il blog di chiarafarigu

domenica 23 maggio 2021

Piemonte, incidente funivia Stresa-Mottarone: 14 le vittime. La procura indaga per omicidio colposo plurimo

 

Aggiornamenti in corso- 24/05/2021

Salgono a 14 le vittime dell’incidente avvenuto ieri lungo la linea della funivia Stresa-Alpino Mottarone: non ce l’ha fatta uno dei due bambini che era stato trasportato con l’eliambulanza, in gravissime condizioni, all’ospedale Regina Margherita di Torino, mentre si continua a sperare che possa farcela il più piccolo dei due.

Messa sotto sequestro la struttura. La procura indaga per omicidio colposo plurimo. 

Si cerca di capire perché si sia spezzato uno dei due cavi che sostengono la struttura e perché non sia entrato in funzione il sistema di sicurezza. Atteso in mattinata un tavolo tecnico con il ministro delle Infrastrutture Enrico Giovannini e il capo della Protezione Civile Fabrizio Curcio e altre autorità territoriali.

A Stresa oggi è lutto cittadino. 

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 23/05/2021

Una giornata di festa, di ritorno alla vita dopo un periodo buio segnato  dalla pandemia che si è trasformata in tragedia sulla montagna che domina il lago Maggiore: una cabina della funivia che collega Stresa con il Mottarone è precipitata.

L’incidente, secondo le prime ricostruzioni, sarebbe stato causato dal cedimento di una fune, nella parte più alta del tragitto che, partendo  dal lago Maggiore, arriva a quota 1491 metri.

Tragico il bilancio del disastro: tredici le vittime, tre feriti gravi, due dei quali minorenni, un bambino di nove anni, l’altro di cinque, prontamente soccorsi e trasportati a bordo di due eliambulanze in codice rosso all’ospedale Regina Margherita di Torino.

Drammatico il reportage fotografico del soccorso alpino dei VV.FF. che ritrae la cabina bianca e rossa ai piedi del bosco, completamente accartocciata, dopo un volo, si suppone, da un’altezza di circa 80 metri.

‘Oggi è il giorno del dolore e dello sgomento. Non è il momento di addossare responsabilità a nessuno. E’ un lutto per tutta la comunità’, ha dichiarato la sindaca di Stresa Marcella Saverino, aggiungendo che saranno le indagini ad accertare le modalità dell’incidente.

Numerosi i messaggi di cordoglio alle famiglie delle vittime giunti in queste ore, compreso quello del presidente Draghi a nome di tutto il governo.

Chiara Farigu 

*Immagine soccorso alpino VV.FF.

martedì 18 maggio 2021

Coprifuoco e riaperture: date e regole nel nuovo decreto in vigore dal 18 maggio

 Il coprifuoco ha giorni contati. Spostato di un’ora, alle 23, dalla mezzanotte di oggi 18 maggio, subirà un ulteriore allungamento alle 24 dal 7 giugno per essere poi eliminato definitivamente dal 21 giugno in concomitanza con l’inizio della stagione estiva.

E’ questa una delle misure di allentamento delle restrizioni prese ieri all’unanimità dal Consiglio dei Ministri (già in Gazzetta Ufficiale) insieme al nuovo pacchetto delle riaperture a partire fin dalla prossima settimana.

Allentamento reso possibile dagli ultimi dati confortanti su contagi e vaccinazioni somministrate e dal parere favorevole degli esperti del CtS.

I punti chiave all’OdG:

  • coprifuoco e riaperture
  • ritorno alle zone bianche
  • nuovi parametri in arrivo

Il tutto sempre e solo gradualmente. Per scongiurare dolorose chiusure qualora i contagi tornassero a farla da padrone.

Queste le date stabilite per le riaperture:

  • 22 maggio: riapertura dei centri commerciali in zona gialla nelle giornate festive e prefestive;
  • 24 maggio: anticipata la riapertura delle palestre con le norme vigenti di distanziamento e sanificazione dei macchinari, divieto di utilizzo di docce e spogliatoi;
  • 1 giugno: potranno riaprire al chiuso, a pranzo e a cena, bar e ristoranti. Autorizzata anche la presenza di pubblico per tutti gli eventi e competizioni sportive all’aperto, spostata al 1 luglio, nei limiti già fissati (1000 all’aperto, 500 al chiuso), e non più e non solo per le competizioni di interesse nazionale;
  • 7 giugno: se il trend dei contagi si manterrà stabile e anzi migliorerà diverse regioni potrebbero tornare in zona bianca, Sardegna, Molise e Friuli Venezia Giulia potrebbero fare da apripista ad altre in dirittura d’arrivo;
  • 15 giugno: ok a matrimoni, (con green-pass), convegni e congressi anche al chiuso e alla riapertura di parchi divertimento;
  • 1 luglio: potranno riaprire tutte le attività di sale giochi, sale scommesse, bingo e casinò. Così come i centri culturali, sociali e ricreativi, corsi di formazione pubblici e privati;

