il blog di chiarafarigu

mercoledì 9 dicembre 2020

Scuola. Lezioni sino a luglio per ‘recuperare’? No, grazie. Abbiamo già Da(to)D

 Spararla grossa sulla scuola è senza dubbio il nuovo sport nazionale. Genitori, politici, economisti, psicologi e imprenditori un giorno si e l’altro pure hanno la ricetta pronta su come gestire la didattica in presenza e a distanza, su come valutare studenti e alunni e sempre più spesso su quando e come riaprire e soprattutto, udite udite, sino a quando prolungare l’anno scolastico per far ‘recuperare le lezioni perse’.

Quali sarebbero, di grazia, le lezioni perse, si domandano i docenti se, alla chiusura delle scuole imposta dal DPCM del 3 novembre scorso hanno attivato immediatamente la didattica a distanza? Chi chiede il recupero addirittura fino a luglio e nei giorni comandati, come ha fatto qualche ‘governatore’ o la ministra Micheli o qualche noto economista che ha sempre la ricetta giusta per salvare l’Italia quando però non tocca a lui, non conosce le problematiche della scuola.

Non sa come si svolga la Dad, quale impegno richieda e come  sia stato stravolto l’orario di servizio dei docenti peraltro perennemente connessi tra lezioni, collegi, consigli e riunioni. Questi tuttologi della scuola,  non sanno o meglio fingono di non sapere che il loro orario di lavoro è addirittura raddoppiato e in molti casi triplicato.

Non sanno o fingono di non sapere che non c’è nulla da recuperare se non la credibilità. La loro.  Perché, tolti gli arredi scolastici, e anche su questo ci sarebbe da discutere, poco o nulla è stato fatto per mettere veramente in sicurezza le scuole e garantire la didattica in presenza agli studenti di ogni ordine e grado.

Non sanno o fingono di non sapere che andava fatto quel che gli insegnanti, inascoltati, chiedono da sempre: mettere in sicurezza gli edifici scolastici (nel 53% dei casi manca persino l’agibilità, denuncia il Codacons),  dimezzare il numero di alunni e studenti e raddoppiare quello degli insegnanti.  Con il contemporaneo incremento di autobus, treni e scuolabus  per evitare assembramenti e pericoli di contagi.

Non sanno o fingono di non sapere e, quel è peggio non ascoltano chi la scuola la vive giorno dopo giorno, ovvero insegnanti e studenti.  I primi eternamente esclusi da ogni tavolo di discussione che li riguardi, i secondi mandati allo sbaraglio. Sui quali però poi scaricare manchevolezze e inadeguatezze che vanno rispedite a chi  di dovere.

Come appunto la proposta di prolungare le attività didattiche fino al 30 giugno (la scuola dell’infanzia peraltro opera fino a tale data) e perché no fino alla prima settimana di luglio, come ventilato dalla stessa ministra dell’Istruzione Azzolina. ‘Una proposta che offende la professionalità di tutti gli insegnanti impegnati ormai da mesi nella Didattica a distanza’,  replicano i sindacati del comparto scuola.

Per affrontare situazioni eccezionali, com’è appunto questa pandemia, servono strumenti eccezionali. E non ricette estemporanee  buttate con nonchalance dal tuttologo di turno. Strumenti  da concordare con tutte le parti interessate. Nessuno escluso. Strumenti che al momento però sono solo chimere

Chiara Farigu

martedì 8 dicembre 2020

GB-Covid19, la 90enne Margaret fa da apripista al vaccino Pfizer

 E’ la foto più cliccata del giorno quella che ritrae Margaret Keenan, la novantenne del Regno Unito, prima cittadina a ricevere il vaccino contro il coronarivus.  Un’immagine che sta facendo il giro del mondo e che nel suo piccolo è già storia in questo che è stato ribattezzato il V-Day.

All’arzilla signora, con maglietta natalizia e mascherina d’ordinanza,  alle 6,45 del mattino le è stata somministrata la prima dose Pfizer, la seconda la riceverà fra tre settimane. Si è detta emozionata e privilegiata per aver fatto da apripista in questa che si preannuncia come la più importante e massiccia campagna vaccinale di tutti i tempi.

