagna, fu ceduta ai Savoia (duchi di Piemonte), che divennero Re di Sardegna. I Savoia però trattarono l’isola come una “colonia”, incuranti della povertà delle sue genti e dei diritti autonomistici del Regno.
Così i Sardi, stanchi di sopraffazioni e tirannie, chiesero a Torino che venissero lasciati loro gli incarichi più importanti e strategici dell’isola, poiché i piemontesi non erano in grado di comprendere e quindi di risolvere i problemi economici e sociali che li riguardavano direttamente.
Più che una richiesta era necessità, di più, un diritto.
Infatti, dopo aver respinto la flotta francese nel 1793 a Cagliari, i Sardi ritenevano di aver diritto alle cariche politiche e militari più importanti nella loro stessa terra. Ma il Re disse di no. Cominciò allora un malcontento generale che sfociò in un motto rivoluzionario quando Efiso Pintor e Vincenzo Cabras, i maggiori rappresentati del partito dei patrioti furono arrestati. Quegli arresti furono percepite come l’ennesimo affronto al quale si doveva reagire una volta per tutte.
Il 28 aprile del 1974 i viceré e tutti i piemontesi furono cacciati da Casteddu ‘e susu (Cagliari), i quartieri nobili nei quali risiedevano, portati al porto e imbarcati sulla nave verso il “continente”. C’è da sottolineare, e non è cosa da poco, che alla rivolta, quel giorno, parteciparono tutti, dai nobili ai contadini, senza distinzione di classe sociale e di ceto.
In “limba” la festività è nota anche come Sa di’ de s’aciapa = Il giorno dell’acchiappo, poiché la caccia ai piemontesi, camuffati con gli isolani, fu messa in atto utilizzando qualsiasi stratagemma per poterli stanare e rispedire al mittente, ‘nara cixiri’ (pronuncia ‘ceci’), uno di questi.
La rivolta da Cagliari si diffuse in tutta la Sardegna, diventando una vera e propria rivoluzione.
Un canto, Procurade ‘e moderare, barones sa tirannia! di Francesco Ignazio Mannu, divenne ed è tuttora considerato l’inno della Sardegna.
La prima strofa, un avvertimento che è già tutto un programma: una denuncia alla tirannia dei baroni:
Procurade ‘e moderare,
barones, sa tirannìa,
Chi si no, pro vida mia,
Torrades a pe’ in terra!
Declarada est ja sa gherra
Contra de sa prepotentzia,
E incomintzat sa passentzia
ln su populu a mancare.
Barones, sa tirannìa
procurade ‘e moderare,
procurade ‘e moderare
CERCATE DI MODERARE, BARONI, LA TIRANNIA.
Il canto termina con un incitamento alla rivolta Cando si tenet su bentu est preziosu bentulare (“quando si leva il vento, bisogna trebbiare”). E il 28 aprile trebbiarono alla grande.
Una giornata per riflettere su ciò che siamo oggi con uno sguardo rivolto al passato. Per ritrovare l’orgoglio, l’energia e la determinazione per combattere le sopraffazioni presenti oggi come ieri.
Chiara Farigu