Ok anche alla riapertura delle piscine al chiuso.

 

Nessuna autorizzazione in questo decreto invece per la ripartenza di sale da ballo, discoteche e simili, sia al chiuso che all’aperto.

 

Cambiano i parametri delle zone rosse arancioni e gialli. Il famigerato Rt verrà sostituito da altri fattori: a contare sarà l’incidenza dei nuovi casi su 100mila abitanti, il tasso di ospedalizzazione e il numero di terapia intensiva in area medica. Dei 21 parametri precedenti ne rimangono solamente 12, si torna in zona bianca con casi inferiori al numero 50.

Insomma si torna alla normalità. Con gradualità e prudenza. A fare la differenza sarà l’avanzamento della campagna vaccinale e l’arrivo della stagione estiva, due ottimi antidoti contro un virus che con le sue varianti è un nemico davvero duro da sconfiggere.

Chiara Farigu

*Immagine di copertina tratta dal web

Franco Battiato. Addio al Maestro della musica italiana

 Se n’è andato stamattina nella sua casa di Milo Franco Battiato. Un gigante della musica. Un genio assoluto. Per decenni ha ‘danzato col tempo, come un filo d’erba’, intrecciando sogni culture e linguaggi, portandoci, con la sua musica, in quei mondi sconosciuti misteriosi ma sempre affascinanti.

Definirlo semplicemente cantautore significa fare torto alla sua arte: è stato compositore, arrangiatore, musicista a 360° gradi, regista e pittore.

Ha cantato l’amore, i sentimenti, la sua visione onirica della vita. Ha sperimentato e amalgamato diversi generi musicali spaziando nel tempo e nelle culture come solo lui sapeva fare. Colto, visionario, mistico, melodico, Battiato ha rappresentato per decenni qualcosa di unico nella musica italiana. Non è superfluo né retorico dire che la sua scomparsa lascia un grande vuoto nel panorama musicale e culturale italiano e internazionale.

Vasta e imponente la sua discografia‘La cura’ è uno dei suoi successi maggiori, il cui testo e stato considerato dai critici il più bello e commovente di tutta la canzone italiana. Il tema centrale della canzone è il tempo e il fatto che tutto, anche le relazioni umane, siano condizionate da questo fattore. Indimenticabile l’album ‘Centro di gravità permanente’ che gli ha dato la popolarità, pubblicato nel 1981, da cui sono stati tratti diversi singoli tutti di grande impatto e successo. Un testo che a prima vista appare visionario e strampalato ma che racconta il senso di smarrimento che lo attraversa e della necessità di trovare un punto stabile.

Con lui oggi se va un grande.

Ci resta la sua musica a fare da colonna sonora a questi tempi incerti,  pregni di grandi preoccupazioni. Ancora una volta è lui, il Maestro Battiato a ricordarci  che benché ‘la primavera tardi ad arrivare’, si può sempre sperare che ‘il mondi torni a quote più normali’.

Povera patria

Schiacciata dagli abusi del potere

Di gente infame, che non sa cos’è il pudore

Si credono potenti e gli va bene quello che fanno

E tutto gli appartiene

Tra i governanti

Quanti perfetti e inutili buffoni

Questo paese devastato dal dolore

Ma non vi danno un po’ di dispiacere

Quei corpi in terra senza più calore?

Non cambierà, non cambierà

No cambierà, forse cambierà

Ma come scusare

Le iene negli stadi e quelle dei giornali?