Il miglior regalo di compleanno per lady Margaret che la prossima settimana compirà 91 anni, ‘potrò finalmente trascorrere del tempo con familiari ed amici nel prossimo anno dopo aver passato gran parte del  2020 in solitudine’, racconta raggiante dopo la prima puntura. ‘E se posso vaccinarmi io a 90 anni, potete farlo anche voi’ aggiunge la Keenan, invitando gli inglesi a seguire il esempio per sconfiggere  definitivamente il virus e tornare alla vita il prima possibile.

Il Regno Unito, come aveva annunciato la scorsa settimana,  diventa così il primo Paese al mondo a somministrare  il vaccino della Pfizer-BioNTech  dopo l’approvazione per un uso diffuso. La priorità, come dichiarato dal ministro della Sanità,  agli anziani delle case di cura e al personale medico.

    La Mhra (l’autorità di regolazione sui farmaci del Regno Unito) ha affermato che il vaccino offre fino al 95% di protezione contro il virus ed è sicuro per le vaccinazioni di massa. La Gran Bretagna ha già ordinato 40 milioni di dosi, sufficienti per vaccinare 20 milioni di persone, con due iniezioni ciascuna.

Chiara Farigu

*Immagine AdnKronos

lunedì 7 dicembre 2020

Un Natale diverso

 'Sarà un Natale diverso, ma non meno autentico',  ha detto il premier Conte dopo aver elencato le misure restrittive per contenere i contagi durante le festività. Un Natale più intimo, meno sfarzoso.

Un Natale fatto di cose genuine, com'era quello dei nostri nonni, dei nostri genitori e, per moti di noi, della nostra infanzia. Quando il consumismo, così come lo intendiamo oggi, ancora non aveva capolino per stravolgere usi e costumi tipici delle tradizioni.

Babbo Natale io l’ho scoperto che ero già grande. Come l’albero che è arrivato dopo. I bambini di un tempo scrivevano la letterina a Gesù Bambino. La si preparava a scuola sotto l’occhio vigile della maestra. Poi, ripiegata accuratamente, la si metteva vicino alla grotta per essere certi che il Bambinello la leggesse.

Le richieste erano semplici, così com’erano semplici quei tempi che sono volati via in un attimo. O almeno così sembra nel ricordo di un’età che non c’è più.

I regali erano davvero quelli utili. Le scarpe nuove o il nuovo cappotto, o qualcosa per la scuola. Indumenti o accessori che sarebbero stati comprati comunque. Ma che impacchettati e fatti trovare la notte di Natale avevano un altro sapore, per noi bambini.

In genere era la befana a esaudire qualche richiesta più frivola. Ma sempre con parsimonia. Perché la calza era in gran parte riempita di frutta secca e qualche dolcetto. E l’immancabile carbone. A futura memoria.

Anche il panettone l’ho scoperto che ero già grande. A casa mia le tradizioni erano altre. Tradizioni che oggi stentano a resistere perché la tv ha omologato tutto, l’arte culinaria e persino i gusti.

Gli amaretti, era questa la specialità della casa. Rigorosamente fatti in casa, ricordo la fragranza che durava giorni e giorni, inconfondibile. E poi i “gueffus” noti come ‘sospiri’, palline di pasta di mandorle aromatizzate con l’anice e confezionate con la carta velina colorata a mo’ di caramelle. Per i più golosi le ‘pabassinas’, le praline a forma di rombo farcite con l’uva passa e impastate con ‘sa saba’, il classico mosto d’uva cotto.
Erano questi i dolci che arricchivano la tavola natalizia e tutto il periodo delle feste. Immancabile anche il torrone di Tonara e il gateau sempre e solo a base di mandorle.

Prelibatezze preparate artigianalmente, in famiglia, con zie e cugine e spesso coi vicini di casa coi quali ci si scambiavano ingredienti e ricette per metterli a punto nel rispetto della tradizione. La mandorla era la regina degli ingredienti, predominava sugli altri, eternamente presente anche nella frutta secca, consumata al naturale o ‘infornata’ o inserita all’interno di un fico secco per esaltarne la fragranza.

Una tradizione che fatica a resistere. Forse non esiste già più. Le famiglie non sono più le stesse, in casa si sta sempre meno, ai fornelli poi, poco o niente.

La pubblicità ha fatto il resto, omologando sapori e saperi.

Mentre ricordo i preparativi di un tempo lontano, il mio sguardo indugia sul cesto posizionato accanto all’albero di natale. Tra torroni, torroncini, arachidi, noci, datteri e barrette di cioccolata di varie marche troneggia prepotente un panettone. Accanto un pandoro, per venire incontro ai gusti di tutti. Di chi adora i canditi e l’uva passa e di chi invece li detesta.

