il blog di chiarafarigu

domenica 14 agosto 2022

Ponte Morandi. Genova non dimentica e chiede giustizia: 4 anni fa il crollo

 C’era una volta il ponte o viadotto Polcevera, meglio noto come ponte Morandi, dal nome dell’ingegnere che lo progettò. Per oltre 60 anni è stato il simbolo di Genova e nodo strategico per il collegamento fra il nord-Italia e il sud della Francia.

Quattro anni fa, esattamente il 14 agosto del 2018, alle ore 11, 36, come un fulmine a ciel sereno, il crollo di uno dei tre piloni che sostenevano il ponte trascinando con sé un tratto di strada lungo circa 200 metri.
Una tragedia immane: 43 le vittime. Una ferita profonda non solo per Genova ma per l’Italia tutta. Le immagini fecero il giro del mondo. Quel camion che si arrestò un secondo prima di precipitare nel vuoto divenne il simbolo della tragedia tra il prima e il dopo.
Sessanta anni di storia e di storie. Sessanta anni di viaggi di piacere e di lavoro. Sessanta anni di unione, di incontri di vita di milioni di italiani.
Poi il crollo, il dolore, la morte. E oltre 600 gli sfollati. 
La ricerca delle responsabilità, le accuse a chi doveva e non ha fatto i necessari controlli, gli scaricabarile come sempre avviene dinanzi alle tragedie. Le promesse della politica di ricostruire quanto e meglio di prima. Ma soprattutto la determinazione dei genovesi di voltare pagina e guardare al futuro.
Poi il nuovo progetto dell’archistar Renzo Piano e i fondi per la ricostruzione. E nello sfondo la magistratura per appurare responsabilità e responsabili.
Una lunga storia che ha fatto e farà parlare ancora molto a lungo.
Dopo meno di un anno la demolizione di quel che ne restava. In soli sei secondi l’implosione di sessanta anni di storia, ridotti a ventimila metri cubi di detriti. Centinaia i genovesi appostati fin dal mattino per dare l’ultimo addio a quel simbolo che da quel momento non c’era più.
Da adesso comincia il futuro, titolarono i giornali.
Futuro che arrivò quasi in tempi record: dopo due  anni di lavori no-stop, alla presenza di Sergio Mattarella e delle più alte cariche dello Stato, il 3 agosto del 2020  l’ inaugurazione del nuovo ponte, chiamato  ‘Genova San Giorgio’, che verrà aperto al traffico due giorno dopo, il 5 agosto.

Immagine tratta da ligurianotizie.it

Sono passati quattro lunghi anni da quella tragedia che, come è stato ampiamente appurato da verifiche successive, si sarebbe potuta e dovuta evitare. Quel ponte sarebbe ancora in piedi se chi di dovere avesse provveduto alla giusta manutenzione e al costante monitoraggio della tenuta di bretelle piloni e ciò che necessitava di cure e attenzioni. E  controlli periodici.

Troppi i se e troppe le domande ancora senza risposta in questa tragedia che chiede ed esige giustizia. Perché Genova non dimentica, non può e non vuole dimenticare, ha ribadito oggi il sindaco Bocci durante la cerimonia di commemorazione. Ma soprattutto pretende GIUSTIZIA.

Perché senza sarà la sfiducia farla da padrone.  E la quasi certezza che ancora una volta non si sia imparato nulla o quasi quando si antepone il profitto alla sicurezza.

Una ferita che non si può rimarginare, una sofferenza che non conosce oblio, una solidarietà che non viene meno. Una una tragedia che non deve ripetersi mai più. Un dramma per tutta la Repubblica’, è questo il messaggio di solidarietà del Capo dello Stato Mattarella  e del presidente Draghi, ai parenti delle vittime e alla città ligure, oggi stretti nel ricordo dell’immane tragedia ma fermamente determinati a cercare giustizia.

Affinché mai più si debba raccontare ‘c’era una volta’.

Chiara Farigu

*Immagine Liguria Today

sabato 13 agosto 2022

Piero Angela. Ciao Maestro, ci mancherai!

 Sapeva da tempo che era in procinto di intraprendere l’ultimo viaggio in quanto ‘anche la natura ha i suoi ritmi’, come scrive lui stesso nell’accomiatarsi dai telespettatori dopo ben 70 anni vissuti insieme. “Anni, sottolinea, per me molto stimolanti che mi hanno portato a conoscere il mondo e la natura umana. È stata un’avventura straordinaria, vissuta intensamente e resa possibile grazie alla collaborazione di un grande gruppo di autori, collaboratori, tecnici e scienziati. A mia volta, ho cercato di raccontare quello che ho imparato. Carissimi tutti, penso di aver fatto la mia parte. Cercate di fare anche voi la vostra per questo nostro difficile Paese. Un grande abbraccio”.


A dare l’annuncio della sua morte è stato suo figlio Alberto con un semplice ‘buon viaggio papà’ sul suo profilo facebook.