Nel fango affonda lo stivale dei maiali

Me ne vergogno un poco e mi fa male

Vedere un uomo come un animale

Non cambierà, non cambierà

Sì che cambierà, vedrai che cambierà

Si può sperare

Che il mondo torni a quote più normali

Che possa contemplare il cielo e i fiori

Che non si parli più di dittature

Se avremo ancora un po’ da vivere

La primavera intanto tarda ad arrivare

Chiara Farigu 

*Immagine Ansa

domenica 16 maggio 2021

Claudio Baglioni: 70 anni di età e 50 di carriera ma ‘la vita è adesso’

 “E, per una volta tanto, fa davvero piacere essere ‘sbattuti su un muro’”, commenta così Claudio Baglioni dinanzi al murale che i suoi fan hanno realizzato a Centocelle, il quartiere romano dove il cantante è nato e cresciuto settant’anni fa.

Un omaggio che ha colto di sorpresa l’artista da sempre poco avvezzo a esternare stati d’animo sui social quanto a confezionarli superbamente con note musicali uniche nel loro genere. ‘L’avete pensata bella. Una gran cosa per una buona causa. Il mio apprezzamento e la mia gratitudine non hanno voce e parole sufficienti e adeguate. È una sensazione bizzarra e stupefacente’, scrive sul suo profilo FB nel ringraziare i tanti che, in occasione del suo compleanno, lo hanno letteralmente sommerso di messaggi d’auguri.

Un quartiere sui generis Centocelle, ricorda l’artista, ‘qui si diventava delinquenti o intellettuali. Io scelsi la seconda opzione e mi immedesimai a tal punto che fui soprannominato Agonia’.

Una scelta radicale per quel giovane spilungone con una cascata di capelli lunghi e vaporosi che già strimpellava per hobby la chitarra. Non pensava certo a quei tempi che la musica sarebbe stata non solo una passione da coltivare ma una carriera da costruire e perseguire.

Una carriera sempre in salita che dura da oltre cinquanta anni per il ‘cantautore dei sentimenti’, come viene comunemente definito dai suoi fan. Un mito. Elegante, carismatico, voce graffiante inconfondibile, oltre 60milioni di dischi venduti.

Questo piccolo grande amore, Lia, Avrai, Porta portese, Strada facendo, Poster, Io me ne andrei, Amore bello, Mille giorni di te e di me, La vita è adesso, sono solo titoli dei suoi brani più celebri, divenuti tutti degli evergreen per l’attualità e la freschezza dei testi. Canzoni che hanno fatto da colonna sonora a diverse generazioni, canzoni che hanno la storia della musica e del cantautorato italiano.

Non si è fatto mancare nulla il Claudio nazionale. Dai duetti con celebri artisti come Mia Martini, Morandi, Pino Daniele, tanto per citarne alcuni, alle esperienze televisive con Fazio i ‘Anima mia’, sino ad approdare nelle vesti di conduttore e direttore artistico alla guida di Sanremo nel 2018 e nel ’19.

Settant’anni e non sentirli: il 2 giugno sarà in concerto live streaming dal Teatro dell’Opera di Roma. Un ritorno dopo più di un anno di assenza dovuto alla pandemia che i fan aspettano con trepidazione.

Nello scorso dicembre  è uscito un nuovo album di inediti ‘In questa storia, che è la mia’, un ‘classico’, ovvero una sorta di ritorno alle origini di quella grande tradizione pop, racconta l’artista romano, nella quale si è sempre riconosciuto e continua a riconoscersi.

Per i suoi settant’anni il più gradito dei regali: un’agenda fitta di appuntamenti in giro per l’Italia per riportare la musica nelle piazze e nei teatri oltre che nei cuori di chi, ‘strada facendo’, lo segue da più di cinquant’anni.

Auguri Claudio!

Chiara Farigu 

*Immagine AdnKronos

sabato 15 maggio 2021

Stati Generali della Natalità: ‘Senza figli l’Italia è destinata a scomparire’

 Natalità: è unanime il grido d’allarme che giunge da Papa Francesco e dal presidente Draghi dall’Auditorium della Conciliazione di Roma in occasione degli Stati Generali dedicati appunto alla crisi demografica in Italia.

Un declino inarrestabile.

Solo 10 anni fa per ogni 100 residenti morti i neonati erano 96. Oggi se ne contano a malapena 67.
Si tratta ‘del più basso livello di ricambio naturale mai espresso dal Paese dal 1918’, recita il report dell’Istat sugli indicatori demografici nel 2020.