Realizzo in un istante che manca qualcosa. Mi mancano quei tempi in cui avevamo poco ma eravamo felici. Ma allora forse non lo sapevamo. Inevitabilmente, un groppone mi sale in gola. Ma è questione di un attimo. Il Natale è anche questo: tuffarsi nei ricordi per rivivere momenti e affetti sempre presenti.

 Chiara Farigu 



giovedì 3 dicembre 2020

3 dicembre, giornata mondiale delle persone con disabilità. Nella pandemia ancora più fragili


Secondo il Rapporto dell’Organizzazione mondiale per la sanità, il 15% della popolazione di tutto il mondo convive con la disabilità. In Italia sono poco più di tre milioni le persone che soffrono di limitazioni più o meno gravi, limitazioni che impediscono loro di svolgere anche le più semplici attività quotidiane come occuparsi dell’igiene personale o nutrirsi autonomamente.

Fu l’Onu, nel 1981, a proclamare la Giornata internazionale dedicata alle persone con disabilità con lo scopo di promuoverne i diritti e il benessere di quanti si trovano in difficoltà. Partendo proprio dal principio che nessuno, tanto meno chi è svantaggiato, debba essere lasciato indietro.

Non è facile né semplice definire la disabilità, termine oltretutto che si è evoluto nel tempo, passando da pura 'condizione biologica' di chi la possiede a ‘condizione sociale’ intesa come riconoscimento di fondamentali diritti giuridici, quali l’uguaglianza atta a garantire la piena ed effettiva partecipazione alla sfera politica sociale economica e culturale della società.

Nel 2001  la nuova Classificazione internazionale del funzionamento disabilità e salute  dell’Oms ha introdotto l’e­spressione, diventata poi concetto giuridico di  ‘persone con disabilità’, termine adottato successivamente dalla Convenzione dell’Onu  approvata nel 2006, ratificato in Italia nel 2009 con la legge n° 18.

All’art 1 si legge che : ‘Per persone con disabilità si intendono coloro che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettive o sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con gli altri’. La Convenzione pertanto pone l’accento sulla persona, riconoscendo il principio di uguaglianza affinché chi ne è affetto possa godere degli stessi diritti riconosciuti a tutti gli altri.

Un iter lungo e faticoso.  E benché molti passi siano stati fatti dal punto di vista etico-giuridico,  molti altri se ne dovranno fare, le barriere architettoniche, soprattutto quelle mentali, sono dure a morire. La Giornata dedicata alla disabilità vuol essere un momento di confronto e di riflessione verso chi soffre e che, a dispetto di normative e convenzioni, continua a vivere una condizione di subalternità e di disconoscimento dei loro diritti. Accentuati ancor più in quest’ultimo anno dalla pandemia ancora in corso.  L’emergenza sanitaria, ce lo racconta giornalmente la cronaca, ha avuto un impatto devastante sulle persone fragili e con disabilità che stanno pagando un duro prezzo in termini di isolamento mancanza di assistenza e ancor peggio di mortalità.

Ricostruire meglio: verso un mondo post Covid19 inclusivo della disabilità, accessibile e sostenibile’, questo il tema della Giornata. Per riflettere, ma soprattutto per fare, affinché nessuno veramente venga lasciato indietro.

Chiara Farigu



sabato 28 novembre 2020

Maltempo in Sardegna: vittime e dispersi a Bitti


La Sardegna già martoriata da una crisi senza precedenti, ante e ancor più post-covid, sta pagando in queste ore un drammatico bilancio a causa del maltempo che imperversa da ieri notte soprattutto a nord dell'isola.



Nel nuorese il nubifragio ha provocato frane ed allagamenti nei centri abitati. Bitti, il più colpito. Le strade in breve tempo si sono trasformate in veri e propri fiumi e poco fa la Protezione Civile ha confermato il decesso di tre persone. Bilancio ancore provvisorio poiché risultano altre persone disperse. In questo video dell'Eco della Barbagia, le drammatiche immagini:




Il primo cittadino fin dalle prime ore aveva fatto evacuare la parte bassa del paese dove, nel 2013, un altro alluvione aveva provocato la morte di 19 persone.