Avrebbe compiuto 94 anni qualche giorno prima di natale Piero Angela ed era in piena attività nonostante fosse afflitto da tempo da una malattia, che ha cercato di domare sino all’ultimo.

‘Se sei curioso, creativo e ti interessi di diversi argomenti, allora stai bene. Funziono meglio adesso, rispetto a trenta anni fa’, rispondeva  a chi gli domanda come ci si sente dinanzi a un compleanno così importante come l’ultimo che si accingeva a festeggiare il 22 dicembre scorso.

Curiosità, creatività, conoscenza e interesse che ha sempre messo a disposizione dei giovani come  ‘Prepararsi al futuro’, programma andato in onda  su Rai 3 lo scorso febbraio.

Responsabilità preparazione e conoscenza sono stati sempre i pilastri del suo lavoro. Non si può essere approssimativi o superficiali quando si parla di scienza, ripeteva  Angela, invitando i giovani alla lettura e allo studio coi quali abbattere ignoranza e pregiudizi.

Su quale fosse il segreto della sua longevità fisica e mentale non aveva dubbi: buoni geni e tanti interessi. Il cervello è un serbatoio che più lo riempi, più il suo spazio aumenta, è fondamentale mantenerlo costantemente  attivo, così come avere degli hobby e non stancarsi di essere curiosi.

E lui che della curiosità ne ha fatto la ragione stessa della sua vita e della sua lunga e invidiabile carriera,  gli anni non li contava più. Li viveva con la leggerezza di sempre, sebbene non mancasse, come ha poi confermato nel suo ultimo saluto ai telespettatori, non solo qualche acciacco legato all’età ma anche un’importante patologia. ‘Penso a me stesso come a un giovanotto, almeno interiormente’, amava ripetere nelle sue interviste.

Nato a Torino nel 1928, Piero Angela è stato il più importante e noto divulgatore scientifico, ‘Quark, divenuta poi ‘Super Quark’ dura da oltre 40 anni). Ma è stato anche giornalista, conduttore televisivo e saggista. E’ stato il Maestro che ognuno di noi avrebbe voluto per la chiarezza, la competenza, la semplicità e l’amore per il suo lavoro. Ci ha donato la passione per la Conoscenza,  e insegnato il rispetto per la natura inteso in senso lato. Della vita amava tutto. Ciò che si conosce e ancor più ciò che non si conosce. Ci ha insegnato a essere curiosi, a porci domande e dubbi. E a non accontentarci. La Conoscenza è sì curiosità ma anche e soprattutto approfondimento e condivisione. ‘Cercate l’eccellenza in quel che fate’, ripeteva ai giovani, invitandoli appunto a non accontentarsi facilmente.

Un’altra sua grande passione, la musica, il pianoforte che ha fatto da sottofondo ai momenti più significativi della sua vita.

Se n’è andato con discrezione, con lo stesso garbo che da sempre lo ha contraddistinto. Di lui ci resteranno le sue magistrali lezioni, sulla vita, sulla bellezza della natura e della sua storia.

Ciao, Maestro, ci mancherai!

*Immagine ANSA/GIUSEPPE LAMI

domenica 7 agosto 2022

Quando le vacanze sapevano di cotoletta panata

 Quando ero piccola io le vacanze erano solo quelle relative alla chiusura della scuola. Mio padre, uomo dai mille mestieri per mandare avanti la famiglia, non conosceva la parola ‘ferie’.

Non ne aveva diritto, almeno nel senso che le viene attribuito dalla costituzione e dai vari statuti dei lavoratori.

Tuttavia ne percepiva l’importanza, almeno per noi figli. Così, una o due volte la settimana si partiva per il mare. Un lusso a quei tempi, per chi viveva nei paesi dell’interno di un’isola come la mia. Mia madre di buon mattino cucinava le fettine panate da consumare in spiaggia e gli immancabili ‘mallereddus alla campidanese’ perché un piatto di pasta non doveva mancare mai. Tantomeno al mare, dove il cambio d’aria, stimolava l’appetito.

Acqua, vino e frutta completavano il menù della gita. Poi partenza, destinazione Cagliari, spiaggia del Giorgino, meravigliosa a quei tempi. Sabbia bianchissima, acqua cristallina e macchia mediterranea tutto intorno a fare da cornice.

Mio padre mia madre e mio fratello più piccolo in vespa, la macchina era appannaggio dei ricchi e noi non lo eravamo. Io e mio fratello più grande in pullman (l’autista era un amico di famiglia) sapeva dove farci scendere. La fermata era segnalata da un cartello che pubblicizzava la nota marca di un lanificio di quegli anni, fine anni ’50 primi anni ’60.