Un trend negativo che è stato accentuato ancor più dagli effetti dell’epidemia Covid-19. Il nuovo record di poche nascite (404 mila, dati Istat 2020) e l’elevato numero di decessi (746 mila), il più alto mai registrato in Italia dal secondo dopoguerra (attualmente sono 124mila) aggravano la dinamica naturale negativa che caratterizza il nostro Paese.

Calano le nascite e di conseguenza calano i residenti, al primo gennaio del 2020 si contano 60 milioni 317mila italiani: 116mila in meno su base annua.

Non solo.

Stiamo diventando un Paese di vecchi e per vecchi.

Le cause? Più o meno le stesse che ci portiamo appresso da oltre un decennio: una crisi dura a morire e politiche insufficienti a favore dei giovani i quali, sempre più spesso, mettono in valigia sogni e aspettative e oltrepassano i confini in cerca di nuove e più redditizie opportunità lavorative.

Difficile metter su famiglia in assenza di lavoro o con lavori precari e sottopagati. Ancora più difficile poi per le donne riuscire a conciliare lavoro e famiglia. Pochi e insufficienti gli investimenti sulle famiglie, quasi inesistente la flessibilità sul lavoro.

E questo per molte di loro comporta dover scegliere tra un figlio o il lavoro. Una scelta sofferta. Che porta a rimandare il desiderio di maternità, è di 32,1 anni l’età media della prima gravidanza, e a contenere il numero dei figli, sempre più spesso unico.

Le conseguenze, come confermano periodicamente gli istituti di statistica, è l’inevitabile fenomeno delle ‘culle vuote’. Vuote di speranze, vuote di ricambio generazionale, vuote di linfa vitale: ‘Senza figli l’Italia è destinata a scomparire’ ha ribadito Il Presidente del Consiglio.

‘Se le famiglie non sono al centro del presente, non ci sarà futuro; ma se le famiglie ripartono, tutto riparte’, queste le parole di Papa Francesco, da sempre fautore della natalità e del sostegno alle donne affinché possano decidere in tutta tranquillità e con l’assistenza necessaria di mettere al mondo i figli. Le prime, doveroso ricordarlo, a perdere il lavoro, quando ce l’hanno, in periodi di crisi, oltre il 70% nell’anno covid, sono loro, le donne. Così come ad essere sottopagate, a parità di orario e mansioni, rispetto ai loro colleghi uomini.

Occorre investire sulle famiglie, è stato ribadito più volte al forum de Gli Stati Generali. Un primo passo arriva con l’assegno unico che dal prossimo anno verrà esteso a tutti, ha annunciato Draghi. Una ‘misura epocale’, così l’ha definita, che ci sarà anche negli anni a venire, ‘su cui non ci si ripensa l’anno dopo’.

Un primo passo certo. Ma ancora insufficiente per invogliare a far figli senza una prospettiva futura che garantisca lavoro stabile e ben retribuito e un welfare familiare adeguato.

La strada da fare è ancora molto lunga per lasciarsi alle spalle ‘l’inverno grigio e freddo’.

Invertire la rotta non solo si può ma si deve.

Ma senza una politica lungimirante e investimenti seri ancora una volta, ahimè, incontri a tema come quest’ultimo resteranno solo buoni proponimenti e nulla più.

Chiara Farigu 

*Immagine pixabay

venerdì 14 maggio 2021

Un anno fa ci lasciava il Maestro Ezio Bosso

 Se ne andava esattamente un anno fa, a 47 anni, nella sua casa di Bologna Ezio Bosso. Lasciando un gran vuoto nel modo della musica e nella cultura in generale.

Una morte avvenuta in piena pandemia, quando era impossibile onorare i defunti con qualsiasi tipo di cerimonia. A distanza di un anno, il Maestro potrà essere salutato presso il Cimitero monumentale di Torino, dove è stata depositata l’urna con le sue ceneri.

In omaggio al suo ricordo e alla sua arte sono previsti, sempre nel rispetto delle restrizioni covid, diverse manifestazioni sia in presenza ma soprattutto in streaming, a breve verrà pubblicato un cofanetto con musica e testi inediti del Maestro.

Non conoscevo Ezio Bosso. Lo scoprii per caso, quando, ospite  a Sanremo nel 2016, illuminò a giorno il palco dell’Ariston con la sua musica. Una esibizione da standing ovation la sua, pianista, compositore e direttore d’orchestra di fama internazionale che riuscì fin dalle prime note di ‘Following a bird’  a commuovere anche il più esigente e impassibile spettatore dell’ultima fila in sala  o quello annoiato sul divano di casa.

