il blog di chiarafarigu

venerdì 15 aprile 2022

Il 14 aprile del 1980 moriva Gianni Rodari. Un grande della cultura italiana

 Il 14 aprile del 1980 moriva Gianni Rodari. Un grande della cultura italiana. Un maestro di narrativa che ha incantato e continua ad affascinare diverse generazioni di giovani e bambini.

Ricordo lo stupore dei miei piccoli alunni dinanzi alle favole e alle filastrocche nate dalla penna del Maestro. E che dire di ‘Giovannino Perdigiorno’, il distratto viaggiatore che perde tutto, l’autobus,  l’ombrello,  la via e persino la testa  ma non l’allegria, o di ‘Alice Cascherina’, che cade sempre dappertutto. Personaggi indimenticabili per bambini di ogni tempo.

Vorrei che tutti leggessero, non per diventare letterati o poeti, ma perché nessuno sia più schiavo“, soleva dire. Un testamento per i tutti i giovani di oggi e ancor più di domani.

Rodari ha ricoperto molti ruoli: poeta, scrittore, saggista, giornalista, maestro. Anche maestro “clandestino”: nel 1937 insegnò italiano ad alcuni bambini ebrei, tedeschi, che si erano rifugiati in Italia sperando di salvarsi dalle persecuzioni razziali. Antifascista e partigiano.

Con le sue opere, tradotte in tutto il mondo, ha contribuito a rinnovare profondamente la letteratura per l’infanzia. Filastrocche in cielo e in terra, Il libro degli errori, Favole al telefono, Il gioco dei quattro cantoni, C’era due volte il barone Lamberto, La Grammatica della Fantasia, sono solo alcuni titolo tra i più conosciuti.

Diversi i testi contengono un messaggio pacifista.

E mai come oggi abbiamo bisogno di costruire ponti per unire popoli così distanti ma così vicini. Culture così diverse ma così speciali nelle loro specificità.

Questa  poesia sembra scritta oggi, tanto è attuale:

Ci sono cose da fare ogni giorno:

lavarsi, studiare, giocare,

preparare la tavola

a mezzogiorno.

Ci sono cose da fare di notte:

chiudere gli occhi, dormire,

avere sogni da sognare,

orecchie per non sentire.

Ci sono cose da non fare mai,

né di giorno, né di notte,

né per mare, né per terra:

per esempio, la guerra.

Chiara Farigu

“Àrbores”, in un docu-film la Sardegna degli alberi che non ci sono più

 Conoscere la Storia di un’isola come la Sardegna non è semplice. Anzi è un’impresa piuttosto ardua, lo sanno bene gli stessi isolani che la abitano.

Figuriamoci per chi ‘viene da fuori’.

Si conoscono (e si apprezzano) le località turistiche più in voga, molto meno le altre spiagge altrettanto belle, forse anche più, ma meno battute; si conoscono i siti nuragici millenari e le bontà culinarie che la rendono unica. Il profumo del mirto, dell’elicriso e del corbezzolo non hanno segreti neanche per il turista fai da te e lo sferzare del maestrale che spettina cuori e pensieri è materia viva per poeti e scrittori di ogni tempo.

Una Terra unica. Con il suo susseguirsi di splendide baie lungo la costa e di varchi inaccessibili nell’entroterra.  Una Terra dai due volti. Dolce e aspra. Mite e dura. Riservata e accogliente. Rigogliosa e brulla allo stesso tempo.

Divenuta tale anche per via delle tante ferite che nel corso dei secoli le sono state inferte. C’è stato un tempo nel quale quest’Isola era coperta di boschi, ricca di fonti e materie prime, protetta dal vento. Poi, con l’arrivo dei  piemontesi l’isola cambia volto, colori e clima. I piemontesi iniziarono un’opera di  disboscamento senza eguali nell’intera isola che venne trattata al pari di una qualsiasi colonia anche se fu proprio lei a dare il nome a quel Regno da cui ebbe inizio il processo che portò all’Unità d’Italia. In meno di un secolo i piemontesi portarono a compimento un’operazione di saccheggio che gli spagnoli non erano riusciti a realizzare in secoli di dominio.

Quella legna e quel carbone sottratti alla Sardegna servirono a costruire lo sviluppo industriale del Nord mentre l’isola diveniva una terra spoglia, impoverita, desertificata.

A raccontare questa parte di storia, meglio noto come il tributo che i Sardi hanno pagato all’Unità d’Italia, il regista nuorese Francesco Bussolai, in un’emozionante docu-film,  “Àrbores”, fatto di immagini, documenti e testimonianze.

Galeotto fu il libro “Colpi di Scure e Sensi di Colpa” di Fiorenzo Caterini.  Una lettura illuminante per il regista sardo: ‘Mi ha fatto scoprire una storia che ignoravo e che le future generazioni dovrebbero conoscere. Un lavoro sulla memoria perduta’.

 ‘Àrbores’ racconta la storia del bosco del monte Ortobene di Nuoro. Un polmone verde che ha un vissuto comune ai boschi isolani, colpiti nell’800 dalla mano affilata del governo piemontese.

Diversi scrittori denunciarono il misfatto,  da Antonio Gramsci a Grazia Deledda, da Salvatore Cambosu a Giuseppe Dessì.

Un racconto che ognuno dovrebbe conoscere, per ricordare, riflettere, costruire consapevolezza e cambiamento. Una storia che non è solo locale, precisa il regista, ma che interessa tutti: oggi succede in Amazzonia.