Da quel momento in poi cominciava la libertà. Di correre, ridere, giocare spruzzarci l’acqua l’un l’altro. Per i miei genitori vederci felici era la gioia più grande. Loro cercavano riparo sotto l’ombra di un pino marittimo ricurvo dallo sferzare del maestrale, tipico del nostro paesaggio. L’ombrellone sarebbe arrivato anni dopo. Allora ci si arrangiava con quel che si aveva, cioè poco. Ma a noi bastava. Perché sapevamo di essere dei privilegiati rispetto a nostri vicini di casa che osservano con non poca invidia le nostre escursioni.

Per merenda si mangiavano gli avanzi del pranzo, quelle fettine surriscaldate dal sole ci sembravano ancora più appetitose di quelle consumate a pranzo. La pelle arsa dal sole che picchiava senza pietà era lo scotto da pagare per quei momenti di libertà. Indimenticabili. Unici. Cosi diversi dalle vacanze odierne. Dove si ha di tutto e di più e chissà perché si è sempre alla ricerca di qualcosa che non c’è. Col broncio sempre stampato e con lo stress a mille che neanche l’aria di mare riesce a lenire.

Chiara Farigu 

*Immagine web

venerdì 5 agosto 2022

5 agosto 1981: l’Italia dice addio al matrimonio riparatore (e al delitto d’onore)

 Accadeva oggi: il 5 agosto 1981, l’Italia, con la legge 442 metteva fine ad una pratica che definire ‘medievale’ è un puro eufemismo: le nozze riparatrici.

Una modalità che consentiva ad un uomo, dopo aver violentato una donna, nubile e illibata, di ‘riparare’ al malfatto sposandola. Senza poter avanzare alcuna pretesa in beni o averi come dote per la sposa.

Col matrimonio veniva meno ogni effetto penale e sociale, la sua colpa estinta.  

Per la donna, ‘disonorata, agli occhi della famiglia e della società, accettare quelle nozze era in pratica un obbligo al quale non era neanche lontanamente immaginabile potersi sottrarre.

Sino a quindici anni prima quando una diciassettenne di Alcamo per la prima volta disse NO al matrimonio riparatore.

Un no forte e chiaro che contribuì a cambiare per sempre il volto di un’Italia piuttosto retrograda in fatto di diritti umani.

Quel NO lo gridò all’Italia intera Franca Viola, divenendo, suo malgrado, il simbolo dell’emancipazione delle donne italiane. ‘Io non sono proprietà di nessuno, nessuno può costringermi ad amare una persona che non rispetto, l’onore lo perde chi le fa certe cose, non chi le subisce’, motivò così quel rifiuto durante il processo, supportata in questa decisione da tutta la sua famiglia.

Lei quella violenza la subì per lunghi otto giorni. Venne rapita, violentata, malmenata e lasciata a digiuno in un casolare dal suo ex fidanzato, allontanato dai genitori di Franca perché vicino ad una famiglia mafiosa.

Lui, dopo il fattaccio propose la ’paciata’, il matrimonio riparatore e la fine delle ostilità.

I genitori finsero di accettare e all’incontro stabilito si presentarono con la polizia che arrestò Filippo Melodia e i suoi complici.

Per Franca fu la fine di un incubo e l’inizio di una nuova vita.

‘Non fu un gesto coraggioso. Ho fatto solo quello che mi sentivo di fare, come farebbe oggi una qualsiasi donna: ho ascoltato il mio cuore, il resto è venuto da sé’, ha più volte dichiarato Franca Viola.  Quasi a voler minimizzare quell’atto che fece da apripista a tanti dibattiti che quindici anni dopo consentiranno al legislatore di legiferare in merito cancellando, con un colpo di spugna, ben due norme del codice penale: il matrimonio riparatore e il delitto d’onore.

Una sorta di attenuante, quest’ultimo,  per l’uomo che commette un delitto in quanto ‘offeso nell’onore’ dalla propria donna o da una donna della sua famiglia alle prese con una relazione carnale illegittima.

Occorrerà aspettare sino al 1996 per veder riconosciuta, con una nuova legge, la #violenzasessuale come reato non più contro la morale ma contro la persona che la subisce.

Tanta strada è stata fatta da allora. Ma tanta altra occorrerà percorrerne per  cambiare la concezione della donna, vista ancora oggi come ‘proprietà’ dell’uomo. I tanti, troppi femminicidi ne sono una drammatica conferma.

Tanta strada si dovrà ancora percorrere  per raggiungere quella parità di diritti, nel lavoro, nella vita familiare e privata per fare della nostra una società civile e moderna.

Occorrono nuove leggi e nuove prospettive.

Cominciando da una vera rivoluzione culturale e sociale senza le quali qualunque normativa messa in atto rischia di restare un mero intento, un’aspirazione e mai un cammino di vero cambiamento.

Chiara Farigu

*Immagine Hermesmagazine

La nonna paterna? Una nonna a metà (con poche eccezioni)

  Essere nonne è un dono meraviglioso che la vita riserva a chi ha avuto la gioia di essere prima mamma. E’ come diventare madri una seconda...