Ricordo i brividi lungo la schiena durante la chiacchierata con Carlo Conti, padrone di casa di quell’edizione. Lui affetto da una malattia degenerativa che gli impediva di deambulare e parlare come i cosiddetti ‘normali’,  raccontò come l’imbarazzo per quella sua disabilità fosse  più degli altri, i cosiddetti ‘i sani cronici’, come li chiamava, che sua.

La musica una passione coltivata fin da piccolissimo, a quattro anni, quando ha iniziato a studiarla con una prozia pianista. Una formazione continua la sua, un amore infinito per quell’arte che deve unire, emozionare, far sognare. ‘La musica dovrebbe essere materia d’insegnamento in tutte le scuole a partire dall’infanzia’, amava ripetere nelle sue interviste, il Maestro. ‘La musica è dentro di noi, è la nostra stessa essenza’. 

‘Se mi volte bene, smettete di chiedermi di mettermi al pianoforte e suonare’, disse alla Fiera del Levante, a Bari due anni fa, dopo un’esibizione che mandò in visibilio il pubblico presente. ‘Non sapete la sofferenza che mi provoca questo, perché non posso, ho due dita che non rispondono più bene e non posso dare alla musica abbastanza. E quando saprò di non riuscire più a gestire un’orchestra, smetterò anche di dirigere’.

Un annuncio che fu interpretato dalla stampa come un probabile ritiro. Prontamente smentito dal Maestro nel suo profilo Facebook. Nessun ritiro, se non dai concerti. La musica lui avrebbe continuato a dirigerla.

‘La malattia mi ha allenato alla quarantena’, raccontò in un’intervista dalla sua casa di Bologna dove viveva la fase uno anti-covid. Un solo motivo di sconforto, in quella casa entrava poco sole. Pertanto ‘la prima cosa che farò sarà mettermi al sole. La seconda, abbracciare un albero’.

Ciao, Maestro.  La tua musica continuerà  a regalarci meravigliose emozioni!

Chiara Farigu 


lunedì 3 maggio 2021

Massimo Ranieri, i 70 anni dello ‘scugnizzo' della musica italiana

 Era solo un ragazzino quando si sentì intimare dal padre ‘smettila di cantare che ci servi a casa’. E lui, Gianni Calone, in arte Massimo Ranieri, quinto di otto figli, iniziò fin da allora a guadagnarsi la pagnotta. Lavoretti umili, strillone di giornali, garzone di una panetteria, fattorino, commesso, barista, per portare in famiglia qualcosa, ma quel consiglio paterno, come si suol dire quando c’è la passione, da un orecchio gli entrò e dall’altro gli uscì.

Nato a Napoli nel rione Pallonetto a Santa Lucia, Massimo compie oggi 70 anni. Il suo debutto avvenne che era ancora uno  ‘scugnizzo’, 13 anni appena. Cantava in un bar quando viene notato da un discografico che gli propone di partire per un tour americano al fianco di Sergio Bruni.

E’ l’ inizio di una carriera sfolgorante che non ha conosciuto scossoni o momenti bui. Perché Massimo non è solo un cantante ma un artista a tutto tondo: cantante, attore, conduttore televisivo, regista teatrale, showman, doppiatore e ballerino. Con oltre quattordici milioni di dischi al suo attivo, è tra gli artisti italiani che hanno venduto il maggior numero di dischi nel mondo.

A 17 anni debutta a Sanremo in coppia con i Giganti col brano Da bambino. Ci torna nel 1969 con Quando l’amore diventa poesia, insieme a Orietta Berti, e nello stesso anno partecipa al Cantagiro con una delle sue canzoni più famose: Rose rosse.

Numerosi i suoi successi canori che hanno fatto da colonna sonora a intere generazioni di giovani: Vent’anni, Erba di casa mia, Se bruciasse la città, Perdere l’amore, brano col quale si aggiudicò la vittoria di Sanremo nel 1988, sono solo alcuni tra i più celebri e ‘sempreverdi’. Così come numerosi, ma perché alimentati dalla stampa e dalle case discografiche di riferimento che li volevano rivali, i ‘duelli’ con Gianni Morandi, altro astro nascente dell’epoca o con Al Bano.