Sul posto le forze di Polizia, i Vigili del fuoco, la Protezione civile e numerosi civili che lavorano incessantemente per mettere al riparo le persone in difficoltà e gli animali rimasti incustoditi.



A Bitti e comuni limitrofi, i sindaci raccomandano di limitare al minimo essenziale gli spostamenti mentre chi è a rischio, si metta in salvo.

Il maltempo ha violentemente anche l'oristanese e il sud dell'isola. Oggi scuole, parchi e cimiteri chiusi a Cagliari, Olbia, Quartu e in tanti altri comuni della Sardegna.



'Evento catastrofico, tre volte superiore per potenza all'uragano di sette anni fa', ha commentato il presidente della Regione Solinas.

Proclamato lo stato di emergenza.

Chiara Farigu




Una strada allagata a Bitti (fermo immagine da video)

giovedì 26 novembre 2020

'Rita Levi Montalcini', la nuova imperdibile fiction di Rai 1

Dopo i numerosi trailers delle scorse settimane che ne annunciavano la messa in onda, arriva stasera su Rai 1 l’imperdibile  fiction  ‘Rita Levi  Montalcini’.  Uno spaccato di vita, liberamente ispirato, della neurobiologa torinese sugli anni dopo il Nobel, precisa il regista Alberto Negrin.  Una fiction per rendere  omaggio a una donna straordinaria, non una biografia né tantomeno un documentario sulla Professoressa Montalcini.

La bravissima Elena Sofia Ricci, smessi temporaneamente gli abiti da suora della fortunata serie tv ‘Dio ci aiuti’,  vestirà, con molta umiltà e rispetto, come sottolinea nelle interviste, i panni della scienziata della quale rivela in anteprima qualche curiosità circa la sua vita privata. ‘La cosa più emozionante è stata entrare nella sua casa sua. La nipote Piera ci ha permesso di girare alcune scene nella stanza della Professoressa. Sono rimasta molto colpita dalla sua semplicità. Una camera che definirei austera: letto singolo, scrivania, armadio. Microscopio, libri  (compreso il Nuovo dizionario dal piemontese all’italiano)  e  dischi di musica classica’.

La fiction prende spunto da una vicenda di fantasia creata appositamente dagli autori  per mettere in luce la determinazione della scienziata e il suo amore sconfinato per la ricerca. Il laboratorio, le provette, il microscopio, lo studio, tutto il suo mondo. La scienza la sua unica ragione di vita.

Nata a Torino il 22 aprile del 1909, insieme alla gemella Paola, si laurea in medicina ma fin dai primi anni di università si dedica allo studio del sistema nervoso. Studi che non interrompe neanche dopo la proclamazione delle leggi razziali (la sua famiglia era di origine ebrea) e che continuerà privatamente. Nel 1947 si trasferisce negli Stati Uniti per continuare le sue ricerche e insegnare neurobiologia.

Nel 1952 si trasferisce in Brasile per continuare gli esperimenti di culture in vitro che porteranno all’identificazione  del fattore di crescita delle cellule nervose, conosciuto con l’acronimo NGF. Sarà grazie a questa scoperta che nel 1986 riceverà il Premio Nobel.

Nel 1969 rientra in Italia per dirigere l’Istituto di Biologia Cellulare del CNR a Roma; nel 2001 viene nominata senatrice a vita ‘per aver illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo scientifico e sociale’

La Professoressa  Montalcini ha continuato a studiare e a lavorare ininterrottamente sino alla sua morte avvenuta il 30 dicembre del 2012, alla veneranda età di 103 anni. ‘Il cervello, se lo coltivi funziona, era solita ripetere. Se lo lasci andare e lo metti in pensione si indebolisce. La sua plasticità è formidabile. Per questo bisogna continuare a pensare’.

Coraggiosa, determinata, volitiva, credeva fortemente nella forza delle donne:Le donne hanno sempre dovuto lottare doppiamente. Hanno sempre dovuto portare due pesi, quello privato e quello sociale. Le donne sono la colonna vertebrale delle società’, questa una delle sue celebri frasi.

Donna, scienziata e maestra di vita: ‘Il male assoluto del nostro tempo è di non credere nei valori. Non ha importanza che siano religiosi oppure laici. I giovani devono credere in qualcosa di positivo e la vita merita di essere vissuta solo se crediamo nei valori, perché questi rimangono anche dopo la nostra morte’. Come i suoi, che resteranno nella storia.