E non è un caso che il docu-film, premiato al Babel Film Festival 2021, venga proiettato nelle scuole.  Gli effetti devastanti del disboscamento suscitano grande interesse tra i giovani, Greta Thunberg docet.

Chiara Farigu

martedì 5 aprile 2022

5 aprile 1972 – 5 aprile 2022: 50 anni (portati bene). I prossimi li facciamo contare

 5 aprile 1972. Piovigginava quel mercoledi e questo non poteva essere che di buon auspicio per quel matrimonio che si sarebbe celebrato di lì a poco. C’era gran fervore in casa, sebbene tutto fosse stato pianificato fin nei minimi dettagli. ‘Ancora un attimo’ , pensò Agnese mentre annusava il bouquet di ciclamini di campo che aveva avvolto nel tulle. In quell’attimo i pensieri si divertirono a tornare indietro nel tempo,  quando tutto ebbe inizio.

Un anno e mezzo prima …

Sorrise Nico alle raccomandazioni di sua madre: ‘Stai attento ai banditi e… vedi di non innamorarti di una sarda: sono tutte piccole, bruttine e pure pelose (!). E scrivi a mammà appena arrivi‘.

Continuò a sorridere anche sulla nave che lo portava nell’isola, l’unica Regione in cui non era mai stato neanche per una breve vacanza. E che desiderava conoscere a fondo. Ci andava per insegnare, ma anche per mettere una distanza con un amore finito che però bruciava ancora. Un anno, solo un anno, poi avrebbe chiesto il trasferimento e sarebbe tornato nella sua Campania. Dalla sua famiglia e dai suoi amici.

Ci restò 9 nove anni e ci sarebbe rimasto a vita se … c’è sempre un se che scombina programmi e progetti di vita. Ma il cordone ombelicale con l’isola non è stato mai reciso. Impossibile farlo. In quell’anno, in quell’unico anno in cui avrebbe dovuto fare il docente e il turista, il destino, o chi per lui, si divertì a rimescolare le carte.

Fin dal suo arrivo. Con la scelta della sede: Oristano o Norbio? Optò per il 2°. Quanto lesse su ‘I Comuni d’Italia’ lo convinse che il paese, ai piedi di una splendida pineta dovesse essere delizioso. Non era preparato a quel vento frizzantino che scompigliava la sua chioma che già da un po’ gli dava qualche grattacapo. Trovò curiosi quegli alberi piegati, resi curvi dal costante soffiare del maestrale nell’isola. E quel modo di parlare così caratteristico, musicale, latineggiante, unico. Odori e colori nuovi, una natura selvaggia da esplorare, chilometri di mare incontaminato da vivere. In una parola, un continente. Diverso e tutto da scoprire.

Una mattina di ottobre suonò dai sig.ri Faba. Il bidello della scuola, al quale si era rivolto per cercare casa gli disse che, se fosse stata libera, avrebbe fatto bingo. E aveva ragione. La casa, situata nella parte alta del paese aveva due camere con bagno libere. Ed un’ampia terrazza con una vista panoramicissima. Ma i padroni di casa erano titubanti. Avevano già ospitato, tempo addietro, una famiglia di milanesi, non erano intenzionati ad accollarsi un nuovo inquilino. Nonostante un’altra entrata facesse comodo in quella casa a monoreddito.

Tornò a scuola sconfortato. Quel “Le faremo sapere” non lasciava presagire niente di buono.
Non dovette aspettare molto. La mattina seguente il signor Luigi si presentò a scuola “Va bene, la casa è sua, se vuole”.
La valigia era pronta, i libri pure. Al termine delle lezioni andò spedito a prendere possesso di quello spazio che sentiva già suo.

Fu in quell’istante che vide Agnese per la prima volta. Sorrise nel stringerle la mano mentre gli occhi, con  sguardo compiaciuto appurarono quanto fossero lontano dal vero le raccomandazioni di sua madre: 18 anni, capelli biondi, studentessa liceale, ” ‘nu babà“, pensò, altro che bruttine e pelose le sarde! Piccoletta sì, ma decisamente graziosa.

*Immagine freepik

Continuò a sorridere mentre dava una sistemata ai suoi bagagli. Un tepore insolito e sconosciuto avvolse i suoi pensieri. Ancora non lo sapeva ma il ricordo di quell’amore finito lo stava già abbandonando.

Quella notte anche Agnese sorrise e fantasticò a lungo sullo “straniero” che per un po’ avrebbe condiviso parte della casa dei suoi genitori.

Nessuno dei due sapeva che Cupido aveva sganciato uno dei suoi dardi micidiali.

Nessuno dei due poteva neanche lontanamente immaginare che in quella stretta di mano c’era già scritto tutto.

L’inizio di una vita a due che dura da ben 50 anni.

Forse fu il caso o forse fu il destino a scrivere il canovaccio di questo sodalizio  che va avanti da oltre mezzo secolo. Quel che è certo è che Nico e Agnese (i nomi, compresi Norbio e Faba, sono di ‘fantasia’, ma mica tanto a onor del vero) ci hanno messo, e pure tanto, del loro.  E continuano a farlo. Oggi più di ieri e meno di domani, come recita il poeta.

Quanto c’entri la pioggia in questa lunga storia d’amore non saprei, quel che è certo è che ‘siamo ancora qua – eh già’, e , si deus cheret ( = a Dio piacendo) contiamo di restarci ancora insieme e al lungo.

5 aprile 1972 – 5 aprile 2022. Con oggi son 50, portati bene, i prossimi, statene certi, li faranno contare.

Intanto, prosit!

Chiara Farigu


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