Il teatro, un’altra grande passione, così come il cinema. Indimenticabile protagonista di ‘Barnum’, musical di grande successo dove oltre a recitare, cantare e ballare, Massimo  imparò a camminare sul filo, istruito dagli acrobati del circo di Liana Orfei, o in ‘Metello’ diretto dal grande regista Mauro Bolognini.

A chi gli domanda se preferisca fare l’attore o il cantante, l’artista partenopeo risponde : ”Io cerco di fare l’uomo di spettacolo”. E lui Massimo, nomen omen, anche se d’arte, mai pseudonimo fu così azzeccato, lo ha fatto e continua a farlo alla grande. Emozionandoci sempre, da qualunque palco schermo o studio televisivo.

Auguri Massimo!

Chiara Farigu 

*Immagine web

Dal baule dei ricordi. Storie di vita e di morte

 Avevo partorito da qualche ora il mio secondogenito. Uno scricciolo di bimbo venuto al mondo con 3 giri di cordone ombelicale attorno al collo. Sembrava un piccolo marziano, ricoperto com’era di una melma verdastra e con un orecchio piegato. Ci volle un bel po’ per sentirlo piangere e più di qualche “sculacciata” terapeutica sul suo sederino rugoso. Era evidente che non aveva vissuto il periodo pre-natale in un habitat adeguatamente confortevole.

Non poteva essere altrimenti.

Veniva alla luce dopo una gravidanza a rischio ed un lento ma inarrestabile cambiamento del mio fisico minuto: aumento ponderale smisurato, valori pressori sballati, proteinuria e albuminuria fuori controllo con conseguenti edemi in diverse parti del corpo. I sintomi premonitori della pre-eclampsia c’erano tutti. Ma la giovane età, appena 24 anni, ebbe la meglio su quei segnali che i medici sottovalutarono ma che esplosero violenti  dopo qualche ora dal parto catapultandomi in uno stato comatoso per 48 interminabili ore.

Le mie condizioni erano davvero preoccupanti tanto che in paese si sparse la voce della mia prematura dipartita. Ma i medici dell’Ospedale Civile di Cagliari seppero riscattarsi alla grande e, dopo gli errori precedenti, far fronte alle conseguenti complicanze.

L’eclampsia, conseguenza di una gestosi gravidica portata all’estremo, generalmente culmina con la morte della gestante e/o anche del nascituro, ma è ancora più insidiosa se si manifesta dopo il parto e su donne non primipare. Ed io c’ero dentro con tutte le scarpe. Allo scadere delle 48 ore, con grande sollievo dei medici e ancor di più di mio marito che non si era allontanato un solo istante dal mio capezzale, cominciò il mio ritorno alla vita. Lento, sofferente ma determinato.

Un risveglio, il mio, concomitante col grande boato  che fece tremare le terre del Friuli che causò la morte di oltre 1000 persone e tanta distruzione. Quel sisma fu avvertito in quasi tutta l’Italia centro-settentrionale, fino oltre Roma. Un evento che suscitò un forte impatto sull’opinione pubblica; peraltro fu anche il primo terremoto in cui ‘la diretta’ televisiva portò le immagini del dolore e della distruzione in tutte le case italiane.  Furono 137 i Comuni colpiti dalla scossa. Tremila i feriti. Circa 80mila gli sfollati. Scattò subito la solidarietà. Ai   friulani si aggiunsero tanti giovani arrivati da ogni parte d’Italia per portare sostegno e salvare vite umane.

In ospedale le notizie giungevano filtrate dai parenti in visita.  A quei tempi i telefonini e i dispositivi digitali odierni, le tv commerciali e le pay-tv, non erano neanche contemplati, per il resoconto della tragedia bisognava aspettare i tg della Rai.

Quant’era stridente e doloroso il contrasto tra la sofferenza e la morte,  che arrivava da fuori, con l’atmosfera che si respirava in quel reparto ostetrico dove tutto inneggiava al miracolo della vita.

Le due facce del nostro destino si palesavano in contemporanea con immagini uniche, irripetibili e  reali, seppur drammatiche.

Immagini e sensazioni ancora saldamente impressi nella mente, pronti però a far capolino dinanzi ad un ricordo o ad un evento speciale, come può essere la ricorrenza odierna  data da questo compleanno.

