Accadeva oggi: il 5 agosto 1981, l’Italia, con la legge 442 metteva fine ad una pratica che definire ‘medievale’ è un puro eufemismo: le nozze riparatrici.
Una modalità che consentiva ad un uomo, dopo aver violentato una donna, nubile e illibata, di ‘riparare’ al malfatto sposandola. Senza poter avanzare alcuna pretesa in beni o averi come dote per la sposa.
Col matrimonio veniva meno ogni effetto penale e sociale, la sua colpa estinta.
Per la donna, ‘disonorata, agli occhi della famiglia e della società, accettare quelle nozze era in pratica un obbligo al quale non era neanche lontanamente immaginabile potersi sottrarre.
Sino a quindici anni prima quando una diciassettenne di Alcamo per la prima volta disse NO al matrimonio riparatore.
Un no forte e chiaro che contribuì a cambiare per sempre il volto di un’Italia piuttosto retrograda in fatto di diritti umani.
Quel NO lo gridò all’Italia intera Franca Viola, divenendo, suo malgrado, il simbolo dell’emancipazione delle donne italiane. ‘Io non sono proprietà di nessuno, nessuno può costringermi ad amare una persona che non rispetto, l’onore lo perde chi le fa certe cose, non chi le subisce’, motivò così quel rifiuto durante il processo, supportata in questa decisione da tutta la sua famiglia.
Lei quella violenza la subì per lunghi otto giorni. Venne rapita, violentata, malmenata e lasciata a digiuno in un casolare dal suo ex fidanzato, allontanato dai genitori di Franca perché vicino ad una famiglia mafiosa.
Lui, dopo il fattaccio propose la ’paciata’, il matrimonio riparatore e la fine delle ostilità.
I genitori finsero di accettare e all’incontro stabilito si presentarono con la polizia che arrestò Filippo Melodia e i suoi complici.
Per Franca fu la fine di un incubo e l’inizio di una nuova vita.
‘Non fu un gesto coraggioso. Ho fatto solo quello che mi sentivo di fare, come farebbe oggi una qualsiasi donna: ho ascoltato il mio cuore, il resto è venuto da sé’, ha più volte dichiarato Franca Viola. Quasi a voler minimizzare quell’atto che fece da apripista a tanti dibattiti che quindici anni dopo consentiranno al legislatore di legiferare in merito cancellando, con un colpo di spugna, ben due norme del codice penale: il matrimonio riparatore e il delitto d’onore.
Una sorta di attenuante, quest’ultimo, per l’uomo che commette un delitto in quanto ‘offeso nell’onore’ dalla propria donna o da una donna della sua famiglia alle prese con una relazione carnale illegittima.
Occorrerà aspettare sino al 1996 per veder riconosciuta, con una nuova legge, la #violenzasessuale come reato non più contro la morale ma contro la persona che la subisce.
Tanta strada è stata fatta da allora. Ma tanta altra occorrerà percorrerne per cambiare la concezione della donna, vista ancora oggi come ‘proprietà’ dell’uomo. I tanti, troppi femminicidi ne sono una drammatica conferma.
Tanta strada si dovrà ancora percorrere per raggiungere quella parità di diritti, nel lavoro, nella vita familiare e privata per fare della nostra una società civile e moderna.
Occorrono nuove leggi e nuove prospettive.
Cominciando da una vera rivoluzione culturale e sociale senza le quali qualunque normativa messa in atto rischia di restare un mero intento, un’aspirazione e mai un cammino di vero cambiamento.
Chiara Farigu
*Immagine Hermesmagazine