Chiara Farigu 


mercoledì 25 novembre 2020

Una parola, una storia: Femminicidio

E mentre noi siamo impegnati a incorniciare la nostra foto profilo social con scarpette rosse e simboli vari, altre due donne sono state uccise oggi, nella giornata contro la violenza sulle donne.

Due donne che si vanno ad aggiungere alle 91 ammazzate dall'inizio dell'anno sino al 31 ottobre, come certifica l’ultimo Rapporto Eures.

Una nel ricco e moderno Veneto, l’altra nel profondo e martoriato Sud, in Calabria. Uccise entrambe da chi avrebbe dovuto proteggerle anche a costo della loro vita. A conferma che la violenza non conosce differenze territoriali né socio-economiche  ma sia ‘un fenomeno con radici culturali profonde’, come ha ribadito oggi il premier Conte.

Uccise per ‘motivi passionali’, raccontano i quotidiani nel dare la notizia.  Sentimenti morbosi. Amori malati. Alimentati dalla fiamma del possesso, dei ‘no’ difficili da accettare,  della gelosia morbosa,  scambiati per ‘troppo amore’.

Una mattanza che non accenna a diminuire e che ha visto una recrudescenza di casi proprio durante il lockdown, quando per molte donne le mura domestiche si sono trasformate in carceri da cui uscire pestate a sangue o senza vita.

Una mattanza che per essere spiegata, analizzata, studiata e compresa ha avuto bisogno di un nuovo termine coniato ad hoc per non essere confuso col più generico omicidio, anche se riferito ad una donna: FEMMINICIDIO.

Si dice femminicidio ‘qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l'identità attraverso l'assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte’ recita il dizionario.

Una differenza non da poco. Che necessita di un percorso socio-culturale ancora lungo, ahimè, da definire.

Ieri qualcuno ha lasciato una rossa sulla spiaggia. Il gesto della mano gentile di un uomo per le tante donne che hanno subìto e sono vittime di violenza di mani incapaci di dare amore.  Forse non tutto è perduto, ho pensato, dinanzi a quei petali smossi dalla brezza marina.

Fa male doverlo ammettere. Mi sbagliavo.

Proprio oggi che urliamo a pieni polmoni 'Mai più' è già successo. Nuovamente

Chiara Farigu


lunedì 23 novembre 2020

Censis: peggiora il tenore di vita per 7,6 milioni di italiani

Estremamente preoccupante ma realistico il Rapporto del Censis   la sostenibilità al tempo del primato della salute’, presentato oggi.

Una serie di dati e percentuali che messi nero su bianco ci danno la conferma di quanto percepiamo quotidianamente. Di quello che siamo e stiamo diventando in tempo di pandemia. Dove, a farla ancora da padrone è l’incertezza. Del presente ma ancor più del futuro.

Ben cinque milioni di italiani, recita il report, hanno difficoltà a mettere in tavola un pasto decente, mentre sette milioni e 600 mila hanno avuto un peggioramento del tenore di vita. E se questo non fosse già più che abbastanza, il 60% ritiene che la perdita del lavoro e quindi del reddito sia un evento possibile che lo possa riguardare nel prossimo anno.

E se in un precedente Rapporto il Censis ci aveva classificato come un popolo di ansiosi, insicuri, tendenzialmente delusi dalle istituzioni e anche incattiviti, la pandemia, sottolinea quello odierno,  sta evidenziando una società con molte, troppe diseguaglianze.

Disuguaglianze tra generi (tra uomini e donne ci sono 20 punti di differenza nel tasso di occupazione);  disuguaglianze tra generazioni (tutti i fenomeni di riduzione dell’occupazione colpiscono di più i giovani rispetto ai lavoratori adulti) e disuguaglianze anche nell’accesso al web (circa il  40% di famiglie a basso livello socioeconomico che non ha accesso alla rete).

Dinanzi a queste prospettive non c’è quindi da stupirsi se in testa ai desiderata degli italiani c’è la sostenibilità sociale. Lavoro, sanità, sicurezza, istruzione, welfare per le fasce più deboli, la ricetta per affrontare i contraccolpi di questa pandemia senza precedenti. Le cui conseguenze, senza lo sforzo di tutti i soggetti,  imprese e mercati, ammonisce De Rita, presidente del  Censis, sarà quella di una società ancora più povera impaurita e disuguale

Chiara Farigu


Una parola, una storia : Ricordi

Stamattina sfogliando un vecchio album di foto  sono stata sopraffatta da una marea di ricordi. Ricordi che mi hanno riportata indietro nel tempo quando amavo viaggiare per conoscere posti nuovi e riabbracciare le persone care. Oggi che viaggiare ci è temporaneamente vietato a causa della pandemia, non ci rimane che aprire il cassetto dei ricordi  per riportali in vita attraverso le parole.