Sembra ieri, ma succedeva esattamente 45 anni fa. Una vita fa

Chiara Farigu 

*Immagine pixabay

mercoledì 28 aprile 2021

28 aprile: ‘Sa die de sa Sardigna’, la giornata del popolo Sardo

 Oggi, 28 aprile, in Sardegna è festa “nazionale”. Festa che, per il secondo anno consecutivo, a causa della pandemia ancora in corso, si festeggia nel chiuso delle proprie case, esponendo, chi vuole e chi può, fuori dai balconi la bandiera dei 4 mori.

E’ una ricorrenza della quale si parla poco e soprattutto si studia poco.

Sui libri di scuola non ve n’è traccia e se in qualche modo riesce a ritagliarsi uno spazio è grazie all’iniziativa personale di qualche insegnante che ne vuol tenere viva la memoria.

Perché conoscerne i fatti avvenuti in quella circostanza significa conoscere la storia delle proprie radici. E se è vero che la felicità di un popolo passa dalla conoscenza e dalla consapevolezza di ciò che ha subito e di quel che si è conquistato, col sangue dei propri avi, ricordare diventa un dovere. Da trasmettere alle nuove generazioni, anno dopo anno, giorno dopo giorno. Perché la ‘tirannia’ i soprusi le ingiustizie sono sempre dietro l’angolo. E non si è mai adeguatamente attrezzati per non farsi sopraffare.

La festività fu istituita il 14 settembre 1993, su iniziativa del cantautore Piero Marras (allora consigliere regionale eletto nelle file del Partito sardo d’Azione), e dal Consiglio Regionale che approvò la legge n° 44,  nominandola “Sa die de sa Sardigna” (il giorno della Sardegna), ovvero  la Festa del Popolo Sardo da celebrarsi il 28 aprile di ogni anno.

La data è stata scelta per ricordare “i vespri sardi” del 28 aprile 1974 che culminarono con la cacciata del viceré piemontese, Vincenzo Balbiano, accusato di rappresentare la tirannia del re sabaudo. Erano anni tormentati quelli, in Francia e in diverse città d’Europa e del mondo. E la Sardegna non era da meno. Anzi.

L’isola dal 1720, dopo un lungo periodo storico che la vide parte del Regno di Spagna, fu ceduta ai Savoia (duchi di Piemonte), che divennero Re di Sardegna. I Savoia però trattarono l’isola come una “colonia”, incuranti della povertà delle sue genti e dei diritti autonomistici del Regno.

Così i Sardi, stanchi di sopraffazioni e tirannie, chiesero a Torino che venissero lasciati loro gli incarichi più importanti e strategici dell’isola, poiché  i piemontesi  non erano in grado di comprendere e  quindi di  risolvere i problemi economici e  sociali che li riguardavano direttamente.

Più che una richiesta era necessità, di più,  un diritto.

Infatti, dopo aver respinto la flotta francese nel 1793 a Cagliari, i Sardi ritenevano di aver diritto alle cariche politiche e militari più importanti nella loro stessa terra. Ma il Re disse di no. Cominciò allora un malcontento generale che sfociò in un motto rivoluzionario quando Efiso Pintor e Vincenzo Cabras, i maggiori rappresentati del partito dei patrioti furono arrestati. Quegli arresti furono percepite come l’ennesimo affronto al quale si doveva reagire una volta per tutte.

Il 28 aprile del 1974 i viceré e tutti i piemontesi furono cacciati da Casteddu  ‘e susu (Cagliari), i quartieri nobili nei quali risiedevano, portati al porto e imbarcati sulla nave verso il “continente”.  C’è da sottolineare, e non è cosa da poco, che alla rivolta, quel giorno, parteciparono tutti, dai nobili ai contadini, senza distinzione di classe sociale e di ceto.

In  “limba” la festività  è nota anche come Sa di’ de s’aciapa = Il giorno dell’acchiappo,  poiché   la caccia ai  piemontesi, camuffati con gli isolani, fu messa in atto utilizzando qualsiasi stratagemma per poterli stanare e rispedire al mittente, ‘nara cixiri’ (pronuncia ‘ceci’), uno di questi.

La rivolta da Cagliari si diffuse in tutta la Sardegna, diventando una vera e propria rivoluzione.

Un canto,  Procurade ‘e moderare, barones sa tirannia! di Francesco Ignazio Mannu, divenne ed è tuttora considerato l’inno della Sardegna.

La prima strofa, un avvertimento che è già tutto un programma: una denuncia alla tirannia dei baroni:

Procurade ‘e moderare,

barones, sa tirannìa,

Chi si no, pro vida mia,

Torrades a pe’ in terra!

Declarada est ja sa gherra

Contra de sa prepotentzia,

E incomintzat sa passentzia

ln su populu a mancare.

 

Barones, sa tirannìa

procurade ‘e moderare,

procurade ‘e moderare

CERCATE DI MODERARE, BARONI, LA TIRANNIA.

Il canto termina con un incitamento alla rivolta Cando si tenet su bentu est preziosu bentulare (“quando si leva il vento, bisogna trebbiare”). E il 28 aprile trebbiarono alla grande.

Una giornata per riflettere su ciò che siamo oggi con uno sguardo rivolto al passato. Per ritrovare l’orgoglio, l’energia e la determinazione per combattere le sopraffazioni presenti oggi come ieri.

Chiara Farigu 


sabato 24 aprile 2021

Milva, addio alla ‘pantera di Goro’

 Ci lascia oggi, all’età di 81 anni,  un’altra delle interpreti più intense della canzone italiana: Milva, al secolo Ilvia Maria Biolcati.

‘La sua voce ha suscitato profonde emozioni in intere generazioni. Una grande italiana, un’artista che, partita dalla sua amata terra, ha calcato i palcoscenici internazionali, rendendo globale il suo successo e portando alto il nome del suo Paese. Addio alla pantera di Goro’, ha twittato il ministro della Cultura, Dario Franceschini.

Una carriera intensa e di grande successo, la sua.  Una voce graffiante, calda, originalissima.  Al suo attivo ben 173 album, tre dei quali realizzati con un altro grande della musica italiana: Franco Battiato.  E’ stata anche una veterana del  festival di Sanremo, arrivando terza nel ’61 e seconda l’anno successivo senza mai vincere alcuno. Nel 2018 le fu assegnato il ‘Premio alla Carriera’, che fu ritirato dalla figlia Martina Corgnati. 

Un’artista a tutto tondo. Negli anni ’70, sotto la direzione di Giorgio Strehler, divenne una delle attrici italiane più importanti per quanto riguarda le opere di Bertold Brecht, autore al quale dedicò anche due dischi ‘Milva canta Brecht’  e ‘ Milva Brecht’.

Amava diversificare il suo impegno. Passava con grande naturalezza dalla canzone popolare come ‘La filanda’ a quelle più impegnate come ‘Canti per la libertà’ e ‘Milord’, che fu un grande successo di Edith Piaf.

Perfezionista fino all’inverosimile, nel 2010, dopo aver pubblicato il suo ultimo album, decise di ritirarsi a vita privata.

Nel salutare il suo pubblico, mise a nudo le sue fragilità dovute a sopraggiunti problemi di salute  e alla conseguente difficoltà di mantenere immutata quella combinazione di versatilità passione e grande professionalità che da sempre la caratterizzava: ‘Voglio essere ricordata per quello che ho fatto e dato alla musica e al teatro.  Ho qualche sbalzo di pressione, una sciatalgia a volte assai dolorosa, qualche affanno metabolico; e, soprattutto, dati gli inevitabili veli che l’età dispiega sia sulle corde vocali sia sulla prontezza di riflessi, l’energia e la capacità di resistenza e di fatica, ho deciso di abbandonare definitivamente le scene e fare un passo indietro in direzione della sala d’incisione, da dove posso continuare ad offrire ancora un contributo pregevole e sofisticato’.

Un abbandono doloroso. Oggi l’ addio definitivo, dopo una lunga malattia, per  Milva ‘la rossa’.

‘Era grandissima sia come cantante che come attrice. Come teneva il palco lei non lo faceva nessuna. Sono profondamente addolorata perché va via una persona che ho ritenuto amica, una delle poche nell’ambiente musicale. Era una delle poche vere artiste internazionali che l’Italia abbia partorito’, così la ricorda Iva Zanicchi. ‘Io l’Aquila, lei la Pantera, due soprannomi che abbiamo faticato ad accettare. Ci dipingevano come rivali, eravamo amiche’.

Non c’è nessuno come lei. Mi dispiace per le altre cantanti italiane che hanno voci bellissime, ma lei era la più completa. Quando entrava lei sul palco non ce n’era per nessuno’, dice Cristiano Malgioglio, grazie al quale le fu tributato il Premio alla Carriera.

Chiara Farigu 

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