Le parole mettono le ali ai desideri.  Ci sono parole che ci coinvolgono più di altre. Che ci appartengono più di altre. Parole che ci scaldano il cuore  e altre che ci fanno soffrire.

Parole che ci fanno riflettere e altre trasgredire. Parole che ci fanno sognare, immaginare, volare.  Parole che accolgono, altre invece che allontanano. Parole che favoriscono il dialogo e altre ancora che impongono silenzi. Parole che abbracciano altre che lasciano indifferenti.

Parole che riportano alla vita, altre che feriscono e peggio ancora uccidono come e più delle stesse armi.

Parole che diventano di ‘moda’ e altre che cadono in disuso.  Parole con le quali dire tutto e il contrario di tutto. Parole che arrivano dritte al cuore e altre alla pancia.  Parole d’onore e bla bla bla.

Parole che fanno viaggiare. Nello spazio e nel tempo. Come questa di oggi ‘ricordi’ , con la quale ha inizio questa  nuova avventura: un viaggio nelle parole per raccontare storie

Chiara Farigu



sabato 21 novembre 2020

Ebbene sì, credo alla 'favoletta' che si muore di covid

Stamattina all’uscita dal supermercato mi sento afferrare per il gomito da una conoscente che non vedevo da tempo. Avevo la mascherina e a passo veloce mi dirigevo verso il parcheggio.

Lei puntandomi il dito mi apostrofa con un ‘non mi dica che pure lei crede alla favoletta del covid?

Naturalmente non mi dà neanche il tempo di rispondere perché comincia subito con la tiritera della ‘dittatura sanitaria’, della mascherina che è solo un bavaglio col quale i politici vogliono toglierci il diritto di parola, che è tutto un complotto e chi più ne ha più ne metta.

Avrei potuto risponderle che ebbene sì, sono una di quelle che crede, come dice lei, alla 'favoletta' del covid. Virus che in questa seconda ondata è tornato più agguerrito che mai e in virtù di questo nessuno può sentirsi al sicuro. Tanto meno io che rientro nella categoria totiana degli 'improduttivi' per giunta con qualche patologia pregressa.

Avrei potuto risponderle che non credo ai complotti e che metto in pratica le misure anti-contagio. Anche se non in maniera maniacale perché a volte basta il buon senso. Come quando durante la passeggiata quotidiana, poiché per chilometri non incontro nessuno, faccio a meno della mascherina, anche se è pronta per l’uso.

Avrei potuto aggiungere che non sono interessata alla differenza dei morti di covid per covid o col covid perché, se un malato oncologico o iperteso o diabetico si becca il maledetto virus e poi muore, il responsabile ultimo è sempre lui, il coronavirus che gli ha dato il colpo di grazia. Perché senza sarebbe campato per chissà quanti anni ancora.

Avrei potuto dirle che da quando mi sono conquistata con le unghie e con i denti il diritto alla pensione mi sono posta l’obiettivo di godermela a lungo. Un po’ per farla in barba a quanti questo diritto me lo hanno fatto sudare e molto perché amo la vita. E se per tutelarmi devo per qualche tempo indossare la mascherina, igienizzare le mani e stare distante da persone che ti alitano baggianate simili, non vedo il problema.

Avrei potuto dirle che più del virus uccide l’ignoranza.

Avrei potuto. Non ho voluto.

E senza proferire parola le ho scostato il braccio che aveva appoggiato sulla macchina. Solo uno sguardo molto eloquente.
Silenzio e indifferenza la miglior risposta.

Nel ripartire non ho potuto fare a meno di osservarla dallo specchietto retrovisore. Stava già puntando un'altra 'vittima' sulla quale sputare la 'favoletta' della dittatura sanitaria la museruola il complotto dei poteri forti ...

Chiara Farigu





La nonna paterna? Una nonna a metà (con poche eccezioni)

  Essere nonne è un dono meraviglioso che la vita riserva a chi ha avuto la gioia di essere prima mamma. E’ come diventare madri una seconda...